DINO ZOFF – Intervista ottobre 1979

Più volte dato per finito, sia alla Juventus che alla Nazionale, Dino Zoff risorge sempre dalle ceneri, e tre anni dopo sarà Campione del Mondo…

Legittima Difesa

DINO ZOFF, dopo più di un anno di silenzio, scopre il gusto sottile di parlare, giudicare, assolvere o condannare. Passati i difficili momenti del “Mundial” (quando venne accusato di quattro clamorose “sviste” sui tiri da lontano di Haan, Brandts, Nelinho e Dirceu), il portiere della Juventus e della Nazionale esce dal proprio “privato” per rivelarsi pubblicamente: la sua è una confessione umana e molto sincera. Intanto cerca di collezionare altri record: dopo quelli di imbattibilità in Nazionale e in Serie A, vuole ora stabilire il primato delle presenze consecutive. Con il match di San Siro è arrivato a quota 216, vicinissimo ormai al record di Foni (229 partite). Una sfida nella sfida tra le stelle del nostro calcio.

TORINO. Poi venne il silenzio. Le frustate della critica, dopo le quattro reti subite da lontano al “Mundial”, lo ferirono profondamente, lasciandogli cicatrici dolorose. Lui, Dino Zoff, portiere della Juventus e della Nazionale, perse la sua mitica freddezza, lamentò certa malafede nei suoi confronti e si chiuse in se stesso, esasperando ancor di più la propria figura di uomo solitario, di poche parole. Il suo gesto, plateale e nel contempo fermo, voleva essere una condanna a certa stampa da lui considerata ottusamente di parte, pronta sempre a cercare motivi di scandalo, a colpire cinicamente alle spalle. «Non chiedetemi niente, non ho nulla da dire. Per favore, lasciatemi in pace», rispondeva quotidianamente ai cronisti che cercavano di penetrare dentro il suo mutismo.
dino-zoff-intervista3-wp La sua “risposta” era il campo, che soltanto fra i pali avrebbe parlato l’unico linguaggio che conosce: quello delle parate. E vennero così nuove stagioni di soddisfazioni: la Juventus vinceva ancora ed Enzo Bearzot lo riconfermava in azzurro partita dopo partita. La sua vendetta era così, seppur lentamente, consumata. Ora, però, nuove ombre, antichi fantasmi sembrano turbare ancora la vita di Dino Zoff. Le ultime, poco convincenti prestazioni della Juventus hanno portato molti giocatori, e lui tra questi, sul banco degli imputati. Ma ora il “portierone” ha deciso di cambiar tattica: non più il silenzio, ma il dialogo aperto, pungente, critico, ironico. Con insospettata dialettica Zoff parla di se stesso uomo e portiere, dicendo finalmente tutto ciò che pensa del mondo del calcio, dei suoi eredi, dei rapporti interpersonali. E’ un Dino Zoff a ruota libera, privo di reticenze, in una veste davvero sorprendente: quella del giudice. Il risultato è un documento sportivo e, soprattutto, umano.


L’INTERVISTA
. – Perché a un certo punto hai detto “basta”, rifiutando di parlare con tutti?
«Innanzitutto perché non ho mai avuto un carattere aperto, preferendo la solitudine alle vane parole. Poi, ad un certo punto, ha iniziato a darmi fastidio certa gente ambiziosa, che parlava soltanto per imbrogliare il prossimo. Persone che non dicevano niente di serio, che criticavano senza sapere, che affermavano con presunzione di conoscere tutto e tutti. Di conseguenza, davanti a tanto spreco di parole, ho deciso di stare zitto, di non parlare più. Contestavo, civilmente intendiamoci, tulio un sistema ipocrita e falso, che aveva anche la faccia tosta di passare per onesto. E ti garantisco che sono sempre stato uno gentile e ben disposto verso la gente: ma certe cose, credimi, devono avere un limite. Con la mia protesta volevo, ho cercato di far capire qualcosa».
«Non parlavo – prosegue Zoff – anche per paura dei titoli inventati: quante, troppe volte un mio giudizio è stato travisato dai giornali, che hanno “sparato” a nove colonne cose mai dette, mai pensate. Dimmi: era giusto questo, era leale? Stando zitto, evitavo di creare casini che potevano danneggiare me stesso e la mia società. Non sono un fenomeno da baraccone, sono soltanto un professionista che cerca sempre di fare bene il proprio lavoro. Un uomo, soprattutto, che cerca la verità e non la menzogna».

– Chi è oggi Dino Zoff e dove vuole arrivare?
«Sono arrivato molto avanti nella mia carriera, ma non mi sono mai posto degli obiettivi precisi, non mi sono mai dato dei punti di arrivo e di partenza. Le carriere si tirano avanti fino a quando si può, per questo bisogna darsi sempre da fare, senza stare a fantasticare troppo. Il fisico mi sostiene e mi ritengo un privilegiato: gioco nella Juventus e nella Nazionale. Dimmi: cosa potrei chiedere di più?».

– Ora sei cambiato, sei più disposto verso il prossimo, cerchi con maggior frequenza il dialogo. Ecco: forse sei cambiato verso gli altri, che ora non sono più estranei, “nemici”?
«Le esperienze passate mi hanno cambiato: chiuso nel mio silenzio, ho capilo tante cose importanti. Vedi, nel nostro ambiente si vivono troppi momenti creati ora dall’euforia, ora dalla delusione, momenti dettati dall’obiettività, dalla cattiveria, dal cuore, dall’utero: e a tutto, purtroppo, viene dato un significato tragico. Per questo dico che bisogna essere sicuri prima di dare pareri definitivi, io, anche su cose di mia competenza, rifletto prima di esprimere un giudizio categorico. Nel calcio, con troppa leggerezza, si esalta o si getta nella polvere un uomo. E ci sono certi periodi che non finiscono mai: con un giornale che ti elogia e l’altro che ti sputtana, il primo dice che sei bravo, l’altro che sei una delusione: e si va avanti così per mesi e mesi, senza tregua, senza un limite. Certo, ora parlo di più con la gente, senza nessun problema: ma sto sempre attento, prima o poi qualcuno avrà ancora qualcosa da dire: con arroganza, senza sapere».

dino-zoff-intervista32-wp – Come vedi la situazione dei portieri in Italia?
«Buona: non abbiamo davvero problemi di portieri. I miei eredi? Dico di seguire l’ordine della Nazionale: Paolo Conti e Bordon sono, a mio avviso, delle grossissime realtà, estremi difensori di valore e di sicuro affidamento. Tra i “fuori-quota” segnalo Castellini, che resta sempre un grande portiere di sicuro talento. Luciano nel Napoli, basta leggere le cronache, si sta comportando benissimo: ogni domenica è segnalato tra i migliori in campo …».

– Qual è stata la tua prima, grande soddisfazione?
«La vittoria dell’Italia, a Roma, negli “Europei” del 1968. Per me è stato un avvenimento particolare, estremamente importante, una grossa gioia. Ricordo quando, insieme ad altri miei compagni, mi sono affacciato dal balcone dell’albergo per salutare trecento persone in delirio, che – bandiere tricolori nella mano – inneggiavano alla vittoria italiana. Quella vittoria rimarrà per sempre dentro di me, soprattutto per quell’entusiasmo della gente».

– Non ti sembra che sia cambiato, oggi, il ruolo del portiere, che non sia più un giocatore “a parte” del contesto tecnico?
«Infatti il portiere non è più un caso “particolare”, un atleta diverso dai terzini, dai centrocampisti e dagli attaccanti. Oggi un portiere deve saper giocare tatticamente, deve anticipare l’azione, prevedere molti interventi dettati dal gioco».

– Anche se è quasi sempre il portiere a venir posto sotto accusa, a dover scontare altrui errori…
«Il portiere, non è una novità, è svantaggiato – rispetto agli altri ruoli – sotto l’aspetto morale e psicologico: a incorrere in certe critiche sicure è sempre lui. Un portiere deve giocare bene tre mesi per cancellare una brutta partita. L’attaccante con un gol fa dimenticare in una partita tre mesi negativi».

– Finita la carriera, quale futuro per Dino Zoff?
«Vorrei rimanere nel calcio, a livello giovanile. Mi piacerebbe allenare i giovani portieri: penso di poter insegnare loro abbastanza. Poi ci sarà sempre qualche ditta che si ricorderà di me, permettendo così di farmi vivere decorosamente».