Giovanni Arpino: Cronache tedesche

8 luglio 1974: I tedeschi sono campioni del mondo

logo74-bar3-address-wp Qualcuno sta già dicendo: non è vero, sono i bavaresi guidati da Beckenbauer a fregiarsi del titolo, poiché dopo i fischi raccolti da Amburgo a Francoforte in un mese di calcio, finalmente nella loro città più mediterranea, e cioè Monaco, hanno superato l’Olanda, segnato i due gol e messo in gran dispetto i teutoni del Nord. Mentre Cruytf abbandona l’erba dell’Olympiastadion dopo una prova non squillante, talora addirittura fioca, il popolo bavarese impazza nel ricordo di una partita che è già mitica. Avesse vinto la squadra arancione, cioè l’Olanda, l’intero mondo avrebbe riso, perché l’intero mondo ha ammirato, goduto, accarezzato con gli sguardi il gioco di Cruyff lungo 540 minuti di sfide. Ma sono stati gli ulteriori 90 minuti ad abbattere la baldanza degli arancioni, che appaiono degli autentici figli di Guascogna. Lottano, si battono, rischiano, sprecano, irridono alla stessa serietà ossessiva del pallone, e così perdono l’ultima battaglia, imitando, in questo esempio, proprio i tedeschi, tenaci sempre, perfetti spesso, ma autentici trionfatori quasi mai. Dopo vent’anni, tuttavia, i campioni germanici ripetono l’impresa che nel ’54 vide i loro fratelli maggiori sconfiggere gli ungheresi di Puskas, davvero grandissimi. Il «mondiale» si chiude con qualche interrogativo non risolto, con un arbitraggio talmente astuto da non accontentare chi pretendeva lotta leale, e con il volto affilato di Giovannino Cruyff che avrebbe scommesso metà dei suoi miliardi sulla vittoria arancione. Due rigori, un terzo gol di Müller, due palloni-gol salvati da Maier e almeno uno dal portiere olandese, un primo tempo ferrigno da parte dei bianchi, un secondo tempo più ardimentoso ma anche sfortunato da parte degli arancioni; rischi in contropiede per tutti, azioni veloci, duelli al limite del codice sportivo e una aggressività sostenuta dall’immensa forza atletica di quasi tutti i contendenti: ecco in sintesi l’etichetta di questa partita. Spezzata, rabbiosa, la gara può essere piaciuta in modo forse dubitativo sugli schermi televisivi, ma chi l’ha seguita dal vivo non la dimenticherà facilmente. Nel pomeriggio dell’Olympiastadion il football ha bruciato in un gran rogo mille motivazioni: dall’interesse politico a quello spettacolare, dai temi tattici al rude scontro fisico. Mentre il pubblico, implacabilmente casalingo, seguitava a fischiare il geniale Cruyff, fermato da una «marcatura» più che italiana e opaco nelle invenzioni che tutti attendevano. Conquistato il vantaggio al primo minuto, il «falco» olandese e tutti i suoi guasconi hanno creduto di poter trapanare la Germania come un castello di legnetti, quelli che erigono i bambini e si tengono in equilibrio per miracolo. Ma i tedeschi, sospinti da Breitner, Bonhof, Hoeness e Overath, sorretti alle spalle dal miglior Beckenbauer visto ai «mondiali», hanno cominciato la loro partita via via rinforzando i controlli, spremendosi in accaniti duelli per fronteggiare le azioni larghe degli olandesi. Raggiunto il pareggio dopo 25 minuti, passano in vantaggio prima che scada il tempo, e nella ripresa resistono alle ondate successive, veementi, ma spesso confusionarie, degli avversari, che Cruyff non sa imbeccare come nei giorni buoni. La disinvoltura, la stessa allegria degli arancioni offrono così la coppa Fifa ai bianchi, che negli ultimi minuti, su velocissimi contropiede, minacciano a loro volta le retrovie olandesi. L’arbitro Taylor ha fatto mirabilie nel giocare le sue carte, ammonendo a sproposito, irritando vari atleti delle due parti. E’ finito il decimo mondiale di calcio, che abbiamo battezzato la «Coppa della pioggia». La soddisfazione bavarese non accontenta il mondo, anche se in questa ultima partita all’Olympiastadion i tedeschi si sono dimostrati più decisi, hanno fatto «più squadra» rispetto agli arancioni, troppo sicuri di sé fino a rendersi colpevoli di «mancato mondiale». Le previsioni «politiche» della vigilia sono state rispettate, anche troppo. I tedeschi volevano a tutti i costi questo titolo. Se lo meritano al cinquanta per cento per le loro virtù, l’altro cinquanta va attribuito invece agli errori degli avversari, davvero imperdonabili, si chiamino brasiliani o italiani o polacchi o, infine, olandesi, prodighi sino al punto di ritrovarsi dopo sette partite con una classica manciata di lenticchie. Il «falco» Cruyff non è riuscito a strappare le penne al pavone Beckenbauer.

Le pagelle di Arpino
GERMANIA
MAIER: Anche in quest’ultima partita si oppone magnificamente a due palloni-gol. E’ uno degli artefici del mondiale tedesco. Agile, dai riflessi fulminei, ha recuperato proprio per la Coppa Fifa la sua concentrazione e la fiducia in sé stesso, grazie al lavoro di un’intera «équipe» di medici. Non ha commesso un solo errore in un mese.
VOGTS: E’ un duro, e lo dimostra in qualsiasi occasione. Ferma anche il principe Cruyff, sfuggitogli solo al primo minuto. Compie falli, è ammonito, ma la sua coscienza professionistica, esaltata fino al cinismo, ha in lui uno dei più forti difensori di questo mondiale.
BREITNER: Tanto brutto quanto utile, tanto sbilenco quanto feroce. I suoi appoggi, le sue fughe lungo le fasce laterali ne fanno un motore prezioso, adatto a reggere il centrocampo e a sbrogliare con agilità in area le situazioni più ingarbugliate.
SCHWARZENBECK: Si batte con teutonica crudeltà su chicchessia, imponendo la forza fisica e una visione implacabile del gioco stretto. In ogni squadra, uomini come lui, chiamati in gergo «assassini», sono indispensabili.
BECKENBAUER: Ha lottato con l’intelligenza che gli riconosciamo, ha rischiato un paio di volte l’autogol. E’ riuscito a servire nel finale due ottimi palloni per il contropiede tedesco. E’ vanesio e gode di simpatie solo nella sua città, che lo ha eletto «kaiser in mutande». Ma la Nazionale l’ha costruita sulle sue misure e necessità, e questo è indubbia intelligenza, sicuro senso del gioco e di sapere tattico.
BONHOF: Si batte leoninamente, stantuffando per ogni dove. Da lui partono le azioni più penetranti, da lui dipendono gli interventi sul pericolosissimo Neeskens. Atleta completo, mai assente dalla lotta, e un punto-chiave nella squadra mondiale.
HOENESS: Doveva essere la stella più brillante di questa Coppa. Ha giocato a corrente alternata, talora sprizzando faville, talora soggiacendo ad errori. Negli ultimi e decisivi novanta minuti si sacrifica come un gregario, meritandosi il rispetto dei grintosi e disinvolti avversari. He ancora un grande cammino davanti a sé.
GRABOWSKI: Non e un genio, ma la sua forza consiste nell’averne coscienza. Punta pericolosa, crea spazi, si lancia in affondi utilissimi, recupera a centrocampo e non si risparmia. Con lui in campo, anche i movimenti di Müller risultano più agevoli alla manovra tedesca.
OVERATH: E’ cresciuto dalla prima all’ultima partita. Dopo lo «choc» iniziale del gol su rigore, ha tardato un poco a rimettere ordine nel centrocampo tedesco, ma poi si è investito di una regia essenziale, veloce sia nelle fasi offensive sia in difesa. E’ giocatore completo, più facile da capire per i suoi compagni che non un Netzer. Hanno avuto ragione sia il «kaiser» sia Schoen a volerlo in squadra ad ogni costo.
Müller: Astutissimo sempre, piroettante come al solito, pronto e freddo sul tiro che offre il gol vincente alla Germania. Non è più strepitoso come negli anni scorsi, tende ad ingrassare, ma crea problemi all’interno di qualsiasi retrovia avversaria. Anche un centravanti all’antica come lui risulta essenziale nel gioco tedesco.
HOLZENBEIN: E’ una «punta» veloce, incisiva, freschissima. Dai suoi sprint sono nati gli spunti più pericolosi per il pacchetto difensivo arancione. Subisce anche un probabilissimo fallo da rigore, a quattro minuti dalla fine, in un contropiede di ottima fattura.

OLANDA
JONGBLOED: Porta le ginocchiere come un portiere degli Anni Trenta, fa il tabaccaio, tutti lo irridono per la sua propensione ad uscire dall’area come un «libero». Però devia due diffìcili palloni-gol e merita maggior considerazione. Non sarà mai Zoff, ma agli olandesi potrebbe bastare, se non giocherellassero troppo in area.
SUURBIER: E’ un atleta tagliato nel legno più duro, anche se considera l’avversario come una nullità. Spesso, approfittando di questa superba disposizione, il tedesco Hoclzenbein lo intrica notevolmente. Certo non è all’altezza dei compagni che gli stanno davanti.
HAAN: E’ un «libero» impegnatissimo a soccorrere e triangolare in centrocampo. La sua mobilità è notevole, anche se talora lo porta a scoprire la sua zona con una indifferenza che rasento la colpa. Allunghi e traversoni pulitissimi, che trovano sempre l’uomo pronto ad accoglierli sulle fasce laterali. Che « bestia » di giocatore.
RIJSBERGEN: Gioca 68 minuti, sostituito poi da Van De Kerkhof. E’ duro come il granito, si impossessa del pallone e lo gioca opponendo il fianco all’avversario come se fosse cento metri lontano dalla propria area. Pretende da se stesso la più smisurata prestazione in scioltezza e spesso vi riesce, grazie all’invidiabile salute fisica del suo impianto. Potrebbe scavare una miniera da solo.
KROL: Se la vede con Grabowski, e sono scintille, rotoloni, spinte e guizzi da centometristi siamesi. Naturalmente eccede in sicurezza, e i tedeschi non sempre sanno approfittarne. Duella in avanti, spingendo a pieni pedali, ma stavolta non gli va bene: il suo maestro Cruyff sta troppo a guardare.
JANSEN: Picchia, corre, avanza, retrocede nella tipica manovra a largo raggio degli arancioni. Dovrebbe guardare Overath, spesso lo salta, o ne è saltato, grazie a reciproche furie. Nel secondo tempo è uno di quelli che «spingono» di più, ma la difesa serratissima dei bianchi finisce con l’insabbiarlo.
VAN HANEGEM: Con quel sinistro potrebbe persino dipingere, ma, dovendo «tenere» Hoeness, uno dei migliori tedeschi, ha il suo da fare per l’intera partita. Arriva anche su due buoni cross, ma la sua non eccelsa elevazione gli fa sbattere via la palla. La sua fronte non e magica come l’alluce mancino.
NEESKENS: Momenti da autentica belva dell’area, un paio di bombe (compreso il rigore) che esplodono dal suo intero corpo impegnato a scaricarsi nei bulloni come una corrente elettrica. Bonhof lo assalta e lo dirotta con folate rabbiose, con duelli omicidi. E così Giovanni II d’Olanda non riesce a trovare il secondo gol.
REP: Corre con Breitner avviticchiato alle costole, ha il momento per una staffilata da gol, nella ripresa, ma Maier si sacrifica di corpo come un kamikaze. Non e riuscito a sfruttare i cross alti, perché la difesa tedesca è astuta, piazzata, e possiede qualche spilungone degno dell’olandese volante.
CRUYFF: Addio, o bel falco. Ti sei addormentato, innervosito, svuotalo di genio proprio nella partita più importante. Al primo minuto sei apparso come una stella filante, e ottieni il giusto rigore. Ma proprio da questa facilità di mosse hai tratto conclusioni sbagliate, illudendoti di aver vinto in sessanta secondi una coppa d’oro massiccio. E così hai proseguito con scarse idee e nessuna visione, miope come il tuo principe d’Olanda, avendo sempre addosso la mignatta Vogts, pedina vincente del buon vecchio mago Schoen.
RENSENBRINK: Non e guarito a tempo dalle botte inflittegli dai brasiliani (complici involontari dei tedeschi a questi mondiali, come lo furono vent’anni fa battendosi alla morte con gli ungheresi). Fa poche cose e al 46′ dev’essere sostituito da De Jong, che cerca di sostenere gli attacchi arancioni, spingere al massimo, e che si tuffa in area come un missile, ma senza frutto, il gioco largo degli olandesi finiva cosi nelle trincee del «kaiser», dove i vari Breitner si batte vano con l’elmetto chiodato in testa.