MADJER Rabah: il tacco di Allah

Nell’estate del 1988, un giovane algerino è all’apice della propria carriera. Si tratta di Rabah Madjer. Soprannominato “tacco di Allah” in virtù della prodezza con cui aveva regalato al Porto la coppa dei campioni 1987, nella finale di Vienna contro il Bayern Monaco, è considerato il miglior calciatore algerino di ogni epoca. Le squadre interessate a Madjer sono tante, tra queste c’è anche l’ Inter di Ernesto Pellegrini, che insieme a Giovanni Trapattoni, alla terza stagione sulla panchina nerazzurra, intende intraprendere un nuovo progetto di rinnovamento. Fondato innanzitutto sulla rinuncia all’arte efebica di Scifo, per puntare sulla forza di campioni tedeschi come Matthaus e Brehme e sulla freschezza atletica del propulsore di centrocampo Nicolino Berti, giovane promessa proveniente dalla Fiorentina. In attacco invece la scelta cade appunto su Rabah Madjer, considerato il partner offensivo ideale da affiancare alla prima punta, gran colpitore di testa, Aldo Serena. Un acquisto che fa scalpore visto che si tratta del primo calciatore algerino a giocare nel campionato italiano.

Quando Rabah Madjer nasce a Hussein Dey, quartiere non lontano dal centro di Algeri, nel 1958, la parola “calcio” viene sussurrata a bassa voce dai suoi connazionali. Come si fa a parlare di calcio in un Paese devastato da anni di guerre e patimenti, eredità della cruenta dominazione francese? Beh, è impossibile. Eppure quella stessa passione per il pallone diventa inevitabilmente un’oasi felice in cui molti bimbi algerini possono dimenticare, anche se solo parzialmente, tutti i drammi della guerra, nella speranza magari di costruirsi un futuro migliore.

Madjer non fa eccezione, anche perché viene subito agevolato da un innato talento nel trattare il pallone, e nel suo Paese, non appena il ragazzo comincia a mettersi in luce nella squadra del NA Hussein Dey, non sono in pochi a paragonarlo a un grande calciatore algerino che aveva spopolato in Francia con il Saint-Etienne solo pochi anni prima: il celebre Rachid Mekhloufi.

Che Madjer ci sappia fare è sotto gli occhi di tutti: a soli 20 anni debutta in Nazionale; un biennio più tardi (anno 1980) incanta sia in Coppa d’Africa, in cui ottiene la piazza d’onore, sia soprattutto alle Olimpiadi di Mosca, quelle del boicottaggio occidentale. E’ però nel 1982 che Madjer e tutta l’Algeria si guadagnano la simpatia da parte di tutti, non solo per la splendida vittoria ottenuta all’esordio contro i tedeschi, ma anche per la maniera ingiusta in cui i maghrebini vengono eliminati dal torneo, cioè al termine della discussa partita tra gli stessi tedeschi e i compiacenti austriaci, match che tuttora è accompagnato da pesanti sospetti.

Bildnummer: 01570724 Datum: 16.06.1982 Copyright: imago/Sven Simon Freud und Leid - Rabah Madjer (Algerien, Mitte) hat zum 0:1 getroffen und dreht jubelnd ab, Karl Heinz Förster (re.), Hans Peter Briegel (2.v.re.) und Uli Stielike (alle BR Deutschland) sind enttäuscht; Karlheinz, BRD - Algerien 1:2, Vdia, quer, Strafraumszene, Torraumszene, Tor, Treffer, Gegentor, Jubel, jubeln, Torjubel Weltmeisterschaft 1982, Nationalmannschaft, Nationalteam, Nationaltrikot, Länderspiel, Gruppe 2 Gijon Begeisterung, Freude, Enttäuschung, Fußball WM Herren Mannschaft Totale optimistisch Aktion Personen

Smaltita quella delusione, Madjer inizia a vagliare le offerte dall’estero, nonostante nel suo Paese vige una norma che impedisce ai calciatori algerini con un’età inferiore ai 28 anni di trasferirsi in Europa. Nel 1983, dopo una lunga querelle con la Federazione, Madjer vince la sua battaglia e si trasferisce a Parigi, precisamente al modesto Racing Club, la società che tre anni più tardi battezzerà il debutto europeo di un altro gigante di quegli anni ’80, l’uruguaiano Enzo Francescoli, ma che nel 1985 non può rifiutare l’offerta di un’ambiziosa squadra portoghese, il Porto.

C’è un’immagine emblematica che fotografa al meglio l’epopea di Madjer con la maglia dei Dragoes: 27 maggio 1987, Prater di Vienna, finale di Coppa Campioni. Il Bayern conduce 1-0 una gara spigolosa. Nella ripresa, al 37′, il folletto Juary mette un pallone interessante nell’area tedesca, giusto giusto per Madjer. L’africano è spalle alla porta, ma con un pazzesco e inaspettato colpo di tacco ruba il tempo alla retroguardia tedesca e trova un gol da cineteca. 180 secondi più tardi, lo stesso Juary indovina il guizzo che consegna la coppa al Porto.

Madjer è l’eroe della serata e quella prodezza sarà per sempre il suo più autorevole marchio di fabbrica. E’ quello il Porto del bomber Fernando Gomes, dei geniali Futre e Juary; era soprattutto il Porto di questo fuoriclasse partito dal Maghreb con tanta voglia di sfondare e divenuto col tempo il più forte straniero mai approdato alla corte dei Dragoes. Già nella prima stagione, Madjer aveva iniziato bene, vincendo subito il campionato, ma quella Coppa dei Campioni rappresenta il vanto di una società e di una generazione. A dicembre, poi, lo stesso Madjer decide la Coppa Intercontinentale col Penarol con un diabolico pallonetto, e allora il Pallone d’Oro africano non può sfuggirgli.

Nel gennaio del 1988 viene ceduto in Spagna, al Valencia, società dove rimane in prestito gli ultimi mesi della stagione prima che nell’estate dello stesso anno parta l’asta per accaparrarselo. Per la società nerazzurra non è facile, vista l’agguerrita concorrenza di club blasonati come Ajax, Barcellona e soprattutto Bayern Monaco, con cui il giocatore aveva già sottoscritto un accordo. Alla fine è però l’Inter a spuntarla e il 6 Giugno il giocatore, trentenne, viene presentato alla stampa. Ha gran voglia di far bene l’ algerino, gli ultimi mesi per lui sono stati d’oro e pieni di successi: Coppa dei campioni, Supercoppa europea, Coppa Intercontinentale, Pallone d’Oro africano. Un ottimo biglietto da visita, non c’ è che dire.

Ma, improvvisamente, ecco la doccia fredda. Sul campione infatti, sottoposto alle visite mediche, emergono perplessità sulla completa guarigione da un grave infortunio muscolare patito alcuni mesi prima nelle file del Valencia quando, in una partita di campionato, Perez Garcia, giocatore del Murcia, con una dura entrata gli aveva lesionato il muscolo della coscia sinistra. Secondo la prognosi del medico dell’Inter Pasquale Bergamo la rottura del muscolo del bicipite femorale è stata subtotale, lasciando un avallamento sotto sforzo di circa tre centimetri nella gamba. Pertanto, visto il rischio, non se la sentiva di rilasciare alcun certificato di garanzia muscolare. L’ Inter a questo punto, resasi conto della situazione, decide di tutelarsi e il 23 Giugno, emana un comunicato in cui afferma che la patologia muscolare di cui soffre il giocatore potrebbe portare alla rescissione del contratto. Madjer non ci sta. L’algerino è sicuro di essere sano o comunque guaribile, magari con apposito intervento chirurgico. Si susseguono giorni febbrili in casa nerazzurra.

L’Inter, scottata dai precedenti, (Rumenigge, Coeck, Muller) ha paura di puntare su un altro giocatore menomato, così decide di rituffarsi sul mercato acquistando, in prestito dalla Fiorentina, l’argentino Ramon Diaz, giocatore dato ormai per finito e che invece si rivelerà determinante per la conquista dello scudetto dei record. Trovato il sostituto, Madjer viene rispedito al mittente, sia pure con tanto di scuse dalla società nerazzurra. Ma l’algerino si sente preso in giro. E’ distrutto dalla vicenda e pochi giorni dopo il suo addio, precisamente il 30 Luglio 1988, si sfoga pesantemente, affermando: “A Valencia, presso una clinica privata, avevo già fatto una tac alla coscia sinistra e l’esito è stato negativo. Ero a posto. Il giorno dopo, a Milano feci un’altra tac e stranamente l’esito fu totalmente diverso. Non c’è l’ ho con nessuno in particolare per quello che è accaduto, ma c’è l’ho con l’Inter in generale perché mi fanno rovinato l’immagine appiccicandomi addosso l’etichetta del giocatore rotto”.

La vicenda non fu mai chiarita del tutto ma Madjer, che per arrivare all’Inter aveva stracciato l’accordo già firmato con il Bayern, da quel preciso momento non lo vuole piu’ nessuno. Ritorna al Porto, ma però non è più lo stesso: il brutto infortunio patito a Valencia e l’amarezza per un allettante trasferimento all’Inter saltato proprio a causa di quell’infortunio, ne limiteranno drasticamente gol e rendimento nei tre campionati successivi.

Nel 1990, comunque, nei panni del bomber evergreen, guida la sua Algeria alla vittoria della Coppa d’Africa, ancora più bella perchè ottenuta davanti al pubblico di casa. E’ quello in pratica l’ultimo sussulto di una saga da Oscar. Peccato solo che ai successi ottenuti da giocatore, non abbia fatto riscontro un’altrettanto importante carriera da allenatore, spesa soprattutto nei Paesi Arabi, con due passaggi, peraltro senza gloria, proprio sulla panchina della sua Algeria. Oggi lavora come opinionista per l’emittente araba Al Jazeera-Sports, dove è apprezzato per schiettezza e competenza.