LAMBERTO BORANGA – marzo 1976

A guardia della porta del Cesena dei miracoli, il mitico, inossidabile dottor Boranga

Intervista di Claudio Sabattini, Guerin Sportivo marzo 1976


Del dottor Lamberto Boranga, 30 anni, un maschio e due figlie, portiere tito­lare del Cesena-rivelazione di Pippo Marchioro e del «commenda» Manuzzi (det­to per inciso, la squadra è dall’inizio del cam­pionato che viaggia sempre a quota quinto sesto posto in classifica generale), di Boran­ga, dicevamo, ormai si è detto e scritto tutto. Certo è che il portiere cesenate non è un gio­catore sui generis: le tifose dicono che asso­miglia all’attore Franco Nero, i romagnoli trovano che quando è in forma è meglio di Zoff. Anche negli errori, aggiungono, quelli che fa lui il portiere della Nazionale non se li sogna nemmeno. Magari li fa per troppa sicurezza, magari in certi gol balordi gioca un pizzico d’istrionismo, però Lamberto Boranga così è fatto e così bisogna accettarlo. Del resto lui rispecchia alla perfezione il carattere un poco garibaldino e guascone della squadra. «Son tutti miei burdell», proclama Manuzzi. Bo­ranga, allora, lo è un po’ più degli altri.

Calcio a parte, Boranga non si distingue solo nella laurea in biologia. Adesso si è sco­perto che scrive poesie. Pasqualin (segreta­rio dell’A.I.C.) lo ha addirittura invitato for­malmente a partecipare ad un concorso in­detto dall’Associazione Calciatori, attraverso il loro organo di categoria. Come dire che in una categoria fino ad oggi definita di «muscolari», dove il cosiddetto «calcio atletico» ha portato ad una riscoperta, o meglio, ad una rivincita del polpaccio sul fosforo, in que­sto contesto il dottor Boranga e le sue poe­sie aprono un discorso nuovo. Per lo meno, mai fatto finora.
«Per la verità, tutto quell’interesse attor­no alle mie poesie io non lo capisco proprio. Pare che la poesia l’abbia inventata io. Al con­trario, si tratta di versi personali, buttati giù in momenti particolari, come sempre accade a chi si improvvisa poeta. Rispecchiano miei ricordi personali che io ho cercato di ferma­re nel tempo. Magari ci sono anche riuscito nella giusta maniera, però restano sempre cose mie».

— D’accordo Boranga, però un calciatore che partecipa ad un concorso di poesia rap­presenta, come minimo, una novità. Un qual­cosa a cui non siamo ancora abituati e per questo se ne parla.
«No, un momento. Tu dici che un portie­re come me che scrive poesie rappresenta una novità; io, invece, dico che è una novità nella stessa identica misura in cui fino ad oggi i calciatori sono stati visti unicamente sotto una certa etichetta. Magari di «musco­lari» come hai detto prima, oppure ad es­sere appena un poco più benevoli, di gladiatori. Pagati anche troppo, ma sempre appar­tenenti ad una razza il cui scopo è quello di far divertire. Altrimenti son fischi, insulti e piacevolezze simili».

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— Il gioco, però, viene accettato libera­mente da ambo le parti e i suoi controsensi non si scoprono certamente da oggi.
«Attenzione, amico: quando ognuno di noi decide di far il calciatore per mestiere, vende alla sua Società unicamente le sue prestazio­ni professionali. Punto e basta, è la legge del­la domanda e dell’offerta. Ognuno di noi, cioè, fatto quanto stabilito dal contratto dovrebbe essere lasciato libero di fare quello che vuole. In fondo,’ checche si dica di noi calciatori, siamo uomini liberi (o non liberi, come prefe­risci) come tutti gli altri».

— Ed invece?
«Invece accade che il calcio ti condiziona sempre e comunque. Questo non si può fare, quest’altro è vietato; se ci si riunisce tra compagni di squadra guai a parlare di poli­tica o di problemi sociali. In altre parole, ti trovi emarginato, senza neppure sapere il per­ché. Vedi, quest’anno le cose al Cesena sono cambiate notevolmente, ma fino alla passata stagione si poteva parlare solo di calcio. C’e­rano tra noi ragazzi in gamba, preparati, che so, Brignani, Cera ed altri. Con loro ogni tanto si parlava, mettiamo, del problema del­l’aborto. Non facevi a tempo ad iniziare che piombava Bersellini ed il discorso era chiuso. Quest’anno ne parliamo, non abbiamo limiti e la squadra gira ugualmente. Allora?».

— D’accordo, Boranga, sulle libertà. Però voi calciatori professionisti rappresentate un investimento per le Società. Spesso dell’ordine di centinaia di milioni. Ecco, allora, che que­sta loro tutela, fors’anche troppo possessiva, diventa comprensibile se non del tutto giu­stificabile.
«Vedi, il problema va impostato così: d’ac­cordo sugli obblighi concernenti il nostro la­voro di calciatori, le Società — di comune accordo (e qui sta il difficile) — dovrebbero farsi parte attiva nel prepararti, oppure nel lasciarti libero di farla, l’attività del dopo-calcio. Darti un indirizzo su cosa fare a car­riera finita. Siccome oggi tutto questo non è ancora entrato nell’ordine d’idee di una S.p.a. calcistica, ecco che una attività parallela a quella di giocatore viene mal tollerata, la si indica come responsabile del calo di forma o di prestazioni negative. E’ mai possibile che non capiscano che se la nostra carriera si svolge in un arco abbastanza breve, al con­trario, quella normale dura ancora per altri dieci-quindici anni? Quindi, in questo tempo un ex-calciatore cosa deve fare, magari com­prarsi una tabaccheria o un bar con i soldi guadagnati?»

– Tutto questo come si integra col signor Boranga?
«Nell’unica maniera che mi è concessa dal­la mia laurea in biologia. Cioè, faccio una spe­cie di internato all’ospedale Bufalini di Ce­sena (gratuito, chiarisco tutto) e intanto mi preparo per i prossimi esami. In altre parole, faccio pratica oggi per il mio lavoro di doma­ni. Se tutto quello che faccio ti pare giusto, allora ti dovrebbe sembrare altrettanto giu­sto anche quello detto prima a proposito di un secondo lavoro».

– Per altri, comunque, il problema si po­ne in termini meno qualificanti di chi è in possesso di una laurea. E questo, ovviamente, fa cadere il discorso sull’eterna illusione di chi è dentro al mondo del calcio: quella di continuare a farvi parte.
«Io ti domando: e a far che cosa? Non certo l’allenatore, e mi spiego. Ormai il calcio atletico, il calcio totale, quello all’olandese e quell’altro alla tailandese, hanno livellato il gioco del pallone ovunque. E questo cosa ha portato come conseguenza? La specializzazio­ne. Ormai gli allenatori sono dei tecnici, degli specializzati. Chi crede di poter sedere su una panchina soltanto per il nome che magari aveva quando praticava, è un illuso. Oggi fare l’allenatore è difficile perfino in serie C. Per entrare a farvi parte, per restare a galla, bi­sogna avere notevoli numeri, bisogna essere al passo con i tempi. Altrimenti ti conviene cambiare mestiere, fare l’osservatore sui campetti di periferia, con lo stesso stipendio di un impiegato di terza categoria. II calcio non è riconoscente, stanne pur sicuro».

— Dottor Boranga, stando a quanto si dice, la laurea ha già fatto il primo miracolo. Si dice che il «Bufalini» grazie al calciatore, potrà finalmente essere dotato di determinate attrezzature per la diagnosi e la prevenzione dei tumori.
«Beh, è chiaro che il calcio ti dà una po­polarità che difficilmente riusciresti ad otte­nere in altro modo. Cosa ha fatto il primario di quel reparto? Un semplice ragionamento commerciale, tipo carosello: se tanto mi dà tanto, Boranga mi può dare i fondi necessari per gli strumenti mancanti. Così è nata la faccenda della sottoscrizione. All’inizio l’esse­re strumentalizzato mi ha dato un poco fasti­dio, poi è passata e sono contento dell’esito dell’iniziativa: i fondi necessari sono già stati reperiti ma le offerte continuano. Meglio co­sì».

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— E veniamo al Boranga attuale, quello delle poesie e delle sedute di ipnosi medica dal dottor Magni.
«Credimi, la terapia di Magni era una co­sa seria. Io ne ho tratto dei giovamenti in­credibili, sotto molti aspetti. Per quanto riguarda il Boranga delle poesie, ho già detto tutto prima. Son cose mie, ecco».

— A leggerle riecheggiano vagamente Prévert e Neruda…
«Magari! Io, comunque, scrivo unicamente quando ne sento il bisogno. Vedi, Pasqualini mi aveva invitato a scrivere un racconto. Ho rifiutato perché credo di non essere tagliato per opere troppo lunghe. Sono dispersivo per natura, quindi resto alle poesie brevi. O per lo meno, tento».

— In definitiva, quindi, la poesia potrebbe funzionare da valvola di sfogo.
«Non direi. Piuttosto una maniera come un’altra di realizzarmi al di fuori dai pali di una porta. Ecco, sai cos’è per me la poesia? E’ come la negativa di un attimo particolare. Prima vivi il momento magico, poi — grazie appunto alla poesia — sei in grado di avere un replay».

Fine. Fine, cioè, del personaggio Boranga, «portiere diverso» con risvolti poetici. Il dottor Lamberto, tuttavia, preferisce met­terla sul piano serioso della sua professio­nalità. E racconta compiaciuto di quando Gianni Mura (della Gazzetta dello Sport) mise in dubbio non solo le sue parate, ma pure i suoi studi di biologia. Erano i giorni della tesi, Boranga tagliò corto ai sospetti, se lo prese sottobraccio e se lo portò alla discussione. Alla fine, fu la tesi per lui e il convincimento per Mura. La domenica dopo, però, incassò due gol.