Cosmos, la grande illusione

A metà degli anni settanta fa mezza America fu invitata al lancio della squadra di New York, un fenomeno che avrebbe dilapidato milioni di dollari per ingaggiare Pelè, Beckenbauer, Cruyff, e che sarebbe naufragato in una manciata di stagioni…


ANTEFATTO

Pelè giocò la sua ultima partita nei Cosmos il primo ottobre del 1977. Fu un’amichevole contro il Santos al Giants Stadium, New Jersey. L’isola del tesoro chiamata Cosmos sarebbe rimasta a galla per altri sette anni e quattro mesi, vincendo altri campionati americani, con Chinaglia a fare da ariete per scardinare l’interesse delle tv di mezzo mondo e Beckenbauer a fare da manichino con tutti gli allori appena conquistati con la Germania e il Bayern Monaco. In realtà finì tutto quando smise Pelè. Dopo si andò avanti a spintoni. Con un sogno che già si era consumato abbastanza e non aveva prodotto niente di quanto sperato: la nascita di un sentimento calcistico negli Stati Uniti.

L’INVENZIONE COSMOS

L’isola Cosmos non fu scoperta ma inventata: «Come tanti altri progetti paralleli del grande mondo dell’imprenditoria dello spettacolo, i Cosmos andavano velocissimi. Però non andavano da nessuna parte», scrissero sul Guardian gli scettici inglesi quando l’isola Cosmos sprofondò negli abissi, inghiottita dalle acque del buon senso, senza mai diventare Atlantide. I Cosmos come grande spettacolo nacquero più di trent’anni fa. La conferenza stampa venne organizzata dalla Warner Communications, proprietaria del marchio Cosmos dal ‘73, il 10 giugno del 1975 al 21 Club di New York. Sembrava il lancio di un film ed era stata invitata mezza America.

La prima partita del corso milionario dei Cosmos si giocò contro i Dallas Tornado al Downing Stadium di Randall’s Island, ad Harlem, una specie di arena da corrida che i locali chiamavano “lo stadio dei vandali”: «Quella che pareva erba non era altro che spray verde spruzzato sulla terra, c’erano bottiglie dappertutto, niente acqua negli spogliatoi. Un inferno», ricorda Gavin Newsham nel suo libro Once in a lifetime: The incredible story of The New York Cosmos.Nei tre anni che precedettero l’ingresso della Warner, i Cosmos erano una squadretta senza speranza in un calcio, quello americano, che viveva di espedienti e di illusioni da circo. Benché fosse appena nato, era già decrepito. Non era riuscito a catturare la passione di nessuno, salvo qualche ambulante che per qualche tempo vide raddoppiate le vendite dei suoi pretzel e delle sue patatine fritte. E chi lo guidava non sapeva cosa stava guidando. I Cosmos si iscrissero al campionato il 10 dicembre del ’70. Buscarono alla prima uscita: 2-1 contro i St. Louis Stars.

L'ingresso in campo di Beckenbauer tra le majorettes
L’ingresso in campo di Beckenbauer tra le majorettes

ARRIVA O’REY

Quando assoldarono Pelè era come se avessero messo sotto contratto King Kong. Tutta New York si fermò per qualche ora a domandarsi cosa fosse quel trambusto fra cielo e terra. L’impatto fu devastante per tutti, calciatori compresi. Facendo leva sull’adesione di Pelè, i Cosmos (e la Warner) cominciarono a promettere cifre spropositate ad ex calciatori di grido per promuovere il calcio in un paese, gli Stati Uniti, che aveva sempre avuto troppo baseball, troppo basket e troppo football per interessarsi anche al soccer. Semplicemente non c’era spazio.

La North American Soccer League, attiva dal 1970, aveva racimolato la miseria di qualche consenso sulla costa orientale. Ma in realtà neppure a New York, dove pure vivevano e vivono migliaia di europei e sudamericani, era scattato l’amore per il pallone. Soltanto in un bar vicino a Mark’s Place, ancora nel 2003, il mito sopravviveva per colpa (più che per merito) di un padrone italo-americano mezzo matto, di cognome Alloisio, che continuava a imbrattare le pareti del suo locale con le foto degli adorati campioni scomparsi: «O’ calcio è chist’!». Nessuno capiva. Ora c’è un drugstore indiano…

Altrove era la quasi totale indifferenza. Le partite della massima divisione si disputavano in piccoli impianti completamente vuoti. Ci voleva un’idea speciale. Un effetto speciale. E i Cosmos furono il primo effetto speciale del calcio. Si procedette con una forzatura degna dei migliori tycoon di Hollywood. La Warner era convinta di poter trasformare in cinema le acrobazie di Pelè, che aveva accettato il ruolo di missionario purché lo pagassero miliardi, e di altri calciatori da prima pagina attratti dal profumo dei soldi e dalla prospettiva di potersi allungare la carriera col minimo sforzo: Carlos Alberto, Neeskens, Beckenbauer, Cruijff, Wilson, Cabanas, Rijsbergen, Francisco Marinho, svariati jugoslavi, il pittoresco e sopravvalutatissimo iraniano Eskandarian. Più una serie di comprimari dalla capigliatura improponibile che sapevano fare parecchie cose in vita loro, tranne giocare a pallone.

Steve Hunt, Chinaglia e Pelè
Steve Hunt, Chinaglia e Pelè

GOL E MAJORETTES

Il calcio è passione nevrotica. Il rapporto che si stabilisce fra pubblico e goleador è misterioso. Tocca il cuore e a volte lo rovina per sempre. Sollecita nervi non catalogati dall’anatomia che reagiscono soltanto in presenza di tifo calcistico. Una malattia. Gli affari possono aggiungersi a tutto questo, non sostituirvisi. Alla Warner venne comunque in mente di provare a ribaltare le regole del gioco. Una sfida impossibile, quasi odiosa: prima le majorettes e poi, forse, i gol. Pelè non venne messo sotto contratto come “soccer player” ma come “recording artist”. Sicuramente avevano congegnato bene l’affare. Con furbizia più che con classe. Stessi stadi degli altri sport. Stessa cornice da incontro di boxe d’alto livello.

Manovrati come burattini, andavano in tribuna a “tifare” Cosmos Henry Kissinger, Mick Jagger, Robert Redford, Steven Spielberg. Una sera al Giants c’erano 77mila spettatori. A New York si cercò persino di unire il destino dei Cosmos con quello della moda e della musica “disco”. Locandine dei Cosmos vennero affisse sulle pareti dello Studio 54, la discoteca del momento. Sfiorare le mani di Pelé era come sfiorare un cantante sudato che si lancia dal palco a corpo morto sui fan. Per un paio d’anni il trucco sembrò funzionare, poi il sole ha cominciato a scendere, sempre più veloce, inesorabile, fino al buio completo. E col buio in sala si è vista forse la partita migliore: Fuga per la vittoria, 1981, rovesciate a non finire, sogni di riscatto, l’America al suo meglio.

Il 9 febbraio del 1985, fuggito col malloppo (aveva guadagnato più in tre anni di calcio Usa che in tutta la sua carriera col Santos), Pelè annunciò da Rio che l’era dei Cosmos era finita. Disse la verità. Delle 24 squadre della Soccer League ne erano rimaste 2. Un anno prima presidente dei Cosmos era diventato Giorgio Chinaglia. Da calciatore Cosmos, anni prima, Chinaglia aveva fantasticato l’impossibile: ipnotizzare il pubblico americano facendogli credere di essere lui il nuovo Pelè. Per quanto ignari di calcio, neanche gli americani ci credettero.

PERDITE PER 30 MILIONI

Chinaglia era risbarcato negli Stati Uniti da presidente della Lazio. Voleva espandersi, aveva la febbre del dirigente fresco di tintoria, ma non aveva una lira. La Warner, conoscendo la burrascosa natura del personaggio, gli scaricò addosso un quintale di lusinghe e la promessa del controllo gratuito del sessanta per cento delle azioni dei Cosmos. «Faremo grandi cose», disse Giorgione. Qualcuno registrò anche un’altra sua frase, tristemente bisenso: «Sono qui per fare boom». Infatti il sessanta per cento delle azioni dei Cosmos valevano un quarto della Lazio di allora, che era appena risalita dalla B. Più boom di così. Del resto la proposta della Warner era indecente: nel 1983 i Cosmos avevano perso 5 milioni di dollari ma di questo Chinaglia non era stato informato bene.

Nel 1985, prima di chiudere bottega, la Warner si era indebitata per 30 milioni di dollari avendo garantito una felicità sportiva di dubbia consistenza, che lasciò l’America più fredda e desolata che mai. Aveva licenziato 2.300 dipendenti. Tenero come sempre, nella sua attività post-calcistica, Pelé aveva rifiutato la poltrona di presidente denunciando le falle del sistema Cosmos che lui stesso aveva contribuito a creare, trivellando il terreno aurifero fino all’esaurimento delle scorte. Forse ancora soggiogato dalle informazioni ricevute (secondo le quali Chinaglia aveva cercato in tutti i modi di sostituirsi a lui come leader dei Cosmos), Pelé arrivò a deridere il povero laziale: «Che la situazione sia irrecuperabile lo dimostra l’attuale presidente, il signor Giorgio Chinaglia, che non a caso è anche presidente della Lazio, che occupa gli ultimi posti del campionato italiano». Già, adesso era colpa di Chinaglia…