Milan-Inter: 5 Storie di Derby

Quando il Milan era RIZZOLI e l’Inter già MORATTI

Due famiglie, due squadre, un derby. Rizzoli e Moratti, Milan e Inter dentro la Milano degli anni Cinquanta e Sessanta. La Milano non ancora da bere ma che corre e corre. Alla Scala, nei teatri, al cinema e, ovviamente, verso il miracolo economico. Hanno scritto: prima di loro erano due squadre, poi sono diventate Grande Milan e Grande Inter. Le squadre di Andrea Rizzoli e Angelo Moratti.

Andrea diventa presidente del Milan nel 1954. È un uomo segreto, refrattario all’esibizionismo, difficile da capire. È figlio del commenda, di Angelo Rizzoli che, uscito dalla scuola dei Martinitt, compra una «pedalina», una macchina tipografica, e diventa titolare di un impero editoriale. È milanese, tifoso del Milan, e un giorno gli offrono la società. Lui va dal papà e si aspetta un no secco e deciso. El cumenda era duro e intransigente, pensava al lavoro e ai danè. Quel giorno invece è – ricordano le cronache – «inattesamente arrendevole». E dice al figlio Andrea: «Se non ti costerà più di dieci milioni di lire, se si tratta si sperperare danaro con il futbol fai pure…».
È la Milano delle grandi nebbie, dei taxi verdi e neri, le seicento multiple. La Milano che costruisce case e buon calcio e ride con Totò. Andrea non era un uomo che rientrava nell’ iconografia del grande industriale. E neppure del piccolo, quello preso per i fondelli nei filmetti con Mario Carotenuto negli anni Sessanta. Andrea è un signore riservato e silenzioso che non ama le manifestazioni di mondanità. Non frequenta i capitani d’industria, non gli piacciono i giornalisti che gli chiedono interviste.

Andrea Rizzoli si espone pubblicamente e inventa «quel favoloso Milan». Compra Juan Alberto Schiaffino, genio e asso, campione del mondo con l’Uruguay. Si presenta con cinque stranieri, c’è ancora Nordahl, poi Liedholm, Ricagni e Soerensen. Vince subito. Ma parla poco, evita le foto. Si lascia andare quando acquista, nel 1958, il brasiliano Josè Altafini: concede a Silvio Bertoldi un’intervista di oltre due ore. Vince quattro scudetti, acquista Rivera, vince la prima coppa dei Campioni, sfida nei derby l’Inter di Moratti. Il figlio Alberto racconterà: «Ho visto papà piangere a Wembley, nel 1963. Stava seduto su una panca negli spogliatoi con la testa fra le mani. Non lo avevo mai visto così. Gli chiesi: “Ti senti bene, papà?”. “Niente, niente”, rispose. Si tolse gli occhiali e si asciugò le lacrime senza parlare».

Quelli sono gli anni della grandeur morattiana. Angelo, nipote di un agricoltore della Bassa Bergamasca, convinto che «ogni uomo è artefice del proprio destino», comincia come rappresentante di oli minerali della ditta Scarpellini. Riesce a comperarsi la macchina, una Fiat 103, gira e rigira l’Italia a fare affari. Comincia la sua fortuna. È fortunato anche in amore. Conosce la donna della sua vita, Erminia, telefonista alla Stipel, che gli trasmette la passione per il calcio. La prima volta che vanno allo stadio l’Inter si chiama Ambrosiana. Nel 1937 l’ Italia canta: «Se potessi avere / mille lire al mese…». Una sera Angelo fa trovare il tavolo da cucina coperto da bigliettoni. Il suo primo milione di lire.

Comincia un’ascesa che non conosce soste e interruzioni. Una miniera, una centrale termoelettrica, raffinerie. Moratti nel 1955, un anno dopo Rizzoli, acquista l’Inter che volerà altissima negli anni Sessanta. Il derby, in quel tempo, è anche un’occasione mondana, come adesso la prima della Scala. Si va a San Siro per «vedere le squadre che hanno fatto grande il derby di San Siro», ma anche chi c’era e com’era vestito, racconterà Franco Carraro che è stato poi, dopo suo padre, presidente del Milan. Il derby è occasione, doppia sfilata. In campo e sulle tribune.

Il derby di Andrea e Angelo era «tutto», la vera sfida. Non c’era la nazionale, non c’erano le coppe. C’era il derby. I Moratti andavano allo stadio tutti insieme, la stessa strada alla stessa ora, le stesse superstizioni.Vietato accendere la radio, nessuno doveva disturbare. Il derby e l’Inter erano riti. Dirà il figlio Massimo: «Con i Rizzoli eravamo amici, ci frequentavamo, una sera dopo un derby cenammo a casa nostra. Il Milan aveva vinto, non fu una serata euforica…».

Il Milan diventa subito fortissimo e imbattibile, la Grande Inter si presenta con il Mago Helenio Herrera. Angelo Moratti apre e chiude il periodo d’oro nerazzurro con tre scudetti, due coppe Campioni e due coppe Intercontinentali. Angelo Moratti dirà: «Helenio Herrera è stato determinante, ha dato al calcio italiano velocità e precisione: due elementi che non si accoppiano facilmente». Moratti fornisce ad HH i pezzi pregiati. Uno, meraviglioso, si chiama Luis Suarez, Pallone d’ Oro nel 1960. E tutte le altre stelle: Mazzola e Corso, Burgnich e Facchetti. L’Inter vola con Moratti. Moratti non vola con l’Inter. Delega il suo vice, Giuseppe Prisco, che lo rappresenta all’ estero. Mancava il numero uno, ma non mancava mai Lady Erminia. «La presidentessa – racconterà il vicepresidente Peppino – teneva banco alternando signorilmente il milanese all’ italiano». Come il vigile di Totò. Altri momenti, altre epoche. Stesse squadre, stesso derby.