GIGI RIVA – LA STORIA DI ROMBO DI TUONO

Capitolo Dodicesimo

Riva con i suoi gol ci ha portati in Messico: ora la gente pretende che, con i suoi gol, ci faccia vincere la Coppa Rimet. Diventa un idolo, scatena ondate di fanatismo tra gli sportivi italiani che lo considerano un guerriero infallibile, una specie di. Achille. E, come Achille, anche Riva ha il suo punto debole. In ogni angolo ha ammiratrici disposte a tutto ma non cerca l’avventura: crede nell’amore, nei sentimenti veri. Inoltre è uno che ama il suo mestiere e sa come amministrare le proprie forze. Le donne nella vita di un calciatore sono spesso come le meteore: passano veloci, lasciano una dolce scia luminosa e si perdono in una lontananza senza fine. Riva ha diritto di avere una sua «vita privata» e se questa non incide sul rendimento dell’atleta nulla da eccepire. E’ il gol, ma non soltanto il gol, il suo destino. Riva è un uomo, non un robot schiavo del mito e tanta popolarità lo infastidisce. A volte vorrebbe essere un calciatore qualunque. Detesta i pettegolezzi.
A custodia della sua privacy ha eletto amici veri, fidatissimi, gente del porto. Gigi adora la gente umile perché si identifica in loro: sotto la scorza del campione nutre sentimenti veri, di un provincialismo semplice che lo induce a custodire gelosamente i fatti suoi.
Ai primi di maggio, mentre si sta esaurendo la Coppa Italia, con il Cagliari impegnatissimo nel vano tentativo di fare l’eri plein, la Nazionale compie l’ultima verifica prima di varcare l’Atlantico. La tappa conclusiva è Lisbona. I giornali lo definiscono il collaudo della «squadra per Riva». Invano Gigi lo nega: «Andiamoci piano a parlare di una squadra basata su di me. Sarebbe ridicolo che io imponessi una lineai di condotta agli azzurri».
A Lisbona, dopo un viaggio avventuroso, Valcareggi effettua gli ultimi esperimenti. E’ il 10 maggio. L’Italia schiera: Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Puia, Ferrante, Domenghini, Rivera, Mazzola, De Sisti, Riva. Portogallo: Damas, Pedro Gomes, Humberto Coelho, Josè Carlos, Hilario, Rui Rodriguez, Jaime Graça, Nelson, Torres, Peres, Simoes. Nella ripresa Valcareggi utilizza anche Anastasi e Niccolai al posto di Mazzola e Puia. Sul prato dell’Estadio Nacional, Riva fa cantare la sua mitraglia: due gol e vinciamo 2-1. Un grande Riva, una brutta Nazionale. Il Portogallo è privo di Eusebio, schiera ancora Simoes e Torres, i due assi, ormai in declino, del Benfica, ma noi ci convinciamo (non tutti, però) di essere i più forti del mondo e crediamo ciecamente in Riva. E così, Gigi è nell’occhio del tifone artificiale creato dai suoi gol e da una eccessiva esaltazione dei suoi mezzi. Sarà un boomerang terribile per il fuoriclasse cagliaritano.
Si va in Messico. Comincia la grande avventura ma c’è subito un grosso contrattempo per la comitiva azzurra concentrata in un grande albergo ai Parioli in Roma. Nella sala del biliardo Anastasi scherza con il massaggiatore Spialtini che, involontariamente, lo colpisce ai testicoli. Sembra un banale incidente, invece, durante la notte, verso l’una, Anastasi si sveglia di soprassalto colto da fortissimi dolori al basso ventre. Con lui c’è Furino che cerca di calmarlo ma, vista l’inutilità dei suoi sforzi, corre a chiamare il medico federale, dottor Fini. Più tardi c’è un consulto: Anastasi va operato d’urgenza. Quando in sala operatoria si sveglia, i suoi compagni sono già in volo per Città del Messico. Boninsegna e Prati, convocati in extremis, si preparano a partire.
Ora c’è un giocatore di troppo: è il milanista Lodetti, che verrà rispedito in Patria prima che cominci la Coppa Rimet. Il primo dispiacere che Mandelli e Valcareggi procureranno a Rivera, privandolo del suo fido scudiero. Boninsegna raggiunge gli azzurri e gli sembra di sognare. Quando l’avevano escluso dalla lista dei «22» aveva esclamato: «In Nazionale non ci andrò mai più».
La squadra sbarca in Messico una ventina di giorni prima che s’inizi la grande competizione. «E’ stato un errore — dirà Riva —. Il Messico è bello la prima settimana, poi stufa. Esserci andati con venti giorni d’anticipo è stata una cosa bestiale che ci ha distrutti». Le prime notti, riesce a dormire non più di sei ore anziché otto-dieci come in Italia. Patisce la differenza di clima. Con gli azzurri c’è anche un prete tifoso del Cagliari: lo ha voluto Riva. Si chiama Luciano Barp, è un padre gesuita torinese (Moncalieri) che abita a Roma. Segue qualche trasferta del Cagliari e celebra la Messa ai rossoblu. La Nazionale è diventata il Cagliari di Riva e padre Barp si sente a proprio agio.
La squadra è logicamente impostata sul «blocco » rossoblu. In Messico, oltre a Riva ci sono Albertosi, Niccolai, Cera, Domenghini e Gori. Valcareggi, sulla carta, cerca di ricalcare gli schemi di gioco opportunistici del Cagliari che dovrebbero esaltare, con lunghi e robusti lanci in profondità, le qualità realizzatrici di Riva. I quotidiani messicani presentano Riva come l’«imperatore del gol», l’anti-Pelé, il successore del brasiliano. «Sera este el pie que dà a Italia la Rimet?», dice la didascalia di una grande foto pubblicata su «La Prensa». E’ la fotografia gigante del piede sinistro di Riva, «El pie izquierdo del diablo», come lo definiscono gli indigeni. Un altro giornale pubblica a tutta pagina il sinistro di Riva e il destro di Pelé con la didascalia: «Questi due piedi insieme farebbero il più grande calciatore mai esistito». Anche in Italia in fatto di iperboli non si scherza. I giornali dipingono Riva come il «salvatore della patria» esasperando le sue già notevoli responsabilità. Non tutti, però: qualcuno ha più misura.
C’è il problema dell’altura (m. 2625 sul livello del mare) che sembra passare in secondo piano per le prodezze che Riva compie in allenamento. Il pubblico e gli inviati speciali al seguito dell’Italia restano sbalorditi quando Gigi fa il tirassegno: dal suo sinistro partono proiettili «omicidi». Ma il peggio deve ancora venire; Riva denuncia il fastidio dell’altitudine. Esplode intanto il clamoroso «caso Rivera». Mandelli e Valcareggi vogliono escluderlo dalla formazione delle partite inaugurali e gli fanno capire che sarà Mazzola e non lui a fare coppia con De Sisti. Rivera si ribella, inveisce contro Mandelli, minaccia di tornare in Italia. La polemica sfiora lo scandalo, inquina il clima azzurro ma poi si tranquillizza con l’arrivo del presidente Franchi.
Nell’amichevole con il Toluca, Riva gioca bene. La sua spalla è Boninsegna. Gigi dichiara: «Con lui almeno il gioco non sarà impostato tutto su di me». Boninsegna replica alludendo a certi dissensi cagliaritani: «Sono disposto, ad una collaborazione con Riva, non alla sudditanza. In campionato, nel Cagliari, c’era gloria per uno solo, qui può essercene per tutti».
I giornali sguazzano tra una polemica e l’altra. Riva censura il comportamento di Rivera ma dice che, fortunatamente, la squadra non ne ha risentito. Il «caso Rivera» ingenera pessimismo: si teme che l’Italia non riesca — come gli accade da 32 anni — a superare gli ottavi di finale della competizione anche se, sulla carta, Svezia, Israele e Uruguay sono potenzialmente inferiori ai campioni d’Europa. Ma la squadra che Valcareggi ha plasmato possiede grosse risorse e scaccia l’incubo della eliminazione.
L’incontro inaugurale con la Svezia, avversario tradizionalmente ostico, sta per arrivare. «Non vedo l’ora di giocare — dice Riva alla vigilia —. Mi sento concentrato, caricatissimo ma non nervoso. Sono un po’ preoccupato per l’altura e per la respirazione. Dopo uno scatto vien voglia di sedersi per terra e riprendere fiato. Ricordo che l’altro giorno a Toluca, dopo uno scatto per raggiungere un pallone lanciato da De Sisti, mi sembrava di… morire. Comunque il problema esiste per tutti ad eccezione del Messico. C’è qualche difficoltà anche nel controllo della palla. Il caso Rivera? Meglio sia esploso prima dei mondiali. Con Gianni io mi sono sempre trovato bene. Punto alla classifica cannonieri anche se è impensabile di poter battere il record di tredici gol che Just Fontaine ha stabilito ai mondiali del 1958 in Svezia o segnare i nove gol di Eusebio nel 1966 in Inghilterra. Preferisco essere pessimista. E’ la mia natura».
II 3 giugno 1970, alle ore 16 locali, gli azzurri affrontano la Svezia allo stadio Bombonera di Toluca. Valcareggi schiera: Albertosi, Burgnich, Facchetti; Bertini, Niccolai, Cera; Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva. Svezia: Hellström, Olsson J., Axelsson K., Nordqvist, Grip, Bo Larsson, Svensson T., Grahn O., Kindvall, Cronqvist, L.Eriksson.
Gli azzurri sentono troppo la responsabilità e giocano piuttosto male. Per fortuna segna Domenghini, dopo appena dieci minuti, con un tiraccio da lontano che beffa Hellström. E’ il gol decisivo. Riva è braccato da un certo Olsson che lo brutalizza, lo ferma con ogni mezzo senza che l’arbitro inglese Taylor (com’era successo in Cile con il famigerato Aston, suo connazionale) intervenga. Gigi vuole strafare, trova poca collaborazione: dopo un’azione impossibile resta come svuotato di energie.
La Svezia è superata ma piovono critiche sull’Italia e soprattutto su Riva. Lui si macera. Dice che gli mancano solo le occasioni: «Ci vogliono i lanci e gli uomini con cui dialogare. Le punte rimangono isolate. Se vogliono che io segni, qualcosa deve cambiare». E’ un linguaggio chiaro, fatto di parole secche, sferzanti, che non si prestano ad equivoci o a interpretazioni sbagliate. Riva è sempre stato un ammiratore di Rivera. Ha bisogno dei suoi lanci ma Rivera è in «castigo».
Riva si isola nell’albergo-ritiro degli azzurri. Si confida solo con Albertosi e con padre Barp. Gigi è religioso, crede in Dio. Ogni sera, prima di coricarsi, prega; in campo, prima di giocare, si fa il segno della croce e quando può va a Messa. Sui giornali scrivono che è scorbutico, presuntuoso, smisuratamente orgoglioso. Invece soffre, invece è dolce con i bambini, tenero con gli umili. Qualcuno arriva a dire che è la «maledizione di Montezuma», l’ultimo re azteco che si accanisce contro Riva e con gli azzurri, Gigi ha solo bisogno di ritrovare se stesso.
Si arriva al 6 giugno. S’incontra il lento ma pericoloso Uruguay allo stadio Cuauhtémoc di Puebla. Omar Sivori, spettatore e giornalista in Messico, avverte Riva che gli uruguayani hanno un «killer» pronto per lui: si chiama Ubina. Rivera, indisposto, è sempre tra le quinte. Giocano: Albertosi; Burgnich, Facchetti; Bertini, Rosato, Cera; Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva. E’ la stessa formazione della partita precedente anche se tatticamente più prudente. Infatti, nella ripresa, Furino subentra a Domenghini in protezione al centrocampo. L’Uruguay schiera: Mazurkiewicz, Ubiña, Mujica, Montero-Castillo, Ancheta, Matosas, Cubilla, Cortes, Esparrago, Maneiro, Bareño. E’ uno squallido 0-0. Fa comodo ad entrambe le squadre. Non c’è gioco, né spettacolo, né occasioni da gol. Riva protesta e Mazzola replica: «Le signore punte dovrebbero arretrare anche loro a prendersi le palle ».
Infuriano le polemiche ma per gli azzurri, ciò che conta, è passare il turno. L’11 giugno giochiamo con Israele a Toluca, con la stessa formazione. Israele presenta: Visoker, Schwager, Primo, Rosen, Bello, Rosenthal, Shum, Shpigel, Feygenbaum, Shpiegler, Bar. L’incontro si conclude con un altro grigio 0-0. Da registrare l’impiego di Rivera all’inizio della ripresa in luogo dell’infortunato Domenghini e un gol annullato a Riva per fuorigioco. Gigi è più nero del guardalinee etiope che ha segnalato il presunto «off side»: rischia anche una squalifica per gli insulti che gli ha rivolto dopo l’annullamento.
«Era un gol regolare — esclama Riva — uno dei gol più importanti della mia vita. A prescindere da questo punto negato, contro Israele abbiamo avuto almeno sette occasioni da gol. Io ho sbagliato la mia parte ma è inutile che mi roda il cervello per cercare delle spiegazioni. Forse, dopo aver messo la prima palla in rete; comincerò a capire qualcosa».
Riva diventa un personaggio patetico, corroso da complessi, rabbie e rimorsi, perseguitato dalla sfortuna. Ogni sogno sembra infranto, dissolto nel nulla.
Il 14 giugno, a mezzogiorno, a Toluca c’è il confronto decisivo con il Messico per la qualificazione alle semifinali. Mezzogiorno «di fuoco» per gli azzurri e non solo in senso metaforico: è una partita delicata con i padroni di casa. Va in campo la solita squadra. Il Messico si oppone con Calderon, Vantolra, Perez, Munguia, Peña, Guzman, Padilla, Gonzalez, Fragoso, Pulido, Valdivia. L’inizio per noi è un disastro. I messicani segnano con Gonzalez. Poi un’autorete di Peñaci consente il pareggiare.
Nell’intervallo di metà tempo Valcareggi e Mandelli «inventano» la staffetta tra Mazzola e Rivera. Gianni subentra a Sandrino e con lui in campo la squadra e Riva si trasformano. Gigi segna il suo primo gol, raddoppia Rivera e ancora Riva suggella la serie di marcature. I messicani sono domati. Vinciamo 4-1. Riva torna a simboleggiare le speranze degli italiani. Ha le gambe coperte di cicatrici ma il morale alto. Valcareggi annuncia: «Abbiamo ritrovato il nostro cannoniere». E Riva gli fa eco: «Sono uscito da un incubo. Ho vissuto giornate tremende. Mi vergognavo di me stesso, però non avevo perso la fiducia. Con Rivera non esistono più i trenta-quaranta metri che separano le punte dal resto della squadra. Ho fatto due gol: può essere l’inizio di qualcosa di diverso».
In semifinale ci attende la massiccia Germania Ovest di Schnellinger, Müller e Beckenbauer. E’ una partita storica. All’Estadio Azteca (17 giugno) scendono in campo le seguenti formazioni. Italia: Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato, Cera, Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva Germania Ovest: Maier, Vogts, Patzke, Beckenbauer, Schnellinger, Schulz, Grabowski, Seeler, Müller, Overath, Löhr.
Le due squadre si danno battaglia per un paio d’ore in un susseguirsi di emozioni che faranno di questo incontro «la perla» dei mondiali messicani. Vince l’Italia (4-3) dopo i tempi supplementari. La drammatica sequenza di reti è aperta da Boninsegna. Nell’intervallo Rivera sostituisce Mazzola, secondo i piani. La partita sembra vinta ma Schnellinger (proprio lui) pareggia al novantesimo. Nei supplementari segnano Müller, Burgnich, Riva, Müller e Rivera. Il pubblico va in delirio, in Italia la gente sembra pervasa da una folle esaltazione collettiva.
Negli spogliatoi. Riva dice: «Ora non ci chiameranno più abatini». Difende anche Rivera che non ha certo esaltato ma ha realizzato — questo il suo merito — il gol decisivo, il più bello. Si guarda alla finalissima con ottimismo ma nel clan azzurro subentra un pericoloso senso di appagamento, come se si fosse già raggiunto il massimo traguardo. Riva ha ritrovato la sua aggressività e vuole vincere il confronto con Pelé nell’atto supremo dei mondiali: «Voglio vederlo da vicino il re, voglio misurarmi con lui». Il sogno che accarezzava da ragazzo si avvera.
Valcareggi, per riconoscenza verso gli undici uomini che hanno portato l’Italia ad un passo dal titolo mondiale, non cambia la formazione ignorando i consigli dei medici che lo informano delle precarie condizioni atletiche in cui si trovano alcuni titolari. Il generoso Domenghini è provatissimo ma nessuno osa proporgli di non giocare la finale. Lo stesso discorso riguarda Albertosi e Bertini. Valcareggi non ha il coraggio e li manda tutti in campo: Albertosi; Burgnich, Facchetti; Bertini, Rosato, Cera; Domenghini, Mazzola, Boninsegna, De Sisti, Riva. Rivera resta in panchina tra la sorpresa generale e lo stupore di Pelé, dei brasiliani, del pubblico messicano e della maggioranza degli sportivi italiani. Il Brasile allinea: Felix, Carlos Alberto, Everaldo, Clodoaldo, Piazza, Brito, Jairzinho, Gerson, Tostao, Pelé, Rivelino.
Segna Pelé, replica Boninsegna. Resistiamo un tempo all’altezza dei brasiliani. La ripresa diventa un monologo dei cariocas che dilagano. Vanno a rete Gerson, Jairzinho e Carlos Alberto. Rivera gioca gli ultimi sei minuti. Una superiorità tecnica, tattica e atletica, quella dei brasiliani, indiscutibile. Perdiamo 1-4. Il Brasile è campione e si aggiudica definitivamente la Coppa Rimet, vinta per tre volte, come prescrive il regolamento. Noi ci dobbiamo accontentare di fare le comparse e dell’onorevolissimo secondo posto. Si torna a casa.
La squadra rientra in Italia tra le polemiche. A Fiumicino c’è anche un tentativo di aggressione a Valcareggi e Mandelli (che poco tempo dopo si dimette), colpevoli di non aver utilizzato Rivera sin dall’inizio e di aver voluto coinvolgerlo nella disfatta con il Brasile, facendolo giocare nel finale. Dopo i pomodori a Fabbri per la Corea, gli insulti per Valcareggi, processo ai giocatori e a Riva, imputato principale.
A Cagliari, in polemica con gli organizzatori messicani che hanno creato tante statue per altrettanti uomini di punta di ciascuna squadra (escludendo Riva), uno scultore sardo scolpisce un «gesso» al naturale del fromboliere rossoblu.