Giovanni Arpino: Cronache tedesche

6 luglio 1974: Prima con Gorski e poi con i tulipani

logo74-bar3-address-wp L’Olympiastadion è pronto, il sole intiepidisce l’erba bavarese, anche se l’umidità serale procura laringiti. Cerchiamo tutti insieme di dimenticare i nubifragi, le montagne di carbone, il freddo subiti nel Nord. E’ finale, sia football al suo meglio. Entro quarantott’ore dovremo assistere ai due più interessanti match della Coppa Fifa e superare le paure degli ultimi possibili attentati. Monaco ha riacruistato per l’occasione la sua più felice patina olimpica, gli unici a circolare con neri volti funerei, con sguardi biechi, sono i brasiliani. Per la tribù «carioca» la disputa intorno a un terzo posto è già funerale. In verità, non commuovono nessuno. I più contenti dello scadimento brasiliano appaiono gli argentini: pagherebbero persino una cifra pur di assistere ad una vittoria polacca, pur di poter rinfacciare al rivali sudamericani il loro scadimento. La televisione tedesca, talora maligna nella sua invidiabile libertà di agire, ha trasmesso due brevi «filmati» d’attualità. Il primo riguarda come viene insaccata, ammassata, dimenticata la posta a Roma (con musiche operettistiche), il secondo Inquadra una cerimonia di stregoneria per propiziare le vittorie pallonaro dei «cariocas». All’opera è un vecchio negro, che accende candele, circonda la fiamma con una collana sospesa, brontola formule magiche, si rivolge ad oscuri dei del dribbling e del penalty. Siamo evidentemente arrivati ad una commistione di riti pagani e di religiosità pallonara che hanno del macabro e del demente. Mentre Pelè gira per le città tedesche estenuandosi In autentici «caroselli» pubblicitari a vantaggio del portafogli e di una bibita gassata, i devoti del pallone brasiliano cercano di sommuovere gli spiriti infernali. E i giocatori? Benché mediocri e provocatori, si ritengono depositari dell’unica verità riconosciuta al mondo, una verità racchiusa nella bolla d’aria della «pelota». Beceri, arroganti, cattivi sulle caviglie altrui, hanno subito una lezione straordinaria dagli olandesi. Costoro si sono impadroniti della palla per certe «meline in avanti», zuffe di prima, che hanno scatenato gli animi torbidi dei «cariocas». Lo sguardo di Zagalo, durante la partita svoltasi mercoledì a Dortmund, era allucinato, come di un’anima resa schiava di potenze tenebrose. E pensare che questo Zagalo è il più realista. Il più moderato dell’enorme clan brasilero, che si ipnotizza da solo ed entra in «trance» collettiva a furia di parole, suggestioni anormali. Per il terzo e quarto posto moltissimi, in base a queste ragioni, tiferanno Polonia. L’equilibrio, la scioltezza, il magistero di Deyna regista hanno conquistato tutti, dall’oscuro spettatore a Fabbri, a Kovacs, gli affondi di Lato e Gadocha hanno distribuito pozioni cospicue di raziocinio pallonistico. I polacchi verranno ricordati a lungo non solo per certe individualità ma per gli schemi, la grazia, la geometria collettiva che ha riscattato in sei partite le sacche della stanchezza o della mediocrità, anche vistosa, denunciate da vari componenti della squadra rossa, la partita con il Brasile vedrà alle prese le residue forze polacche e la cattiveria dei «cariocas», campioni deposti e stregoni smitizzati che tuttavia non vogliono perdere la faccia. L’ara dell’Olympiastadion sarà rovente, giusto prodromo per l’incontro domenicale, che olandesi e tedeschi stanno studiando nel loro «ritiri» con l’attenzione dei grandi marescialli giunti all’ultima mossa strategica. Monaco è in festa, straripano le orde dei tifosi «tulipani», un po’ storditi dal tepore ma sempre in vena di brindisi. Cappelli, bandiere, sciarpe arancioni stanno trasmigrando dal Nord per il gran rito di domenica, un giorno che gli appassionati di football considerano fatale, pretendono meraviglioso. Dopo un mese di lotte talora brutali, di tensioni agonistiche, di tecnicismi arroventati, slamo alla soglia, al traguardo del «gala». Non possiamo dimenticare certe cadute (la nostra, soprattutto), non possiamo tacere che al gran calcio dinamico la sola Olanda e mezza Germania Federale sono sopravvissute, pagando prezzi spaventosi, non ci è lecito scordare che diversi arbitraggi hanno funzionato malamente e forse peggio: per far qualche nome, da Barreto a Linemayr, gente disposta a tollerare botte, scivolate sulle caviglie, falciate omicide che alla vigilia del «mondiali» gli stessi arbitri riuniti avevano dichiarato da punire severamente. La mediocrità dei «fischietti» non è solo nostrana, dunque, ma universale e costituisce una grave zavorra per lo svolgimento d’un gioco ormai salito a livello di spettacolo che impegna l’intero globo terracqueo. Diciamo Polonia prima, e infine Olanda: i «rossi» di Gorski meritano il terzo posto, i «tulipani» d’uno dei più piccoli Paesi del mondo meritano il titolo, dovrebbe essere questa la conclusione regolare, ma le follie e le irrazionalità del pallone vantano ancora un buon trenta per cento dalla loro parte, in quarantott’ore di paura agonistica, tifosa e spettacolare, verranno a galla le ultime verità. Poi il «mondiale dell’argento» (come lo chiamano certuni, con riferimento al denaro e ad un metallo non pregiatissimo) sarà ormai tema di storia.