Bologna 1936-1941: Gli uruguaiani che facevano tremare il mondo

Fedullo, Andreolo, Sansone e «testina d’oro» Puricelli contribuirono in maniera determinante a creare la leggenda del Grande Bologna che nel periodo 1936-1941 vinse quattro scudetti…


LO SQUADRONE

C’è stato un tem­po lontano, remoto, nel quale il bi­polarismo Milano-Torino era allargato alla capitale della Padania. Lo scudetto correva sul filo del trian­golo Milano-Torino-Bologna e lo squadrone felsineo seppe anche proiettare la caratura del proprio blasone nell’arengo internazionale. Ogni domenica, il Bologna giocava per qualcosa di più di una salvezza combattuta allo spasimo, al Comu­nale c’era sempre spettacolo e pro­prio da quel periodo nasce il «palato fine» dei tifosi bolognesi che mal si adatta agli sconsolanti spettacoli del giorno d’oggi. Il Bologna vinse il primo scudetto al termine del tor­neo 1924-25, e, storia vecchia e risa­puta, occorsero cinque incontri con il Genoa, per definire la vincente del girone-nord. Fu il Bologna a vincere e ad assolvere con facilità l’ultimo impegno di finale con l’Alba di Ro­ma. Quattro anni dopo ancora il Bologna riuscì a trionfare nell’ultimo campionato dell’Italia spezzata in due gironi. All’avvento del girone unico la squadra bolognese si presen­tò con il titolo di campione, ma deluse amaramente finendo al sesto posto e costringendo la dirigenza a rifare mezza squadra. Ecco, il gran­de Bologna degli Anni ’30 nasce da quel periodo. I dirigenti bolognesi riuscirono a comporre un mosaico che partiva da un vivaio ricco e si completava con innesti indovinati….

GLI ANNI D’ORO

La storia del girone unico inizia con la vittoria dell’Am­brosiana di Milano di «Peppin» Meazza e lascia campo poi al dominio che si protrarrà per un quinquennio del­la Juventus. Il Bologna gioca bellis­simi campionati, si piazza terzo nel ’31, secondo nel ’32, ancora terzo nel ’33 e quarto nel ’34. Al Comunale la Juve incontra sempre resistenza accanita, nel ’31 addirittura le becca di brutto in una giornata trionfale per Reguzzoni, che segna una triplet­ta del 4-0 finale. Battaglie asperrime negli anni seguenti finite spesso sul pareggio, combattute e spettacolari come quelle che il Bologna disputa e vince sul fronte internazionale, do­ve riesce a primeggiare trionfando nella prestigiosa Coppa dell’Europa Centrale nel 1932 e nel 1934. Nel 1935 il Bologna si consola del modesto sesto posto in classifica andando a vincere il Torneo di Nizza, poi final­mente comincia la grande storia del­lo scudetto del secondo quinquennio degli Anni Trenta, con la squadra bolognese impegnata nel confronto con l’Ambrosiana di Milano. Nei sei tornei dal 1936 al 1941, la squadra rossoblu riuscì a vincere quattro ti­toli, offrendo sempre spettacoli esal­tanti di gioco, che nascevano da una fusione ottimale delle capacità ago­nistiche di alcuni elementi indigeni e dall’innesto fortunato di quattro giocatori provenienti da federazione estera, quattro indimenticabili cam­pioni provenienti dall’Uruguay. Co­nosciamoli uno alla volta….

FRANCISCO «Piteta» FEDULLO

Fedullo (che la grafia esatta vuole con una elle sola, ma in Italia sem­pre scritto con due), classe 1905, fu il primo uruguaiano a tornare nella terra pei padri, che erano originari del salernitano. Aveva cominciato a tirare i primi calci nell’Istitucion di Montevideo, una società minore nel grande giro della capitale uruguaiana. L’Istitucion non aveva certamente il blasone del Nacional o del Penarol, ma era società di vivaio che spesso aveva allevato buoni elemen­ti. Fedullo venne in Italia a nean­che 21 anni, segnalato da Ivo Fio­rentini, un faentino giramondo gran conoscitore del calcio sudamerica­no. Fedullo accettò di buon grado il trasferimento in Italia per ragioni comprensibili. Il calcio uruguaiano dettava legge in quei tempi. La na­zionale « celeste » aveva vinto per ben due volte consecutive (1924 e 1928) il torneo olimpico: gli acclamatissimi assi che componevano al­lora la formazione nazionale non la­sciavano alcun varco alle ambizioni di chi si sentisse egualmente dota­to. Fedullo scelse così la strada dell’esilio, ed il suo fu un esilio che durò otto anni, ricco di soddisfazioni non piccole. Di taglia media, dotato di tecnica sopraffina, Fedullo costruiva l’azione ma sapeva anche concluderla a rete. Dotato di un tiro potente ha lasciato ricordo di sé in parecchi tabellini di partite nazionali ed in­ternazionali, con la maglia rossoblu del Bologna o con quella azzurra del­la nazionale. Un grande campione che ha legato il nome a tutte le con­quiste che hanno fatto grande il Bo­logna in Italia ed in Europa. Fedul­lo, infatti, con la maglia rossoblu vinse le due Coppe Europa del 1932 e 1934, il Torneo di Nizza, il Torneo dell’Esposizione di Parigi e tre scu­detti. Tornò in Uruguay al termine del campionato 1938-39.

RAFFAELE SANSONE

Arrivò in Italia un anno dopo Fedullo, con il prestigio d’essere stato prescelto nelle selezioni per la nazionale che vinse la prima coppa del mondo. An­che lui era chiuso da Cea e Scarone come Fedullo e al pari del compa­gno nutriva ambizioni legittime sul­le sue capacità. Su segnalazione del­l’amico arrivò dunque in Italia per i buoni uffici del solito Fiorentini e con il Bologna si affermò immedia­tamente come fine tessitore del gio­co ed anche abile realizzatore. San­sone e Fedullo facevano gioco. Schiavio e Reguzzoni segnavano gol a ri­petizione. Il Campionato 1931-32 ini­ziò all’insegna del dominio del Bo­logna che per diciannove giornate condusse la classifica per poi cade­re alla ventesima in casa della Lazio. Sansone e Fedullo, leggermente ar­retrati rispetto alle tre punte, come era lo schema del calcio uruguaia­no, conducevano la danza del gioco spettacolare ed efficace del Bologna che preparava la stoccata del gol con una manovra abile di aggiramento. Anche Sansone prese parte a tutti i grandi successi dello squadrone ros­soblu se si eccettua il torneo di Nizza, al quale l’uruguaiano non parte­cipò perché era tornato in patria per una stagione. Un anno dopo il suo arrivo, era sbarcato a Bologna un altro connazionale per sostituire al centro della mediana Gastone Bal­di, ormai avanti con gli anni. Era Francesco Occhiuzzi, fresco campio­ne d’Uruguay con il Wanderers di Montevideo, rimase al Bologna due stagioni ed in pratica aprì la strada al terzo grande di questo revival.

MICHELE ANDREOLO

A poco più di vent’anni era già campione d’Uruguay con il Nacional che anno­verava una pletora di autentici assi, da Leonidas a Patesko, da Domingos a Guia a Castro, da Nasazzi a Ciocca. Andreolo era il più grande candidato a prendere il posto di Lorenzo Fernandez, «el patron» della nazionale uruguagia. Era stato selezionato per il campionato sudamericano di Lima del ’35 ed era in splendide condizio­ni di forma, ma non ci fu niente da fare contro il grande Fernandez che rimase ancorato al suo posto e con­dusse gli uruguaiani all’ennesima vit­toria continentale. Andreolo, partì quindi per l’Italia nelle medesime condizioni di Sansone e Fedullo, si­curo dei propri mezzi e seriamente intenzionato a dimostrarlo a chi non aveva creduto in lui. Nel Bologna trovò i due compatrioti e con loro formò quello che venne definito il « triangolo magico ». Andreolo era il vertice e conduceva le operazioni con lanci millimetrici, comandava la squadra come un abile nocchiero in mezzo ai flutti. Difendeva strenua­mente, si impadroniva della palla e partiva poi quel suo; passaggio pre­ciso che dava inizio all’azione offen­siva. Formidabile tiratore; aggiunge­va spesso lo svolazzo della firma ad un punteggio conquistato, magari con uno di quei formidabili calci di punizione che spellavano le mani ai portieri. Andreolo si impose imme­diatamente come il miglior centro-mediano metodista e risolse a Pozzo i problemi nati dall’ormai prossimo ritiro di Luisito Monti. Sostituì quella che era stata la colonna della Juventus al centro della mediana della nazionale e nel 1938 a Parigi, con gli azzurri che confermarono il titolo del 1934, fu salutato come il miglior centromediano d’Europa.

HECTOR «Sena» PURICELLI

Giunse al Bologna nei primi giorni del gennaio 1938, dal Central di Montevideo dove aveva cominciato l’atti­vità di calciatore. Ad appena 22 anni affrontava l’avventura italiana con l’ingrato compito di sostituire al centro della prima linea rossoblu l’ormai mitico Angiolino Schiavio, che il livornese Busoni non aveva saputo rimpiazzare a dovere. Puricelli ri­mase fermo quasi un anno per la mora imposta dai regolamenti inter­nazionali, ma quando giunse il mo­mento di dimostrare sul campo il proprio valore, non si fece chiama­re due volte. Era un abilissimo colpitore con la testa, e le sue diabo­liche deviazioni ingannavano tutti i portieri. Venne chiamato « testina d’oro » e per dimostrare appieno le proprie qualità vinse al primo im­patto scudetto e classifica marcatori. Biavati partiva sulla destra con il famoso « passo doppio » e mandava al centro una palla deliziosa, invitan­te. Puricelli saltava e rimaneva lassù ad aspettare il pallone, mentre gli avversari schiavi della gravità torna­vano a terra. Vinse due scudetti con il Bologna (133 partite, 80 gol in tota­le), ma dimostrò le proprie qualità anche con il Milan del dopoguerra dove giocò per diverse stagioni (com­plessivamente 4 con 116 partite e 53 gol).