Maggio 1982: il Bologna retrocede in serie B

Dopo l’ottima stagione ‘80/81, il club felsineo conobbe l’onta della prima retrocessione dalla massima serie nonostante la grande stagione di Roberto Mancini.

Il campionato di serie A 1981/82 è passato alla storia non solo per il ventesimo scudetto della Juventus, con il rigore di Brady a Catanzaro che portò la “seconda stella” sulle maglie della Vecchia Signora, ma anche per le clamorose retrocessioni di due squadre che alla vigilia non erano certamente annoverate tra le pericolanti: Milan e Bologna. Se per i rossoneri si trattò addirittura di un ritorno in cadetteria, dopo il declassamento a tavolino del maggio ’80 per il calcio-scommesse, la retrocessione del Bologna fu un fatto nuovo per il calcio italiano. Il 16 maggio 1982 arrivò la prima discesa dei felsinei nel purgatorio della serie B. Le gioie del campionato 1980/81, con il settimo posto finale della squadra, guidata in panchina da Gigi Radice, partendo con un handicap di 5 punti, scomoda eredità dello scandalo scommesse, erano già un lontano ricordo. La stagione precedente, oltretutto, aveva visto due giocatori del Bologna arrivare in Nazionale maggiore: Franco Colomba e Beppe Dossena (quest’ultimo sarà anche tra i convocati al Mundial di Spagna).

Nell’estate ‘81, dopo la decisione di Radice di trasferirsi al Milan, il presidente rossoblu Tommaso Fabbretti affidò la squadra a Tarcisio Burgnich, tecnico non proprio esperto, avendo maturato una sola esperienza in A sulla panchina del Catanzaro. Per il vicecampione mondiale di Messico 70, autore di uno dei quattro gol nella mitica Italia-Germania dello stadio Azteca, l’inizio fu subito in salita. In Coppa Italia, il Bologna, preceduto da Reggiana e Udinese, venne eliminato già nella fase iniziale. Dalla campagna acquisti-cessioni la squadra era uscita indebolita. Ceduti Dossena, Vullo, Garritano ed il brasiliano Eneas, gli innesti di Neumann, Mozzini, Chiorri e Chiodi fecero scaturire parecchi dubbi. Emersero presto anche problemi di spogliatoio, ingigantiti dal super ingaggio accordato al tedesco Neumann (ex Colonia). In campionato la partenza del Bologna fu alquanto stentata. La prima vittoria arrivò dopo sei partite: 1-0 al Partenio di Avellino, con rete di Chiodi. A quel successo seguì una serie negativa che fece scivolare i rossoblù al penultimo posto in classifica, in coabitazione con il Milan. La dirigenza decise di continuare con Burgnich, allenatore che aveva fatto esordire in A, non ancora diciassettenne, Roberto Mancini.

L’esordio di Mancini

Marino Perani, responsabile del settore giovanile del Bologna, scoprì Mancini a tredici anni, ingaggiandolo per 700 mila lire dopo un provino lampo. L’esordio in prima squadra fu nel derby di Coppa Italia contro la Reggiana. A Como, il 4 ottobre ’81, il giovanissimo Mancio firmò la sua prima rete in serie A, completando la rimonta del Bologna nel 2-2 contro i lariani. In quel campionato Mancini giocò tutte le partite, diventando il valore aggiunto della squadra che grazie alla giovane promessa, emersa dal vivaio, rimase in corsa per la salvezza fino alla fine. Il momento topico della stagione arrivò il 14 marzo ’82 a Cesena. La batosta rimediata dal Bologna (4-1, con tripletta di Garlini e gol di Schachner per i romagnoli) portò all’esonero di Burgnich, sostituito da Franco Liguori. Il cambio tecnico diede la scossa sperata. I rossoblù, infatti, dopo aver battuto la Roma in casa, grazie alle reti di Fiorini e Mancini, impattarono un prezioso 0-0 casalingo contro la Juventus capolista. Il baratro distava appena due punti ma la reazione, auspicata dai tifosi, c’era stata. Tuttavia, si trattò soltanto di un guizzo d’orgoglio prima del tracollo finale. Battuto a Napoli e Firenze, da due squadre d’alta classifica, il Bologna conobbe in casa, contro l’Udinese, la sconfitta più pesante: 2-0 siglato Gerolin e Causio.

Situazione disperata

La situazione divenne molto complicata. La squadra felsinea stazionava al quartultimo posto, con appena un punto di vantaggio dalla zona retrocessione. Lo scontro diretto del 2 maggio ’82, a Marassi contro il Genoa, fu un vero e proprio spareggio salvezza. Bastò un gol in avvio di Boito per dare il successo ai grifoni liguri. Il Bologna, alla quarta sconfitta consecutiva, scivolò in penultima posizione, con il baratro della serie B sempre più spalancato sotto i suoi piedi. Pur con molte assenze e con qualche giovane della squadra Primavera in campo, il Genoa ebbe la meglio. All’undici di Liguori non bastò la buona prestazione allo stadio “Ferraris” di Adelmo Paris. Per il portiere genoano Martina fu una domenica piuttosto tranquilla. L’unico pericolo arrivò da Neumann, alla mezzora della ripresa: troppo poco per una squadra obbligata a fare risultato. Il successo contro l’Inter, nell’ultima esibizione davanti al pubblico amico, fu esaltante ma beffardamente illusorio. Gli effetti positivi in classifica furono azzerati dall’exploit del Cagliari ad Avellino (1-4) e dal successo interno del Genoa contro il Catanzaro (2-0).

Roberto Mancini al tiro in Bologna – Inter 3-1, 9 maggio 1982

Ascoli, capolinea per la salvezza

Ascoli fu la tappa conclusiva della stagione. Era il 16 maggio ’82. Al Bologna toccò una missione quasi impossibile: vincere al “Del Duca” sperando in una sconfitta del Cagliari (in casa contro la Fiorentina, in lotta per lo scudetto) o del Genoa (a Napoli contro una squadra ormai senza obiettivi). La speranza di agguantare la salvezza sul filo di lana durò una manciata di minuti. In terra marchigiana, Mozzini portò in vantaggio il Bologna. Al silenzio di Cagliari fece da contraltare il sorpasso del Napoli che in avvio di ripresa ribaltò il risultato contro il Genoa, portandosi in vantaggio con Musella al 62’. A quel punto, il Bologna era clamorosamente salvo. Furono otto minuti di gioia vera. Al 25’ della ripresa, tuttavia, Fortunato Torrisi pareggiò i conti per l’Ascoli. La mazzata definitiva alle speranze dei felsinei arrivò quasi allo scadere, con il 2-1 dell’ascolano Greco. La B sotto “le due torri” divenne realtà.

Bologna usciva così dal ristrettissimo gruppo di squadre italiane mai retrocesse, comprendente allora soltanto Juventus ed Inter. Si concluse nel modo peggiore un campionato che passò alla storia come una “tragedia sportiva epocale per Bologna”. Tante le cause che contribuirono al deragliamento: il tecnico Burgnich che non riuscì a dare un gioco alla squadra ed il tedesco Neumann, condizionato da un grave infortunio ad inizio stagione, capace di far rimpiangere Eneas. Al resto contribuì una difesa colabrodo – deluse persino il portiere Zinetti – ed un reparto offensivo (Fiorini, Chiodi e Chiorri) ben al di sotto delle aspettative. A mister Liguori, chiamato a centrare una salvezza quasi miracolosa e con una rosa praticamente in fase di disarmo, mancò quel pizzico di fortuna e di esperienza necessarie in questi casi.

Il rifiuto di Radice

Il presidente Fabbretti, per rinvigorire l’ambiente, annunciò il ritorno di Gigi Radice, primo tassello dell’operazione “risalita immediata” in massima serie. Poche settimane dopo, però, scoppiò il “caso Mancini”. Il fuoriclasse bambino, capace di accarezzare il pallone come solo i grandi sanno fare, certezza del football italiano ad appena diciotto anni, fu al centro di una trattativa di mercato con la Sampdoria di Paolo Mantovani. Il presidente blucerchiato convinse il numero uno bolognese a cedergli il gioiello di Jesi, con una trattativa condotta in Svizzera dal Ds Borea, appena uscito dal Bologna retrocesso ed ingaggiato proprio dalla Samp.

Naufragava così il sogno dei tifosi rossoblù di potere ritornare grandi con un campione costruito in casa. La trattativa venne chiusa per 4 miliardi di lire più la cessione di giocatori quasi a fine carriera: Galdiolo, Logozzo, Roselli e Brondi. Radice rifiutò di allenare i rossoblù senza Mancini. In città si scatenò una durissima contestazione, aggravata da una sassaiola nella sede lavorativa del presidente Fabbretti, un assicuratore arrivato ai vertici del club bolognese nel 1979. Qualcuno tentò persino di incendiare la casa del massimo dirigente felsineo. Uno scenario quasi apocalittico. Con queste premesse partì l’avventura in B del Bologna 1982/83. Stagione che si sarebbe chiusa con un fallimento ancora più clamoroso dell’anno precedente: la retrocessione in C della squadra rossoblù.

La squadra Allievi del Bologna. campione d’Italia 1981/82

Lo scudetto “Allievi”

Nell’infausta stagione ‘81/82 arrivò, tuttavia, una gioia: lo scudetto conquistato dagli “Allievi” del Bologna, guidati dall’allenatore-educatore Antonio Soncini. Con Roberto Mancini leader in campo, la squadra emiliana piegò due volte il Bari in finale: 4-1 in casa e 1-0 in trasferta. Serietà e sacrificio furono gli elementi principali propugnati da mister Soncini. Il Mancio fu il miglior in campo, onnipresente e decisivo. Gli Allievi rossoblù ‘81/82 – dove si mise in evidenza anche il futuro juventino Giancarlo Marocchi, vennero definiti, dai vertici della Federcalcio presenti alla finale, “i veri alfieri di un grande Bologna baby”.

  • Testo di Sergio Taccone