Il Palermo di Veneranda e la finale di Coppa Italia

El Gringo, lo straniero. Non perché fosse di chissà quale paese (era marchigiano di Porto San Giorgio), ma per il suo stile di vita, modi ruvidi e confronti schietti. Racconto impossibile, quello del 1979, Coppa Italia persa contro la Juve a tre minuti dalla fine dei tempi supplementari, se prima non si parla di lui, di Fernando Veneranda, per tutti Nando, El Gringo, appunto, o Penna Bianca per via dei capelli bianchi forse fin dalla nascita. Un uomo, un personaggio, un tecnico che ha ispirato scrittori e poeti per le sue imprese disperate, per i quattro gol rifilati al Milan quando era allenatore dell’Avellino, per i contenuti del suo carattere sincero fino all’autolesionismo: due biografie in vita dal titolo El Gringo e Fernando Veneranda. Un libro di poesie di Davide Ceccarelli, “Dove la terra annega”, dopo la sua morte per un male incurabile e fulminante avvenuta il primo marzo del 2007. Un anti personaggio per eccellenza che lanciava sfida impossibili.

La più grande appunto alla Juventus di Trapattoni, di Causio, di Scirea, di Zoff, di Bettega, di Benetti, di Furino, di Tardelli e Cabrini nella stagione 1978-79. Una stagione di passaggio nella quale Veneranda doveva accontentarsi di poco e quel poco lo avrebbe anche cercato con giocatori sconosciuti non certo passati alla storia ma di grande forza morale: Iozzia, Gregorio, Vermiglio. Il convento passava quel che poteva. Gli acquisti? Il ritorno di Arcoleo, il difensore Silipo, l’attaccante Montenegro ormai sul viale del tramonto, i giovani Maritozzi e Paolinelli, il punto interrogativo Walter Sabatini, sì proprio lui, presenze zero per via di malanni mai guariti. Intanto, partono nomi eccellenti: Majo al Napoli, Vullo al Torino, Magistrelli al Lecce. Per fortuna a novembre sarebbero arrivati Gasperini e soprattutto Magherini.

Fernando Veneranda con la moglie Laura

Il gruppo era limitato, le qualità non mancavano. Frison tra i pali si difendeva bene; Silipo e Di Cicco costituivano una sicurezza; Citterio era il Fabio Grosso di quei tempi. A centrocampo enorme spessore con la precisione di Brignani e l’infinita classe di Magherini, supportate dal dinamismo di Osellame e Borsellino o dalla freschezza di Maritozzi. E in attacco la fantasia e il senso del gol di Chimenti uno che per Nando avrebbe dato l’anima. Erano i tempi in cui Veneranda frequentava il Supercorso di Coverciano e dunque dava gli ordini per telefono e a fine settimana raggiungeva i giocatori. Attenzione, siamo negli anni settanta e i cellulari non esistevano, per cui la stessa telefonata da Coverciano era quasi un’ impresa.

Nando teneva compatto ambiente, spogliatoio e squadra, controllava tutto e piombava all’improvviso nella casa dei suoi atleti. Memorabile la notte in cui entrò dalla finestra nell’appartamento di Maritozzi che, svegliato di soprassalto gli si scagliò contro pensando fossero dei ladri. Veneranda era tutto d’un pezzo. Amico o nemico, sempre professionista meticoloso. Poteva venirti a prenderti a Napoli e portarti in ritiro a Forno di Zoldo ospitandoti di passaggio a Porto San Giorgio, in campo si tornava ciascuno nelle proprie vesti, allenatore e giornalista. Un giorno si rimase in discoteca in Svizzera fino all’alba. Le donne erano ai suoi piedi, ma Nando non avrebbe mai tradito Laura. A Cernobbio, per difendere in un locale notturno il suo grande amico, l’attore Luigi Maria Burruano, colpevole di avere familiarizzato con una ragazza, salì su un tavolo e rompendo una bottiglia, El Gringo mise in fuga fidanzato e amici che minacciavano una spedizione punitiva.

In campionato il Palermo stentava a trovare la miscela giusta. In Coppa volava. La squadra realizza l’impossibile con una memorabile vittoria sul Torino di Gigi Radice. Poi il Palermo liquida il Brescia di Gigi Simoni. Siamo ai quarti. Contro la Lazio di Lovati 0-0 alla Favorita, 0-0 a Roma. E 0-0 anche ai supplementari, dunque rigori e lo spettro della finale persa contro il Bologna. Ma quella di Veneranda è una pattuglia di ragazzi decisi e senza paura. Si va ad oltranza. Tocca a cuore matto Citterio che non esita. Risponde un mito: Tassotti. I palermitani fermano il respiro: rincorsa ed errore!

La rete della vittoria di Causio

Il Palermo va in semifinale contro il Napoli. Alla Favorita è ancora zero a zero. A Napoli rispunta Citterio che segna altri due gol. È finale. Il 20 giugno 1979, al San Paolo, fra il delirio di ventimila palermitani, i rosa ci ritentano. Davide contro Golia. Questa la formazione: Frison, Gregorio, Citterio; Brignani, Di Cicco, Silipo; Maritozzi, Borsellino (30′ s.t. Arcoleo), Chimenti (1′ s.t. Osellame), Magherini, Conte.
Pronti via e per la Juve le cose si mettono subito male. Un lungo lancio dalle retrovie trova in piena area Conte, l’ala sinistra siciliana è bravo a inserirsi tra Gentile e Zoff e a prolungare verso Chimenti che irrompe dalla parte opposta e in diagonale infila nella rete sguarnita: 1-0.

Comincia fin dal secondo minuto la lunga e faticosa rincorsa bianconera che produce ripetute azioni e mischie nei sedici metri palermitani. Tardelli offre a Causio l’occasione di un tiro vincente ma Citterio respinge sulla linea a portiere battuto. Stessa sorte tocca al 34’ a Morini, biondo stopper juventino tutt’altro che avvezzo al gol, che sugli sviluppi di un corner prima impegna Frison in una respinta, poi riprende e batte a colpo sicuro, Magherini salva ad un passo dal gesso della riga di porta. Il tempo si chiude con Frison che vola a deviare in angolo una gran botta di Tardelli (36’).

…e la Coppa va alla Juventus

Dopo una manciata di minuti della ripresa Trapattoni vara un doppio cambio: fuori Morini e Virdis, dentro Brio e Boninsegna. “Bonimba” segna al 12’ ma Barbaresco annulla per fuorigioco. La Juve aumenta la pressione, il Palermo si chiude sempre di più, Bettega viene atterrato in area e subisce un duro colpo al costato che lo costringe a lasciare il campo in barella, con una costola incrinata. Le sostituzioni sono ultimate, i bianconeri ridotti in dieci tentano l’ultimo sforzo, Tardelli sprinta sulla sinistra e crossa rasoterra, Boninsegna non ci arriva per un soffio, la palla percorre tutto il lato lungo dell’area piccola e incontra l’irrompente Brio che si materializza in corsa e di destro scaraventa in gol: 1-1 al 39’, si va ai tempi supplementari.

La Juve con l’uomo in meno si fa più guardinga mentre la stanchezza prende il sopravvento e consiglia anche il Palermo a non rischiare più di tanto. La classe, però, non conosce limiti e la Juve, ovviamente, ne possiede in maggior misura rispetto ai volonterosi avversari. Mentre scocca il 117’ minuto, a tre dalla roulette dei rigori, Tardelli centra da sinistra, Boninsegna stacca e di testa serve Causio appostato al centro dell’area rosanera, il Barone controlla di destro e in mezza girata, con lo stesso piede, piazza il pallone a fil di palo alla sinistra di Frison: 2-1.

Siciliani affranti per l’occasione sfumata, Juventus in delirio per una vittoria attesa ma resa entusiasmante dal tormentato andamento del match, ripreso per i capelli e portato a casa quando tutto sembrava perduto.