Onore a te, fratello Andrea Fortunato

Morire dopo aver appena assaporato le gioie intense di una brillante carriera sportiva, dopo aver raggiunto il top: la maglia numero 3 della Juventus, la Nazionale. Gloria, fama, soldi: poi, all’improvviso, un destino spietato.

Il pallone lo induce ad abbandonare Salerno, la città dove era nato il 26 luglio 1971, all’età di 13 anni. Lo affascina la grande avventura del calcio vero, comincia a tirare calci con un’ottica professionale a Como, profondo Nord, senza che peraltro quel suo viaggio sia riconducibile agli stereotipi dell’emigrante con la valigia di cartone. Di famiglia della buona borghesia (il padre cardiologo, la mamma bibliotecaria, un fratello avvocato e una sorella laureata in lingue), il ragazzino che gioca tra i dilettanti della Giovane Salerno ottiene il permesso di dare la scalata al mito del pallone soltanto a patto di proseguire negli studi. Allenamenti e scuola, senza perdere un colpo, fino al diploma di ragioniere “perche’ nel calcio non si sa mai”.

A Como Fortunato debutta in serie B il 29 ottobre 1989 (Como Cosenza 1-0). Colleziona 16 presenze in quella stagione turbolenta, caratterizzata da continui cambi in panchina e culminata con la retrocessione in serie C. E’ Eugenio Bersellini, chiamato a gestire la resurrezione comasca, ad esporre in vetrina quel diciannovenne pieno di grinta (27 presenze in C1) che difatti trova subito un compratore.

Per quattro miliardi Aldo Spinelli se lo porta a Genova, riflettori di serie A ma la prospettiva di una lunga coda dietro il brasiliano Branco, titolare della cattedra di terzino sinistro. Quello tra Fortunato e il Genoa non è però amore a prima vista. Un litigio con Maddè, il braccio destro di Bagnoli, costa al ragazzo di Salerno l’esilio novembrino a Pisa (serie B e 25 presenze). “Io non so se Bagnoli non credesse in me – confidò un giorno Andrea – Ma forse ho pagato quella nomea di arrogante, di testa calda, che qualcuno ha costruito su di me. Comunque devono mangiare sassi prima di scalzarmi“.

Testardo, ambizioso ma pure generoso (“In campo darei l’anima anche per mille lire”), Fortunato sa risalire la corrente al suo rientro dal “confino”. Bagnoli e Madde’ del resto sono stati risucchiati dall’Inter, Giorgi diviene subito suo sponsor, a mettersi in coda per la cattedra di terzino sinistro stavolta tocca a Branco. Campionato eccellente, questo del debutto in serie A, con 33 presenze e 3 gol, l’ultimo segnato al grande Milan. Lui e il collega di reparto Panucci stuzzicano gli appetiti della Juve che avrebbe voluto acquistarli in blocco.

Si dice che Spinelli avesse deciso di privarsi del solo Panucci (che nel frattempo, fatti i suoi calcoli, aveva scelto di puntare sul Milan) ma, così almeno narrano le leggende metropolitane, Fortunato riuscì comunque ad ottenere disco verde per la fuga approfittando dello “stato di bisogno” del suo presidente. Dopo una trasferta a Pescara, con il Genoa arenato in acque pericolose, Spinelli gli sussurra infatti: “Andrea, aiutami a salvare la squadra e ti lascerò andare“. Così arriva la Juve sulle tracce del nuovo Cabrini. E dopo la Juve (27 presenze e un gol) giunge pure la nazionale, con il debutto a Tallinn, il 22 settembre ’93, in occasione del 3-0 all’Estonia, unica sua apparizione azzurra.

Andrea Fortunato

È una corsa verso la gloria apparentemente inarrestabile ma poi, improvviso, il crollo. L’inizio della fine ha una data precisa: venerdi’ 20 maggio 1994. Andrea e’ stanco, irriconoscibile in campo, lui che e’ sempre stato un concentrato esplosivo di energia; fatica a recuperare, e’ tormentato da una febbriciattola allarmante. Il dott. Riccardo Agricola, responsabile del servizio sanitario bianconero, prescrive una serie di analisi. La diagnosi mette subito paura: leucemia acuta linfoide, fattore Filadelfia positivo. Quanto di peggio ci si poteva immaginare. Fortunato ricoverato nella Divisione Universitaria di ematologia dell’ospedale Molinette. “Puo’ farcela – dicono i medici -, Andrea e’ giovane, la sua tempra robusta lo aiutera’“.

Ma l’ottimismo di facciata e’ una pietosa bugia. Gli specialisti sanno bene che solo un trapianto con un donatore compatibile potra’ restituire la vita a quel ragazzo coraggioso, assistito dalla fidanzata, Lara, e dai genitori, mamma Lucia e papa’ Giuseppe, che e’ cardiologo all’ospedale di Salerno e che ha l’immediata percezione del dramma. Tre settimane di terapia intensiva. Un netto miglioramento, valori verso la normalita’. L’organismo combatte, i globuli bianchi in eccesso spariscono, tecnicamente si parla di remissione completa della malattia.

Un passo importante. Voglio farcela, voglio vincere questa guerra terribile“, dichiara il giocatore. Ma la battaglia e’ ancora lunga. I medici non riescono a reperire, in tutto il mondo, un donatore compatibile per il trapianto. Sono solo tre i potenziali donatori, ma tutti troppo lontani. Cosi’ il 9 luglio si tenta un’altra strada. Fortunato viene trasferito a Perugia, al Centro Trapianti diretto dal dott. Andrea Aversa e dal prof. Massimo Martelli. Sono passate sette settimane. Nel giorno del suo ventitreesimo compleanno, il 26 luglio, gli vengono infuse le cellule sane della sorella Paola, opportunamente “lavorate”. Poi seguono altri due innesti. Ci vorranno un paio di settimane per avere certezza che il midollo si sia spontaneamente rigenerato.

L’11 agosto si annuncia come un’altra data importante: Fortunato viene trasferito in un reparto pre-sterile. Combatte, fino a quando le forze lo sorreggono. Parla al telefono con i compagni, puo’ leggere qualche giornale “sterilizzato”, segue la sua Juve in tv. Andrea si e’ ormai reso conto che la battaglia e’ piu’ dura del previsto, pero’ scova insospettabili forze. Poi, dopo Ferragosto, il primo crollo. Il suo organismo non ha assorbito le cellule della sorella Paola.

Il rigetto fa ripiombare Andrea nella disperazione. Si tenta ancora, si spera in un altro miracolo. Papa’ Giuseppe prova a donargli le cellule del suo midollo. Ad Andrea inizialmente non lo dicono, si parla di normali terapie. Eppure la seconda infusione sembra miracolosamente attecchire, anche se allarma una febbre persistente. Il fisico reagisce bene, Fortunato torna in un reparto “normale”, puo’ perfino iniziare una riabilitazione in palestra.
Il 14 ottobre lascia la camera d’ospedale. I compagni (Ravanelli, Vialli e Baggio, su tutti) lo incoraggiano, lo tempestano di telefonate: “Ti aspettiamo“. L’ottimismo si fa nuovamente strada. Ma è un’illusione: il 25 aprile 1995 una banale influenza riesce a piegare il fisico da gigante ma ancora immunodepresso di Fortunato.