GIGI RADICE – Intervista luglio 1980

Radice uomo, Radice allenatore, Radice scopritore di talenti, Radice democratico, Radice la voglia di vivere, Radice il critico. Insomma, Radice…

Dopo la caduta

DOVEVA comprare Serginho, poi però ha fatto marcia indietro causa il caratteraccio del giocatore; doveva comprare addirittura Zico, ma costava troppo; come alternativa si era parlato di Tita, l’alter ego di Zico, oppure di Socrates. Alla fine, però, Gigi Radice è tornato in Italia impressionato dai prezzi relativi ai calciatori brasiliani e, comunque, con una rosa composta da due-tre giocatori che sono attualmente in «ballottaggio. Parliamo d’altro…
Scusa, ma come sarebbe il nuovo Radice?
«Bisognerebbe chiederlo a voi giornalisti. Evidentemente conoscere l’uomo Radice ha scioccato parecchia gente. Sai com’è: ci si frequenta sempre al campo, si discute di formazione e di modulo e magari non si fa mai un qualunque discorso sull’esistenza. E così quando ho avuto quell’incidente e sono stato in ospedale, non si parlava mica di mezze punte e di Uefa, si parlava della vita, dell’amicizia e di tanti altri argomenti che i giornalisti del pallone e il sottoscritto non avevano mai toccato. E allora è nata la storia del nuovo Radice, pieno di umanità, un Radice inedito e sorprendente, hanno scritto. Ma era ovvio che fosse così. Certi rapporti andrebbero sempre approfonditi e invece al campo siamo sempre lì a menare il solito torrone».

– Gigi, sei sempre convinto che il Torino ti abbia tradito?
«Ci ho ripensato più volte e non sono riuscito a togliermi quella grande amarezza. Pensavo ormai di essere in famiglia, ci dicevamo tutti insieme che anche le eventuali intemperie le avremmo superate senza traumi, discutendone serenamente. Poi ai primi accenni di burrasca mi cacciano via e mi fanno sentire un allenatore qualunque, cinque anni di affettuosa collaborazione spazzati via perché si erano perdute un paio di partite in più».

– Che cos’è per te la disoccupazione?
«Fortunatamente è una parola che non conosco. Sono stato fermo qualche mese, ma non mi sentivo un disoccupato. Ero anche indeciso sul fatto di rituffarmi o meno. Meditavo di mettermi a studiar calcio, di andare a girare all’estero, poi qualcuno si è fatto avanti e tanto per cambiare non ho saputo resistere al grande fascino».

– Il Bologna cosa poteva rappresentare per te?
«Una piazza di nobilissime tradizioni, una città serena e tranquilla e poi la serie A, mica poco…».

– La serie A con quell’handicap…
«Speriamo nella CAF e poi pazienza, avremo particolarissimi stimoli».

– Che tipo di rivincite cerchi?
«Mi basterebbe dimostrare che Gigi Radice può mettere insieme una squadra capace di fare discreti risultati con un calcio sufficientemente apprezzabile».

– E che Bologna stai costruendo?
«Ho chiesto alla società certi giocatori e finora me li hanno comprati. Benedetti è uno dei migliori giocatori della serie B, Pileggi, Vullo e Garritano li conosco benone».

– Già, ma Garritano in che condizioni è?
«Pare sia in buonissime condizioni e toccherà a me cercare di recuperarlo del tutto».

– Gigi, ma qui i gol chi te li fa?
«Fiorini più Garritano, potrei risponderti».

– Hai avuto il coraggio di parlare di Zico…
«Non solo di Zico, ho parlato anche di Socrates, Mendonca, Serginho, Tita e altri campioni. Io ci ho provato perché vogliamo un grosso giocatore che abbia confidenza con il gol».

– Ti occorrono trenta punti…
«Nell’uno e nell’altro caso. O per salvarmi al pelo oppure per arrivare fra le prime otto».

– Che impatto hai avuto con l’ambiente?
«Qualcuno mi ha riconosciuto, qualcun altro no. Qualcuno mi ha fatto molti auguri, tutto qui. Impatto delizioso, l’impatto con una città che in ogni circostanza conserva sempre la sua compostezza».

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– E il Torino?
«Fatti loro».

– Cosa farà il Torino di Rabitti?
«Potrà anche puntare allo scudetto, purché sappia raggiungere e conservare una linea di continuità ad alto livello».

– Van de Korput l’hai visto?
«Un paio di volte in TV. Mi sembra un buon giocatore».

– Gli Europei: dove va a finire il calcio?
«Trionfa il calcio che mira solo al risultato, ma era anche logico che fosse così. Poi ovviamente si afferma chi ha in squadra tre o quattro campioni. La Germania li aveva, noi e l’Inghilterra per esempio no».

– Dove ha sbagliato Bearzot?
«Bearzot non poteva dare un calcio a tanti giocatori che gli avevano sempre dato parecchio. Semmai bisognerà fare qualcosa adesso. Per esempio bisognerà trovare una possibile alternativa a Causio. Io proporrei Antonelli».

– Cosa vale in effetti il nostro calcio?
«Dopo l’Argentina ci siamo un po’ seduti, tipico fenomeno di saturazione e di appagamento. Oggi il nostro calcio vale esattamente il quarto posto che abbiamo raccolto».

– Hanno colpa di allenatori?
«Quando qualcosa non va, hanno colpe tutti».

– E nella storia delle scommesse chi ha colpa?
«Mica solo i giocatori. Noi allenatori e i dirigenti dovremmo essere anche dei maestri e degli educatori. E invece spesso… Ma sì, diciamolo, quasi sempre i giocatori sono figli delle colpe di chi non li sa minimamente indirizzare».

– E’ giusto che tanti allenatori prendano più di cento milioni all’anno?
«La legge della domanda e dell’offerta è quella che regola il commercio. Se io chiedo cento e cento ottengo, beh, cosa c’è di tanto strano?».

– Perché ti sei portato dietro Ferretti?
«Perché per me è molto importante la collaborazione dì un amico e soprattutto di un tecnico con il quale l’intesa è una semplice strizzata d’occhi».

– A cinquant’anni gli allenatori in Italia vengono quasi tutti emarginati. Non ti fa paura il particolare?
«Un po’ sì, ma speriamo bene. C’è la storia del Supercorso che incide pesantemente. Io credo che a cinquant’anni e rotti si abbia rispetto ai laureati del Supercorso quella esperienza e quella meccanica che loro non possono avere. Certo loro possono essere più provveduti sul piano squisitamente nozionistico».

Non ti piacerebbe allenare all’estero?
«Ti giuro che ci ho seriamente pensato».

– Che tipo di ebbrezza ti dà la panchina?
«Il calcio lo si può vivere o vedere. Lo si vede dalla tribuna, lo si vive solo in panchina. Io voglio viverlo».

– Il calcio non è un’isola, il calcio è espressione della società civile. Tu in che misura partecipi ai problemi della società?
«Leggo, mi documento, mi interesso moltissimo».

– Ti pare che l’ambiente del calcio sia reazionario?
«E’ un ambiente nel quale si tende ancora troppo a far galleggiare il calciatore in quel determinato stadio di infantilismo, cronico. Ti ripeto: se il calciatore è viziatissimo e fa poi qualche corbelleria, non è mica solo colpa sua».

– Come lo combatteresti il terrorismo?
«Con la forza della democrazia. Penso che ci vorranno ancora almeno dieci anni per averla vinta sui terroristi. Ma non bisogna perdere la testa, alla delinquenza bisogna opporre con fermezza i metodi democratici della nostra società e vedrai che alla fine si vince…».