Giuseppe Tomasini: lo scudetto nel distributore

«Avevamo Manlio Scopigno, un allenatore particolare. Niente ritiri per le partite in casa. Ci ritrovavamo alle 10 del mattino al ristorante Il Corallo. Ciascuno era padrone di vivere come gli pareva»


Aveva dentro di sè l’abitudine alla fatica:A quattordici anni ero già in fabbrica, alla Marzoli di Palazzolo sull’Oglio, Brescia. In catena di montaggio a costruire macchine tessili per ventimila lire al mese“.
Poi venne il calcio e Giuseppe Tomasini svoltò: “Servito e riverito in tutto. Pagato bene per giocare a pallone, non mi sembrava vero. Sposai una ragazza di Rovato, nel Bresciano, e ci pensò mio suocero, imprenditore, a spiegarmi che un giorno il sogno sarebbe finito. Il papà di Enrica aveva pronto per me un posto in azienda, ma avevo il mal di Sardegna e presi un’altra strada“.
Cagliari, quartiere di Is Mirionis, zona di Sant’Avendrace. Rione popolare sulla strada per l’aeroporto di Elmas. Qui lavora Giuseppe Tomasini, difensore del Cagliari dello scudetto ’70. E’ il titolare del distributore della Ip. Un bell’impianto, con officina e bar. Due dipendenti per le pompe di benzina e gasolio, la caffetteria in gestione.
Smisi di giocare a 31 anni – racconta Tomasini – e nel ’78 ero allenatore in seconda di Toneatto al Cagliari, in serie B. Bagnoli mi voleva con sè, avevo altre offerte. Ma soffrivo di mal di Sardegna, una cosa simile al mal d’Africa: impossibile rinunciare a questo clima tropicale, al sole e alla brezza e al cielo limpido. In più non avevo voglia di costringere la famiglia a continui spostamenti in giro per l’Italia. Però qualcosa dovevo fare. Sapevo di questo distributore, dei problemi che aveva e della necessità di rilanciarlo. Trattai e lo ebbi in comodato. Significa che l’area appartiene all’Ip e che io gestisco le pompe e il resto. Contratto da rinnovarsi ogni sei anni. Finora non ho avuto problemi: quando subentrai vendevamo 300.000 litri di benzina l’anno, oggi siamo a tre milioni di litri annui“.

Da allora, da quel mattino di svolta del 1978, sveglia alle 6.30 e tante giornate ai bordi della strada. Dalle 7 alle 19, con la pausa pranzo per rifiatare.
I sacrifici non mi sono mai pesati. Memore dei giorni trascorsi in piedi alla Marzoli, ci misi unattimo a dimenticare gli alberghi a 4 stelle e riabituarmi al lavoro vero. Poi faticare in Sardegna è un piacere: il sardo è fiero e orgoglioso e rispettoso di chi si dà da fare“.
Tomasini è sardo, ormai. La cadenza lombarda è sparita, sepolta da trent’anni vissuti nell’isola e sostituita dall’intonazione di Cagliari capoluogo.
Arrivai qui nel ’68. Venivo da due stagioni nella Reggina e da una nel Brescia. Se avessi potuto, avrei rifiutato il trasferimento. Cagliari mi spaventava, a Reggio Calabria mi ero fatto un’altra idea del Sud”.
Timori azzerati in pochi mesi: “Di nascita sono lombardo, ma papà era veneto e la mamma di Lecce. Sono cresciuto tra nebbia e terra. Qui apri la finestra e hai orizzonti ampi, visibili. Capisco la lingua sarda e un pochino la parlo. Mi considero uno di Cagliari. A Palazzolo ho un appartamento in cui non abiterò mai“.

Ma è proprio così? Si può rinunciare di botto al calcio per una sdraio al Poetto, la spiaggia di Cagliari? Non può essere e non lo è: “Per riuscire come allenatori o dirigenti bisogna cambiare pelle, arrivare a compromessi con la propria dignità, diventare un pò ruffiani. Non sono portato. Preferisco muovermi in proprio: il distributore di viale Monastir 150 è qualcosa di solido. Per farlo funzionare ci devo mettere testa, buona volontà e niente di più“.
Una considerazione che ne annuncia un’altra: “Riva è un esempio perchè non ha mai venduto la faccia. Gigi si sarebbe potuto comprare la Sardegna intera, gli sarebbe bastato dire di sì a questo o quell’altro sponsor. Non lo ha fatto, non si è trasformato in merce“.
Ma poichè la passione resiste, Tomasini si è ritagliato uno spazio nel cosiddetto calcio minore: “Sono direttore sportivo del Quartu Sant’Elena, campionato di Eccellenza. In squadra c’è uno dei miei due figli, Angelo, di ruolo stopper. L’altro si chiama Stefano. Due bravi ragazzi. Uno è laureato in Economia e Commercio e uno è a pochi esami dal traguardo“.
La passione resiste, si diceva: “Sono terzino nella Giorgetti, torneo amatori over 40. Compagni di squadra tanti ex del Cagliari: Brugnera, Novellini, Dessì“.

E il grande calcio? Ogni anno il Cagliari mi regala la tessera di tribuna. Fa piacere. Per il resto collaboro con una tv locale, commento le partite del Cagliari“.
Com’è il grande calcio visto da una postazione defilata?
“Mi pare che i valori non contino più. Sono i soldi a muovere il sistema. E tecnicamente c’è impoverimento. Per forza: nei vivai allenano i ragazzini a correre e saltare. Nel ’70 l’Italia avrebbe potuto mettere insieme due nazionali competitive per il Mondiale, oggi ne allestiamo a malapena una“.
Altro calcio, quello del ’70: “Nell’anno dello scudetto avevo un ingaggio di 20 milioni. L’equivalente di 200 milioni di oggi, credo. Niente rispetto alle cifre che girano in questi anni. Eppoi bisognava sudarsi il contratto anno dopo anno. Non come adesso che firmano quadriennali stragarantiti“.
Altri tempi: “Avevamo Manlio Scopigno, un allenatore particolare. Niente ritiri per le partite in casa. Ci ritrovavamo alle 10 del mattino al ristorante Il Corallo. Ciascuno era padrone di vivere come gli pareva“.
Niente schemi, al massimo qualche movimento per portare Riva al tiro: “Scopigno ci sistemava in campo e ci lasciava liberi di creare. Credo che nell’arco di una settimana Scopigno non mi parlasse per più di 10 minuti in tutto. Però se ne intendeva. Mi volle a Cagliari perchè mi aveva visto in un Brescia-Fiorentina. “Quel giorno – mi spiegò poi – toccasti tre palloni e io pensai: o è un brocco o è un campione. Mi è andata bene”. Ci allenavamo pochissimo. Ero magrissimo ed entravo in forma subito. La nostra forza era lo spogliatoio. Riva era un leader credibile, onesto, umano“.

Altro calcio, ma non troppo: Davamo fastidio alle grandi e nel 1968-69 ci misero qualche bastone tra le ruote. Franchi, grande dirigente federale, era toscano e lo scudetto, guarda caso, lo vinse la Fiorentina. Ma l’anno dopo non poterono nulla: ci provarono, mi ricordo di un paio di episodi scandalosi a San Siro contro l’Inter, ma eravamo troppo forti“.
Lo scudetto del ’70 è scolpito nella storia di Cagliari. Un evento segnatempo: c’è una Sardegna prima dello scudetto e ce n’è un’ altra dopo. “I racconti si tramandano di generazione in generazione, la gente continua a ringraziarci. Specie i sardi emigrati, quelli che all’epoca lavoravano nelle grandi fabbriche di Torino e Milano. In un certo senso li “vendicammo” di anni di sofferenze, di pane duro, di amarezze“.
Affiora un ricordo: “Nel maggio ‘ 70 dovevo partire per la coppa Rimet in Messico, ma mi ruppi un ginocchio. Meglio così: se avessi giocato in nazionale, il presidente Arrica mi avrebbe venduto a uno squadrone e io avrei perso la Sardegna“.
Ipotesi lontane, il futuro di Tomasini è nel fai da te. “Il mestiere del benzinaio sta cambiando, dobbiamo abituare i clienti a servirsi da soli. Le compagnie vogliono che i distributori sviluppino il no oil, cioè le attività collaterali all’erogazione della benzina“.
Un piccolo grande scudetto dell’imprenditoria: “Quel che posso dire è che la vita va vissuta e conquistata ogni giorno“.

Testo di Sebastiano Vernazza

Giuseppe Tomasini (Palazzolo sull’Oglio, 28 settembre 1946)

StagioneClubPres (Reti)
1964-1965 Brescia1 (0)
1965-1967 Reggina44 (1)
1967-1968 Brescia22 (0)
1968-1977 Cagliari156 (0)