Milan-Inter: 5 Storie di Derby

LE 11 COSE CHE NON SAPETE DEL DERBY

Di lui ormai si sa praticamente tutto. O quasi. Qui abbiamo voluto radunare undici, proprio come una squadra di calcio, episodi, chicche, curiosità. Che nessuno sa o forse solo che nessuno ricorda.

1 – Le pagelle? Sono figlie della stracittadina

Hanno inventato il futuro e nemmeno se ne sono accorti. Ancora oggi l’unica cosa che leggi di sicuro sono le pagelle, il resto forse. Era appena finita la guerra, il calcio aveva ripreso a camminare, Aldo Missaglia e Gigi Scarambone erano due giornalisti che lavoravano per una rivistina settimanale che si chiamava, guardacaso, Milaninter e che veniva distribuita a San Siro durante le partite. Volevano raccontare i personaggi in modo nuovo, pensarono alla cosa più semplice e rivoluzionaria, le pagelle, che trovarono uno sponsor nel cavalier Bonetta che metteva in palio gli orologi per i migliori. Fu un successone fin da subito: Nils Liedholm si fece una collezione di pagelle, Giorgio Ghezzi era quello che prendeva sempre i voti più alti e gli orologi migliori. Raccontavano: «Annovazzi e Schiaffino presero parecchi 9, ma nessuno dei due arrivò mai a un 10, mentre Brighenti una volta arrivò a minacciarci per un 4». Già. Mica come adesso..

2 – Sorpresa. Prisco esce dagli spogliatoi del Milan

«La storia è nota: siamo nati da una costola del Milan. Cioè praticamente ci siamo fatti da zero… ». Peppino Prisco era così, il Diavolo era la sua battuta preferita: «Mi piacerebbe batterlo con un autogol all’ultimo minuto». Ma queste sono cose note e stranote. Per cui figuratevi la sorpresa quando l’avvocato fu beccato uscire di soppiatto dallo spogliatoio del Milan, con il bavero rialzato e l’aria furtiva. Era il 14 marzo 1999, l’Inter giocava in casa, con il Milan era finita 2-2. Cosa lo avesse portato nella tana del Diavolo restò un mistero fino a quando Silvio Berlusconi, un paio di mesi più tardi, lo rivelò a pochi intimi: «Ho trascinato per la prima volta l’avvocato Prisco nello spogliatoio del Milan. È venuto ed è stato gentilissimo, come sempre. Poi, però, mi ha detto “devo scappare, devo scappare…” e quando gli ho domandato dove diavolo dovesse andare mi ha risposto “devo andare a confessarmi”…».

3 – Una scommessa di nozze con finale a sorpresa

Franca e Moreno hanno vent’anni e sono fidanzati da tre. Lei studia legge all’università, lui si è appena diplomato ragioniere e vuole lavorare in banca. Abitano in via Tirana, frequentano il bar di via Forze Armate, lei è tifosissima dell’Inter, lui è pazzo per il Milan. Devono sposarsi o forse no. Lei spinge per il sì, lui si difende con un forse. Ok, decidono, facciamo scegliere al derby, ventiduesima giornata, è il 27 marzo 1977, sarà l’ultima stracittadina di campionato che vedrà nemici Rivera e Mazzola. Se vince il Milan ci lasciamo, se vince l’Inter ci sposiamo. Il momento è solenne: per questo allo stadio ci va tutta la famiglia, diciotto persone guidate dalla zia Angela che fa la tassista. Com’è finita? Be’, ovvio: 0-0…

4 – Ma che ci fa Ancelotti con la maglia dell’Inter?

Aveva appena vent’anni Carletto Ancelotti ma prometteva già bene. Giocava nel Parma, anno 1979, era un po’ Aquilani e un po’ De Rossi, interessava le grandi, l’Inter su tutte. Il giorno del giudizio è un provino amichevole, a San Siro contro la Roma, contratto già pronto. Carletto gioca con la maglia dell’Inter, quarantacinque minuti appena, a fianco di Marini e alle spalle di Altobelli. Ma il presidente Fraizzoli ha già deciso: non se ne fa più niente, 500 milioni sono troppo per una comproprietà, poi dicono abbia le ginocchia di cristallo. La Roma ne approfitta subito e se lo porta via per un miliardo. E la storia cambia storia.

5 – Occhio, sotto lo stadio ci abita l’allenatore…

Herbert Burgess arrivava da Manchester, era stato il capitano della nazionale inglese, aveva moglie e tre figli e pochi soldi in tasca. Certo era l’allenatore del Milan, anni 1927 e 1928, aveva preso il posto del grande Vittorio Pozzo e il presidente era Piero Pirelli. Ma trovare casa a Milano era dura anche allora. Così ci aveva pensato la società. Gli trovarono un appartamento di quattro locali, elegante, bello spazioso, dotato di tutti i comfort, tranne le finestre per far entrare la luce, praticamente un bunker. Sotto il terreno di gioco di San Siro, più o meno dove adesso ci sono gli spogliatoi. Era uno specialista del derby, in due anni ne perse solo uno su quattro. Anche perché lui lo giocava sempre in casa…

6 – San Siro, il santo che fa il tifo per Rocco

San Siro (il santo non lo stadio) si festeggia il 9 di dicembre. Leggenda racconta che fosse il ragazzino che porse a Gesù Cristo i pani ed i pesci per il miracolo della moltiplicazione. C’è chi lo considera un inviato di San Pietro e chi un discepolo di Sant’Ermagora che visse però nel III secolo d. C. Di certo le spoglie del primo vescovo di Pavia sono conservate nella chiesa di santa Maria del Carmine, dopo essere passate anche da una chiesa dedicata a San Rocco. Mica a Sant’Herrera…

7 – Il papà di tutti i derby non ne ha giocato uno

Senza di lui non ci sarebbe il Milan e senza il Milan non ci sarebbe l’Inter. Herbert Kilpin, papà di tutti i derby, era nato a Nottingham come Robin Hood, al 129 di Mansfield Road. Fu lui a scegliere il rosso e il nero come colori del Milan, a inventarsi il diavolo come simbolo. Allenatore e capitano, prima di entrare in campo si faceva sempre un goccetto di whisky, la sua ultima partita con il Milan la giocò sei mesi prima del primo derby. La sua tomba, abbandonata per anni, al Cimitero Maggiore, nell’ala protestante, riposa oggi al Monumentale, Galleria B Levante Inferiore, reparto 15, cella 162. Pregate per il Diavolo.

8 – Il vero fenomeno si chiamava Rinaldo

Si chiamava Rinaldo e lo aveva inventato Helenio Herrera. Era il trombettiere dell’Inter e suonava la carica allo stadio. Rinaldo Bianchini se ne è andato l’anno scorso, di novembre, a 74 anni, era lodigiano di Zelo Buon Persico, abitava a San Giuliano Milanese, aveva imparato a suonare nella banda di San Giuseppe e accompagnato Fred Buscaglione. Fu il primo a fondare un’Inter club ma tradì la sua Beneamata solo una volta per amore del mago. E fu fatale a tutti. Era il 18 marzo del 1978, Herrera allenava il Rimini in B e si giocava tutto contro il Brescia. Proprio nel giorno del derby, HH gli chiese di suonare la carica per lui. Accettò ma non servì. Il Rimini perse 2-1, l’Inter si fece raggiungere sul 2-2 da De Vecchi. E fu la sua unica nota stonata.

9 – E la maledizione divina punì il rigore fantasma

Il limone di Lorenzi? Roba vecchia. Questa è persino meglio. Il derby è quello del record di Mazzola, in gol dopo tredici secondi, poi finito 1-1, febbraio 1963, l’anno in cui l’Inter vince lo scudetto e il Milan la Coppa dei campioni. Ed è proprio sull’uno a zero che l’Inter ha la grande occasione. David, milanista, entra duro su Zaglio, interista: fallo in area, di poco, ma in area. Sarebbe rigore ma l’arbitro Concetto Lo Bello fischia la punizione dal limite perché lui da lontano l’ha vista così. Succede però che Trebbi si spinge con Di Giacomo, Tagnin si rusa con Benitez, che Ghezzi calcia via il pallone e che alla fine del parapiglia il pallone è piazzato bello comodo sul dischetto del rigore. Perché David, il milanista, ha capito che era rigore, Lo Bello nel casino non si ricordava più cosa aveva fischiato e gli interisti si sono guardati bene dal correggere sia gli uni che l’altro. Morale: tira Suarez, palo. Così impari. Corso su punizione l’avrebbe di sicuro messa dentra…

10 – La voce dello stadio? È un juventino…

Lo chiamavano «Estintori Meteor» perché era diventato quasi più famoso annunciando quella pubblicità cult che le formazioni delle squadre. Giovanni Marsotto è stato per 35 anni la voce dello stadio di San Siro prima che Milan e Inter facessero per conto proprio, un po’ all’americana. Pensare che il suo primo compito, era il 1959, fu riempire le buche dello campo. I derby li ha annunciati tutti lui, comprese le partite a porte chiuse, si è impappinato solo con Pelè, racconta che le emozioni più grandi sono state la prima dei mondiali ’90 tra Argentina e Camerun e quando una volta accompagnò in campo Filippo d’Inghilterra. Ha sempre amato Nereo Rocco e Angelo Moratti. Peccato solo una cosa: «Io sono juventino… ».

11 – …e così Gianni Brera la vedeva sul «Giornale»

«Va da sé che tutti gli onesti cacciabauscioni si augurino di poter vedere il meglio da una parte e dall’altra. E per quanto riguarda i pronostici, se ne fanno millanta che tutta notte canta e quindi sono indotto ad augurarmi che le nostre beneamate giochino ciascuna facendo conto dei propri schemi, non accentuando la parte difensiva (d’interdizione e di anticipo) così da limitare l’incidenza della tattica alle sole mosse iniziali. L’augurio è di parte, se capiss: in sostanza vorrei che un’eventuale vittoria non fosse propiziata da troppo marchiani errori tattici. Aggiungo che un’eventuale vittoria, tira molla messeda, viene esclusa (magari a torto) dalla ragione e dal cuore: vedo un pareggio tenendo la coda tra i denti: ammetto comunque che il calcio non è mai logico a priori e quindi cade ogni possibile ragionamento per raffinato e sofistico che sia. Resta l’elemento fortuna… »
Gianni Brera Il Giornale, 28-10-79

Testi a cura di Massimo M. Veronese