HAPPEL Ernst: l’allenatore totale

Nessuno come lui, vinse dovunque in tutta Europa.Unica recriminazione: il titolo mondiale sfiorato con gli Orange a Baires ’78


La sua fine, in fondo al 1992, commosse il mondo del calcio, che ricordava l’energia e l’attivismo di questo gran viaggiatore della sfera di cuoio e non poteva non metterli a raffronto col volto tragicamente scavato delle ultime istantanee sui campi. Il male incurabile che lo affliggeva, un tumore allo stomaco, ne aveva contraffatto i lineamenti, non riuscendo però a impedirgli di continuare a lavorare coi suoi ragazzi, con gli afrori dello spogliatoio, con quel benedetto rotolare del pallone che aveva fatto da sottofondo a tutta la sua vita.

Dal gennaio di quell’anno, Ernst Happel aveva accettato di prendere in mano i destini incerti della Nazionale austriaca, raccogliendo il grido di dolore del presidente della Federcalcio, Beppo Mauhardt. Happel era già a conoscenza del male che gli insidiava il futuro, ma disse ugualmente sì. Per riuscire a convincere il “santone” aveva fatto pressione persino il cancelliere Franz Vranitzky, capo del governo, nella sua veste di presidente del Circolo dei sostenitori della Nazionale.
«Il calcio austriaco» aveva detto nell’occasione Happel «è precipitato così in basso che può solo migliorare». C’era da tentare l’avventura della qualificazione ai Mondiali 1994.
«I miei quattro comandamenti» aveva concluso il tecnico «sono sempre gli stessi: correre, correre, correre e disciplina».

Ernst Happel era nato a Vienna il 29 novembre 1925 ed era diventato nell’immediato dopoguerra un superbo campione. Difensore centrale grintoso, energico e di alta qualità tecnica, soprannominato “Achille” per la prestanza fisica, lo splendore atletiluti, grazie tra l’altro all’abilità sui calci di rigore, che batteva senza rincorsa. Stupì l’Europa negli ottavi di Coppa dei Campioni 1956-57, quando segnando tré gol al grande Real Madrid (uno solo su rigore) costrinse le favoritissime merengues all’incontro di spareggio, poi perduto. Totalizzò 51 partite in Nazionale e chiuse con i Mondiali del 1958, diventando direttore sportivo del Rapid. La sua fama doveva diventare però universale nelle vesti di allenatore.

Dopo tre anni lasciò Vienna per l’Olanda, chiamato a guidare dalla panchina l’ADO Den Haag, dove svolgeva un proficuo tirocinio, mettendo a punto le sue idee tattiche. Dopo aver raggiunto la finale di Coppa d’Olanda nel 1963, conquistava il trofeo nel 1968, superando in finale il fortissimo Ajax. La prodezza gli valeva la chiamata del Feyenoord di Rotterdam, la svolta della carriera. Portò subito la squadra alla prestigiosa accoppiata titolo e Coppa nazionale e l’anno dopo, nel 1970, centrava la prima Coppa dei Campioni di una squadra olandese.

Il complesso possedeva alcune individualità di spicco, il regista Van Hanegem e il centravanti svedese Kindvall in particolare, ma era soprattutto il gioco totale ideato da Happel, difesa a zona e spinta atletica costante in ogni centimetro di campo, a fare della allora semisconosciuta squadra di Rotterdam una autentica potenza. Capace pochi mesi dopo di completare l’opera conquistando la Coppa Intercontinentale a spese dei “duri” argentini dell’Estudiantes. Seguendo quella scia tattica, l’Ajax di Cruijff avrebbe dominato la massima competizione continentale per tre anni di fila.

Happel però era già in cerca di nuove avventure. Dopo una breve e non felice parentesi in Spagna, nel Siviglia, nel 1973 assumeva la guida del Bruges, che portava in breve ai vertici. La sua mania per la preparazione atletica divenne proverbiale: nel dicembre 1975, prima di salire sull’aereo che avrebbe condotto il Bruges a Roma per il match di Coppa Uefa coi giallorossi, teneva un allenamento alle sette del mattino! Nel 1975-76 conquistava il titolo nazionale e mancava in finale col Liverpool la conquista della Coppa Uefa.

L’anno dopo bissava il titolo, abbinandovi la coppa nazionale. Nel 1977-78, Happel sfiorava il capolavoro assoluto, vincendo il terzo titolo consecutivo e approdando alla finale di Coppa dei Campioni, dove incappava di nuovo nel Liverpool, capace di vincere solo di misura (1-0), nonostante il Bruges lo avesse affrontato indebolito dalle assenze. Alla fine di quella stagione, guidava la Nazionale olandese ai Mondiali di Argentina, dove, nonostante il forfait di Cruijff, riusciva a raggiungere la finale, per poi cedere ai padroni di casa ai supplementari dopo che Rensenbrink al 90′ colpiva il palo che avrebbe dato agli orange la vittoria mondiale.

La nuova, grande tappa della carriera di Happel è in Germania, all’Amburgo: nel 1982 vince il titolo nazionale e l’anno dopo fa il bis, conquistando anche la Coppa dei Campioni, nella finale contro la Juventus grazie al gol di Magath. L’ultimo grande capitolo è il ritorno in Austria, chiamato dal Tirol di Innsbruck. La cura Happel è prodigiosa: il Tirol conquista in due stagioni, tra ’89 e ’90, due titoli e una coppa nazionale.

Poi, le prime avvisaglie della malattia. Il gigante Happel, un omone di straordinaria gagliardia, viene colpito da un male a tutta prima misterioso, che lo fa dimagrire a vista d’occhio. Scende fino a 51 chili, i medici non rivelano la natura del morbo, si parla di una malattia del fegato o di un virus equatoriale. Poi, Happel si riprende e risponde alle invocazioni della Federcalcio: «La mia salute è di nuovo fantastica» risponde in occasione della sua presentazione come Ct alle domande sulle sue condizioni, «io mi sento veramente bene solo quando lavoro e quando sono nella mia Vienna. Adesso ho entrambe le cose, quindi sto benissimo».

È l’allenatore più titolato d’Europa, con 17 trofei di club vinti in quattro paesi. Dal primo gennaio 1992 comincia l’avventura alla guida dell’Austria, ma le sue condizioni di salute cominciano a peggiorare. La diagnosi questa volta è impietosa: tumore allo stomaco. Happel non si arrende, continua ad andare in panchina nonostante la malattia e la chemioterapia ne modifichino tragicamente i lineamenti. L’ultima uscita pubblica è il 28 ottobre 1992, in occasione del successo 5-2 su Israele a Vienna. Pochi giorni dopo, il 14 novembre, spira nella clinica universitaria di Innsbruck.
L’Austria lo onorerà intitolandogli il suo stadio nazionale, il Prater di Vienna.