Quando l’Old Trafford divenne italiano

L’ATTESA

“E’ proprio vero, c’è un tempo per tutto. Un tempo per non vincere più nulla in Europa e un tempo per tornare a comandare in Europa. C’è un tempo per essere buttati fuori pur disponendo della Nazionale più forte dopo Spagna 82 e un tempo per rialzare la testa con i nostri club. Un tempo per sentirci dire dagli spagnoli come si gioca a calcio e un tempo per ricordare agli spagnoli che dal calcio italiano hanno ancora tanto da imparare”. Xavier Jacobelli, Corriere dello Sport, 15 maggio 2003.

“Ci hanno deriso per mesi e mesi, al di là di ogni ragionevole critica, come se qualche Mosè avesse consegnato soltanto a loro le tavole del pallone. E adesso li vediamo uscire dal campo in ginocchio, come i devoti della virgin macarena,storditi dalla durissima lezione incassata in quella che loro avevano definito “la patria dei trogloditi del calcio” Candido Cannavò, Gazzetta dello Sport, 15 maggio 2003.

“Quale sarà l’indice di ascolto che si registrerà in Spagna la notte del 28 maggio per la finale di Champions League?” Luca Calamai, Gazzetta dello Sport, 16 maggio 2003.
“L’importante è esserne consapevoli, fino in fondo: stiamo per vivere un evento irripetibile. Chissà quando vedremo due italiane di nuovo nella finale di Champions: possibile, certo, ma non avrà comunque il fascino struggente di questa prima volta. Manchester diventerà un lugo del mito per il nostro sport, se ne parlerà per decenni”. Franco Arturi, Gazzetta dello sport, 28 maggio 2003.

In queste citazioni, enfasi ed atmosfere di quei giorni. Vi tralasciamo dodici giorni di colonne giornalistiche che parlano di orgoglio italico rinato, di patti tra tifoserie per un gemellaggio “che mostrerà all’Europa il grado di civiltà dei tifosi italiani” (Giancarlo Padovan, Tuttosport, 27 maggio 2003), di una Manchester già “nostra” e di una rivalsa verso una platea internazionale, prevalentemente spagnola (toh!), che per mesi e mesi aveva criticato il nostro calcio, definendolo antiquato e poco spettacolare. Dodici giorni lunghi quanto una maratona. Dodici giorni che partoriscono mille e più ipotesi di formazioni, duemila e più discussioni da bar sport, e un sentimento di patriottismo che travalica i confini del tifo, almeno fino al calcio di inizio. A quel punto, quando il designato arbitro Merk darà il via alla finale dei sogni, fregare il tuo avversario, bianconero o rossonero, sarà una volontà che neanche l’orgoglio italico non sarà in grado di mascherare.

LA PARTITA

Nedved deve essere sostituito: è Camoranesi il prescelto della sorte, che in casa bianconera sveste i panni conturbanti della dea bendata per agghindarsi a mò di Marcello Lippi. L’altra dea della fortuna, quella rossonera, veste i panni ugualmente poco sensuali di Carletto Ancelotti, che non sposta di una virgola l’equilibrio di una squadra venuta fuori dopo mesi e mesi di esperimenti e tentativi tattici. Insomma, formazioni in campo come da pronostico: Buffon, Thuram, Ferrara, Tudor, Montero, Camoranesi, Tacchinardi, Davids, Zambrotta, Del Piero Trezeguet contro Dida, Costacurta, Maldini, Nesta, Kaladze, Seedorf, Pirlo, Gattuso, Rui Costa, Inzaghi, Shevchenko.

Partita tattica, come da previsioni: la posta in palio è ovviamente altissima, e lo spettacolo ne risente. Un gol annullato di Shevchenko annullato per un fuorigioco grosso così di Rui Costa, un miracolo di Buffon su un tuffo di testa di Inzaghi e un tiro di Del Piero per i primi quarantacinque giri di lancette: pochino. Il secondo tempo, se possibile, è ancora peggio: Conte dimostra al mondo che Camoranesi non era l’uomo giusto per sostituire Nedved, entrando al principio della ripresa, muovendosi come un ossesso e colpendo la traversa.

Fine delle trasmissioni, o meglio, fine dello spettacolo: le sostituzioni, dettate da infortuni e stanchezza (per i rossoneri, dentro Roque Junior, Ambrosini e Serginho e fuori Pirlo, Rui Costa e Costacurta; per i bianconeri, Zalayeta per Davids e Birindelli per Tudor, oltre al già citato cambio tra Camoranesi e Conte), non incidono, e le squadre, tatticamente ordinate quanto impaurite, si punzecchiano senza mai affondare un colpo degno di tale nome. Insomma, è zero a zero.

I supplementari sono ad altissima tensione nervosa, ma a zero in quanto a bel gioco: nessuno si scopre, ed insomma, si va ai rigori. Lippi compila la lista scegliendo Trezeguet come primo tiratore: Dida fa intuire subito quale aria tirerà, si getta in basso alla sua sinistra e dice di no. 0-0, tiro Milan. Per i rossoneri tira Serginho: la curva Juve, che fa da cornice ai rigori, non spaventa il brasiliano, che manda Buffon da una parte e la palla dall’altra. Ancora 1-0 Milan. Birindelli per la Juventus: sassata da terzino, Dida spiazzato. 1-1. Tocca al Milan, tocca a Seedorf: tiro bellissimo, ma Buffon assume sembianze divine e vola a mezz’altezza alla sua destra, impattando il pallone e pareggiando il conto dei tiri. Ancora 1-1.

Bianconeri al tiro con Zalayeta: il “Panteron” uruguagio avvia un rapporto con i penalty che diverrà tremendo, partorendo un tiro debole e centrale che è facile preda del volo del brasiliano Dida. Ancora 1-1. Kaladze per il Milan: centrale, pauroso, Buffon con i piedi e fa saltare di gioia i tifosi alle sue spalle. Ancora 1-1. La Juventus invia in spedizione-rigore Montero: tiro che a far peggio bisogna impegnarsi, e che per un Dida in serata di grazia è quasi un passaggio. 1-1 apparentemente d’acciaio.

È il turno di Alessandro Nesta: qualcuno finalmente si ricorda di come si potrebbero tirare i rigori, e il ricordo paga. 2-1 Milan. Il tiro di Del Piero vale già la Coppa: Dida però è spiazzato, tutto rimandato. 2-2. Ultimo rigore della serie, e capita sul destro di Shevchenko: l’ucraino con la faccia da bambino non chiude gli occhi e sceglie l’angolo giusto. 3-2. Il Milan batte la Juventus. Il Milan è campione d’Europa per la sesta volta della sua storia.

È la vittoria di Inzaghi e Shevchenko, di Pirlo e Dida, di Costacurta e Seedorf, di Gattuso e di Capitan Maldini, che quarant’anni esatti dopo papà Cesare alza al cielo una Coppacampioni in maglia rossonera. Ma è soprattutto la vittoria di Carlo Ancelotti, che firma la rivincita su giornalisti colpevoli di avergli affibbiato un’ingrata etichetta di perdente di successo, su addetti ai lavori scettici sulle sue qualità, su una tifoseria a tinte bianconere rea di averlo apostrofato come “maiale” e su una dirigenza che due anni prima gli aveva dato un perfido quanto immeritato benservito.

Fanno da contraltare le immagini in bianconero: immagini di una delusione atroce, che sanno di fine di un ciclo. Lippi abbandonerà l’anno dopo, per dedicarsi alla Nazionale e fecondare un’altra meravigliosa vittoria dei pronipoti di Dante. Poi è solo festa. Quando Paolo Maldini, in un tripudio di coriandoli rossoneri, alza la coppa, consegna alla storia un’immagine indimenticabile: la vittoria del Milan, certo, ma anche il fascino ardente di un’impresa italiana difficilmente ripetibile e che resterà scolpita nella memoria di tutti. Titoli di coda, musichetta della Champions: ancora una volta, i migliori siamo noi…

Champions League 2002-2003 – Finale
Manchester, campo neutro – Stadio Old Trafford
mercoledì 28 maggio 2003
JUVENTUS-MILAN 0-0 – Dopo i calci di rigore (2-3)
JUVENTUS: Buffon, Thuram, Tudor (Birindelli 42), Ferrara C., Montero, Camoranesi (Conte A. 46), Tacchinardi, Davids (Zalayeta 65), Zambrotta, Trezeguet, Del Piero – Allenatore Lippi
MILAN:Dida, Costacurta (Roque Junior 65), Nesta, Maldini P., Kaladze, Rui Costa (Ambrosini 87), Gattuso, Pirlo (Serginho 71), Seedorf, Shevchenko, Inzaghi F. – Allenatore Ancelotti
ARBITRO: Merk (Germania)
Sequenza calci di rigore: Trezeguet (parato), Serginho (gol), Birindelli (gol), Seedorf (parato), Zalayeta (parato), Kaladze (parato), Montero (parato), Nesta (gol), Del Piero (gol), Shevchenko (gol).