Giovanni Arpino: Cronache tedesche

5 luglio 1974: Grazie Muller e Maier

logo74-bar3-address-wp Il sole di Monaco è pronto a suggellare il decimo mondiale di calcio, consumatosi nel freddo e tra i nubifragi. I più forti tra i Quattro Moschettieri, cioè l’Olanda e la Germania federale, sono riusciti ad assicurarsi l’ingresso alla finalissima dell’Olimpiastadlon battendo polacchi e brasiliani mercoledì scorso. La sconfitta dei «carlocas» non ha commosso nessuno, anzi ha fatto registrare un indice di gradimento imprevedibile. Incattiviti, decaduti come maestri del pallone, sorretti da notevole fortuna oltreché dalle formule prudentissime di Zagalo, gli ex-camplonl del mondo hanno disputato la gara contro i «tulipani» al di là del codice sportivo. Botte da k.o., falciate assassine, atteggiamenti provocatori sono riusciti a porgere al «teleglobo» intero e alla critica presente il grado a cui sono scesi gli antichi maestri. Inutilmente Pelè va in giro a propagandare se stesso, determinate bibite e il superbo concetto che i brasiliani hanno di sè: nella partita contro Cruyff, i vari bianchi o neri o meticci o indios «cariocas » si sono rivelati come uomini drogati dal proprio mito, e che concepiscono il pallone quale « totem» di loro esclusivo possesso. Pur sapendosi inferiori non volevano arrendersi, ma trasformare la gara in una rissa. Forse, al posto di un arbitro tedesco, non gradito agli olandesi (ed è ovvio), troppo tollerante malgrado le ammonizioni e un’espulsione, avrebbe dovuto scendere in campo il sottosegretario americano Kissinger, presente in tribuna e amante di football, oltreché esperto di pianificazioni diplomatiche. Se iI calcio brasiliano ha inferto un duro colpo al prestigio sudamericano, se gli schemi e la condizione olandesi sono apparsi frementi di salute malgrado gli scontri che i «tulipani» reggevano con la loro ben nota corazzatura atletica, quello dei vari Beckenbauer ha patito fior di stranguglioni a Francoforte, in una partita svoltasi nella cornice del diluvio universale. Per poterla effettuare, la tecnica tedesca ha dovuto spendere tutti i suoi tesori e le sue risorse: pompe aspiranti di ogni tipo, idrovore, vigili del fuoco, rulli che raccolgono acqua, decine di ometti che guazzano nell’erba fradicia per rendere praticabili le zolle a furia di scucchiaiare quanto vi aveva scaraventato un cielo corrucciatissimo. Una autentica orgia tecnologica, che le telecamere e gli spettatori seguivano via via più preoccupati. Ma l’arbitro, l’esigenza dello spettacolo. Il «già venduto» per i video del mondo hanno fatto si che i 90 minuti trascorressero, seppure con iniziale ritardo, e anche se il campo era assolutamente inagibile. Il calcio dorato dei mondiali non può concedersi sosta: rispetta più i circuiti e i contratti televisivi che non i regolamenti. I polacchi, benché handicappati dal pantano proprio perché più classici e dotati di schemi puntuali, hanno dato battaglia senza soggezione alcuna. Privi di quello Szarmach «faccia di faina» che è punta indispensabile negli attacchi del rossi, hanno tuttavia agito quasi umiliando il kaiser Beckenbauer. Il divino Franz si è ben guardato dall’avanzare, timoroso di cadere in qualcuno dei suoi famosi «buchi». Davanti alle triangolazioni polacche, la difesa tedesca ha ballato per tutto il primo tempo. Sette le conclusioni dei rossi e due sole, per nulla pericolose, quelle dei tedeschi nei primi 45 minuti. La Germania federale è atleticamente forte, si sa: punta su «bestie» implacabili che partono dalle retrovie a dar manforte all’attacco, ha un Overath in crescendo e un Bonhof che lavora come un folle nel centrocampo. Ma è priva di sapienza tattica, e i polacchi, astuti, sono riusciti ad imbrigliarla, anche se le armoniose triangolazioni tra Lato e Gadocha venivano irrimediabilmente costrette a naufragare nelle pozzanghere. «Bravo Müller, grazie Maier», dicevano i giornali tedeschi d’oggi, e hanno perfettamente ragione. Per lunghissimi tratti il migliore dei bianchi è apparso il portiere Maier, «recuperato» con gran fortuna dagli psicologi e chiamato a un lavoro continuo dal tiri di Deyna, degli esterni Lato e Gadocha. Due gol alla fine del primo tempo, a favore dei polacchi, non avrebbero scandalizzato nessuno, anche se la regìa di Deyna risultava affannata rispetto alle prove precedenti per la morsa in cui lo stringevano Overath e Bonhof. Nella ripresa la Germania sfodera la cosiddetta marcia in più. Precisiamo: non aumenta affatto il ritmo e non infittisce o migliora gli schemi, semplicemente approfitta del calo dei rossi, affaticati da quel terreno che non li ha lasciati «produrr » reti apparse quasi inevitabili. Il centrocampo governato da Deyna patisce ormai l’arrembaggio tedesco, Lato e Gadocha si perdono (ogni buon giocatore è vittima di atteggiamenti divistici, non importa se arrivi da un Paese dell’Est o dell’Ovest: il palcoscenico mondiale contagia tutti, quando non sorregge l’intelligenza) in qualche leziosaggine. Neppure si danno pena per l’arbitro austriaco Linemalr che non è solo casalingo ma addirittura casareccio, spregia la regola del vantaggio (polacco) e lascia correre qualche botta (tedesca) con cerimoniosa acquiescenza verso il pubblico deutsche ringalluzzito. Finisce che i bianchi passano, dopo aver messo in crisi il pacchetto arretrato degli avversari, dove Gorgon, impantanato nel fango come un pescatore, ricorda ormai il nostro Ferrante dopo una cura di anabolizzanti. Un penalty al 52′: Overath stecchisce in dribbling stretto due difensori, è abbattuto da Zmuda. Dagli 11 metri il balordo tedesco Hoeness imita quel Tapper svedese che già non riuscì ad Infilare il colossale, portiere polacco. Un tiretto a mezz’altezza che «Tom» devia senza difficoltà. Ma la Germania ormai vuole la posta piena, avendo avvertito la fatica che appesantisce i rossi. La raggiunge al 76′, è Bonhof a saltare due polacchi al limite dell’area, pesca Müller (mobile ma troppo confusionario in questi mondiali) liberissimo tra Gorgon e lo stopper: il destro rapido del centravanti non spreca la botta. Uno a zero e tutti cantano, bevono mentre la partita si sbriciola, mentre altre nubi trasformano il cielo di Francoforte in una bolgia alla Daumier. Fuggiamo tutti sotto scariche che affogherebbero un branco di elefanti. E’ Monaco, ormai. I due definitivi appuntamenti del calcio mondiale stanno per concludere quello che i vecchi segugi della critica definiscono il torneo più triste degli ultimi vent’anni: per motivi di organizzazione, di clima, di ambiente, per le deficienze già fin troppo denunciate, ma anche per la scarsa lezione di calcio riversata da tanti stadi. Non ci fosse stata questa Olanda, fosse mancato questo Cruyff, qualcuno parlerebbe di fallimento totale. L’esempio degli arancioni e del loro meraviglioso «falchetto», capace di rapinare gol e di suggerire azioni a tutti i compagni, non possono però illuminare gli angoli bui di un mondiale che sarà definito di «trapasso». Gli sforzi dinamici vengono già pagati, da polacchi e tedeschi, il «collettivo» rispettabile ma arido di alcuni Paesi dell’Est si è fermato alle premesse iniziali, il declino di brasiliani, argentini, italiani ha tolto troppo pepe. Rimangono le ultime sfide: con i cariocas opposti sabato ai vari Gorgon e Gadocha, che certo non partono sconfitti, e il gran gala di domenica, tra bianchi e arancioni. Sarà davvero una «bellissima»? Dipende da Cruyff e dal fenomenale Neeskens: per la prima volta in vita loro, anche i presuntuosi tedeschi hanno una fifa diabolica.