ARDILES Osvaldo: fosforo argentino

“La mia posizione era un po’ difficile da definire: metà creatore di gioco e metà difensore. Non ero un tipo di giocatore col fisico di quelli attuali, ma piuttosto un centrocampista puro che raramente entrava in entrambe le aree. Il mio compito era quello di liberare il playmaker per dargli il tempo e lo spazio per creare”.
Talvolta nel calcio fare le cose più semplici può essere quella più difficile. Un uomo che ci riuscì sempre fu Osvaldo Cesar Ardiles
Un gran “cerebro” di centrocampo, “Ossie” Ardiles. Un campione che divenne fuoriclasse facendosi eroe di due mondi agli antipodi del pallone, Argentina e Inghilterra, proprio perché rifuggiva il calcio estetico o narcisista, privilegiando una concretezza a prova di bomba. Era nato il 3 agosto 1952, era cresciuto nell’Instituto con Mario Kempes, per poi passare al Parque Patricios, sempre di Cordoba.

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Sottile, razionale, con un’aria vagamente intellettuale, propaggine della sui riuscita anche negli studi di diritto, era un regista calmo e lucido, con la rara prerogativa di afferrare sempre i momenti topici della partita.
Venne ingaggiato dall’Huracan nel 1974 e qui trovò il suo uomo del destino in Luis Cesar Menotti, allora direttore tecnico della squadra, che ne intuì le straordinarie doti al di là della semplicità innata del suo gioco, poco spettacolare ma estremamente efficace.

Passato alla Nazionale, Menotti costruì attorno a lui la squadra “storica” che doveva onorare nel 1978, davanti ai generali dittatori, il Mondiale organizzato per la prima volta in casa. Alieno dai proclami e dalle polemiche spettacolari, poco amato dalla folla, Ardiles entrò in Nazionale nel 1977 in punta di piedi, tra l’incredulità di molti critici che non ne apprezzavano il calcio asciutto e poco appariscente. E in breve divenne una imprescindibile colonna della squadra. Organizzatore del gioco ma anche trequartista all’occorrenza, possedeva passaggio preciso, visione di gioco e la leggerezza di una farfalla nell’inserirsi sempre nelle pieghe decisive della manovra. La conquista del titolo iridato ne consacrò la classe assoluta, facendolo inserire al secondo posto, accanto al portiere Fillol, nella graduatoria dei migliori della squadra campeon, alle spalle dell’attaccante Kempes.

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All’indomani, ecco il clamoroso trasferimento al Tottenham, assieme all’altro nazionale Ricardo Villa primi stranieri veri dopo che gli Spurs avevano aperto solo a scozzesi e gallesi. Un avvio impacciato, poi il grande successo anche nel duro calcio inglese, di cui “Ossie” diventa uno dei big assoluti, per la straordinaria capacità di interpretarne al meglio la rapidità e l’essenzialità. Vale la pena ricordare un episodio emblematico accaduto nel 1982.

Quando toccò il primo pallone al Villa Park, il 3 aprile 1982, semifinale di FA Cup, Osvaldo fu sommerso dai fischi. Erano i tifosi del Leicester City, e lui era il nemico: non perché temuto elegante centrocampista del Tottenham, ma perché argentino. Il giorno prima, Leopoldo Galtieri, presidente del Paese sudamericano succeduto al dittatore Videla, aveva dato l’ordine di riprendere dopo un secolo e mezzo le Isole Falkland, le Malvine, al dominio britannico, scatenando la guerra tra i due Paesi. La Thatcher aveva risposto con risolutezza: ai proclami, erano seguiti i morti. A Osvaldo, Ossie per tutti, avevano detto di non giocare, che sarebbe stato rischioso, la sua famiglia era sotto scorta, ma non gli avevano fatto cambiare idea. I tifosi del Leicester intonarono il coro “England England” a rafforzare il concetto: era Ardiles il bersaglio, e con lui il compagno argentino Julio Ricardo Villa. Ma i suoi tifosi, quelli del Tottenham, che avevano imparato ad amarlo, e per loro quelli di oltremare erano stati al massimo irlandesi, risposero in coro “Argentina, Argentina”: un miracolo sportivo, uno schiaffo alla guerra. Un mese dopo, il 2 maggio, Josè Leonidas Ardiles, 28 anni, cugino in primo grado di Osvaldo, capitano della VI Brigata Aerea, veniva abbattuto dagli inglesi nell’Atlantico meridionale, a bordo del suo Mirage M5 Dagger. «Il momento più difficile della mia carriera – ha spiegato Ossie – ero diviso tra il Paese in cui ero cresciuto e quello che mi aveva accolto come un figlio, e in cui vivevo. La morte di mio cugino mi prostrò terribilmente: la guerra l’avevo sempre considerata un evento lontano, e invece mi era entrata in casa».

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Pochi giorni più tardi, Osvaldo e i compagni, alla vigilia del Mondiale di Spagna, furono trascinati nello spot “Le Malvine sono argentine”, a rivendicare il diritto a una guerra assurda, così come quattro anni prima erano stati usati come simbolo positivo, loro campioni del mondo a Baires, della propaganda del governo sanguinario del generale Videla.
Con gli Spurs vinse due Coppe d’Inghilterra (1981 e 1982) e la Coppa Uefa nel 1984. Dopo una parentesi nel Paris St. Germani, torna al Tottenham e chiude nel Queen’s Park Rangers.

Osvaldo Ardiles ha pure recitato in un film, il celebre “Fuga per la vittoria”, di John Huston, dove Ossie interpreta uno dei calciatori della squadra degli “Alleati”, una selezione di prigionieri impegnata in una partita contro la nazionale tedesca durante la seconda guerra mondiale. La scena più bella dove compare Ardiles, vede il fantasista argentino eseguire, ai danni del terzino tedesco, una “bicicleta”, una particolare giocata con la quale, per chi riesce a compierla, è possibile superare l’avversario alzando il pallone col tacco e facendolo passare sopra la sua testa.Una colonna sonora molto suggestiva, firmata da Bill Conti, sottolinea la prodezza di Ossie. Ecco, quello era Ardiles, musica compresa.

Ardiles dedicò tutta la sua vita al calcio, divenendo in seguito giocatore/allenatore (e questo lo aiutò a rendere meno drammatico il momento dell’addio al calcio giocato), poi allenatore a tempo pieno fino al 2008 e infine commentatore sportivo, guadagnandosi sempre la stima e il rispetto di compagni ed avversari a livello internazionale.
Ho imparato più da Cesar (Menotti, n.d.r.) che da chiunque altro nel calcio. Egli fu una parte integrale del mio sviluppo e mi fece crescere con una filosofia di gioco che dava molta importanza al cercare di divertire e di giocare un calcio di qualità”. Parole di Osvaldo Ardiles, detto il “Pitone”. Altri tempi, altri uomini.