KLAUS BACHLECHNER – Intervista giugno 1981

Lo chiamano il tedesco, lo descrivono avaro e scontroso, dicono pure che non sappia parlare italiano ma in realtà sono pochi quelli che possono affermare di conoscerlo bene. Insomma, chi è l’ex bolognese? Ve lo spiega lui stesso, parlando della Nazionale e dell’Inter del suo futuro

La sinfonia di Bach

MA INSOMMA, tu sei italiano o tedesco?
«Son tirolese di Brunico Voi dite altoatesino, io dico tirolese».
Klaus Bachlechner, ventotto anni, il cosiddetto tedesco di ferro, Centosessantuno partite in Serie A e un solo piccolo grande gol, quel fulmine che si infila nella porta di Mascella. E poi, chi è ‘sto Klaus che alterna una esemplare condotta domenicale a lunghi e ovattati silenzi durante la settimana?

– Per esempio, è vero che non sapevi parlare l’italiano?
«Ho studiato grammatica italiana alla mia scuola tedesca, ma la lingua l’ho imparata tardi, sui diciotto anni. Fortuna che mi ha tanto aiutato la grammatica, fortuna perché così parlo un italiano molto corretto. Ma io in casa mia ho sempre parlato tedesco, anzi, no, macché tedesco, ho sempre parlato il dialetto della Val Pusterìa».

– Parliamo un attimo dì casa tua…
«Mamma, mia sorella e io. Mio padre è morto che io ero ancora un bimbo. Mio madre è una donna formidabile. Non ci ha mai fatto mancare niente e anche adesso io non le do una lira perché lei è orgogliosa e dice che ce la fa lo stesso…».

– E tua sorella grande atleta?
«Ha vinto il titolo italiano di pentathlon, ora ha deciso di ritirarsi. E’ professoressa di educazione fisica, vuole solo insegnare».

– E tu cosa volevi fare?
«Intanto volevo diplomarmi e poi il pallone, sì, il pallone mi è sempre piaciuto da matti. Un giorno da qui mi hanno portato a fare un provino a Verona, ho avuto fortuna, mi hanno subito apprezzato e poi via un po’ in giro a Novara e a Pisa a farmi le ossa. Nel frattempo mi sono diplomato e sui libri ho imparato la lingua italiana. Adesso faccio economia e commercio, sono a due terzi del cammino, ma sicuramente la laurea la prendo».

– Per fartene cosa?
«Per fare il commercialista a casa mia».

– E niente più palla?
«No, il pallone non potrò dimenticarlo. Magari alleno la squadrina del paese o faccio il dirigente, ma sempre a livello locale perché da Brunico dopo io non mi muovo più».

– C’osa ti ha dato il calcio?
«Fama, denaro, consapevolezza dei miei mezzi in ogni campo, mi ha dato tutto».

– Adesso sei anche padre…
«Ho sposato una ragazza di Verona e mi è nato il primo figlio. Non credevo che un figlio assorbisse così. Se mia moglie dice che ha pianto io mi metto subito dei problemi…».

– Parliamo dei tuoi soldi…
«Lo sapevo che ci saremmo arrivati…».

– Passi per un tremendissimo avaro…
«Sai invece cosa sono io? Un grandissimo coglione…».

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– Spiegati meglio…
«Intanto spesso io ho preso meno soldi dei miei compagni. E poi perché devo accettare di prendere la metà di un altro giocatore della mia stessa squadra? Tu considera cosa prendeva l’anno scorso Savoldi e cosa davano a me… e così mi sono seccato e ho fatto presente che i giornali scrivevano che ero uno dei migliori stopper del campionato e che insomma se per qualcuno i soldi c’erano, beh, dovevano esserci anche per me».

– E i tuoi soldi li metti tutti sotto la pietra?
«I miei soldi li ho investiti in una grossa casa a Brunico, una grossa casa fatta di alcuni miniappartamenti che mia madre segue e amministra».

– Bach, com’è il nostro calcio?
«Abbastanza sano».

– Certo che il calcio-scommesse…
«Io mi sono stupito per quelle sentenze date un po’ così. Ho l’impressione che si sia calcato troppo la mano con qualcuno e che altri siano rimasti abbastanza impuniti».

– E per te il calcio sarebbe proprio tutto sano?
«Non si può dire che un episodio riprovevole debba per forza bollare a vita tutto il calcio italiano…».

– Ma il nostro calcio a te piace tutto?
«Non mi piace la mentalità speculativa. Io vedo come si gioca in Austria e in Germania. Là puoi anche prendere due gol, ma se sei in gamba poi ne fai quattro. Qui invece guai a chi si muove…».

– Tu sei un giocatore che si muove poco…
«Vero, io devo stare a quei che mi dicono dalla panchina. Però non mi sento un paracarro e hai visto anche tu che se mi muovo posso pure fare gol».

– Il primo dopo sette anni di Serie A…
«Non per dire, ma se potessi avere più libertà di movimenti, un paio di gol all’anno potrei sempre farli».

– Tu e la Nazionale…
«Brutto discorso, lasciamo andare…».
– Ci speri ancora?
«Ma no, chiamarmi adesso sarebbe ridicolo e inutile..».

– Quanti gettoni hai?
«Gettoni nella nazionale militare, cioè niente di niente».

– E sarebbe giusto?
«Evidentemente il signor Bearzot non ha mai apprezzato il sottoscritto. Avrebbe almeno potuto chiamarmi con la sperimentale, ma ha chiamato il mondo intero e non me. Pazienza, si vede che non sono mai stato il suo tipo».

– Collovati, Gentile e Ferrario: li ritiene più forti di te?
«Sono tutti giocatori molti in gamba, potrei aggiungerci Danova e qualche altro».

– E il segreto di questo Bologna?
«Una grandissima umiltà».

– Tu ti interessi di politica?
«Sì e no, leggo qualcosa, ascolto la TV, ma ho idee mie ben precise…».

– Per esempio…?
«Gli italiani hanno spesso buonissime intenzioni, dico il popolo e anche i governanti. Ma poi tutto si sbraga, da una parte e dall’altra».

– Ti definiresti più conservatore o progressista?
«In tutte le mie cose sono discretamente conservatore».

– E quando ti chiamano il tedesco?
«Non è mica un’offesa, è un modo per etichettarmi e come tale lo accetto».

– Ma voi di Brunico vi sentite più italiani o tedeschi?
«Noi di Brunico ci sentiamo tirolesi della Val Pusterìa, una razza a parte».

– Una razza come?
«Un po’ come ì bavaresi, grandi bevitori e fumatori, lo semmai sono l’eccezione: non fumo, non bevo, parlo poco, rido quasi mai…».

– Tu a quarant’anni: ci hai mai pensato seriamente?
«Intanto fammi giocare ancora quattro o cinque anni e poi vediamo, vediamo… comodamente a casa, mia madre e mia moglie che amministrano gli immobili che ho e poi un buono studio da commercialista. E il tardo pomeriggio sul campo o in sede a parlare di pallone. E la domenica qualche volta a Verona o a Monaco a vedere il Bayern. O anche a Bologna perché io mi affeziono molto alte città nelle quali ho vissuto».

– A proposito: saprai che te ne devi andare da Bologna…
«Non so un bel niente e la cosa mi secca tanto perché non è giusto che il mondo intero dica, scriva e sappia che io giocherò nell’Inter, ma il mondo intero meno il sottoscritto…».

– Milano, la grande Milano…
«Io sarei stato a Bologna anche una vita, ma chiaramente l’Inter è un grosso club, l’Inter può proiettarti nel giro internazionale, l’Inter può farti galleggiare sempre in zona scudetto…».

– Diceva Garonzi: quando con Bach si parla di ingaggio, bisognerebbe prenderlo a schiaffi…
«Garonzi te lo raccomando io…».

– Dice Fabbretti: quando si parla di soldi, Bach diventa matto…
«Ti ho già, detto, no? Sono un supercoglione che ormai non riesce più a sfatare una certa leggenda. Ma lo sai quanto volevano darmi quest’anno?».

– Sessanta milioni.
«Cala pure, e di molto. E allora cosa sono io?».

– Un tedesco di ferro.
«No, un tirolese che si è stufato di farsi prendere per il cosiddetto!».