Milan 1988-1994: 6 anni da Campioni

I grandi trionfi europei del Milan dal 1988 al 1994: 3 Coppe dei Campioni in 6 stagioni. Da Sacchi a Capello, due modi differenti di intendere il calcio ma un solo obiettivo comune: la vittoria.


Il Milan olandese firmato Sacchi: “Così cambiammo il calcio italiano”

Con il biennio rossonero ’89-’90 il Milan impose il suo marchio sul calcio europeo. Furono due vittorie diverse, quella di Barcellona e quella di Vienna, la prima con la forza esplosiva del nuovo che arriva a trionfare, la seconda con la speculazione tattica che è in fondo anche ai più audaci innovatori. Quando scende al Camp Nou contro la Steaua sono passati vent’anni dalla vittoria contro l’Ajax. In mezzo c’era stato lo scudetto della stella, con Rivera e Liedholm, ma anche due retrocessioni e una per non nobili motivi. La passione repressa era tale che più di cinquantamila tifosi seguirono la loro squadra in Spagna, in una delle più spettacolare migrazioni della storia del calcio. Ricorda Franco Baresi, che giocò quella sera la prima delle sue tre finali: «Quando entrammo per il riscaldamento vedemmo la marea umana sugli spalti. E capimmo che non potevamo tornare indietro senza la Coppa».

Il Milan arrivò a questa partita dopo due memorabili qualificazioni: la prima contro la Stella Rossa, due partite giocate in due giorni dopo che la prima venne interrotta con il Milan perdente ed eliminato e poi salvato dalla nebbia. La seconda era il 5-0 al Real Madrid, quando il mondo scoprì la nuova frontiera del calcio italiano e gli spagnoli subirono uno choc dal quale non si sono ancora ripresi. Valdano, che quel giorno era in campo tra le merengues, rese onore al Milan in un suo libro: «Il Milan di Sacchi era la migrazione di un popolo. Questo fanatismo nell’attaccare sempre, sia in casa che in trasferta, alterò i vecchi parametri del catenaccio che fino ad allora avevano reso famoso il calcio italiano nel mondo».

Il Milan sbarcò a Barcellona con la convinzione di essere il più forte, dopo due anni straordinari. «C’era una compattezza incredibile nella squadra, nella società. Una grande voglia di emergere». Lo spirito era quello dei primi anni della presidenza Berlusconi. La vigilia fu senza deviazioni dalla routine, d’altronde non era nella filosofia di Sacchi differenziare gli avversari: «La preparammo come tutte le altre, concentrati su quello che dovevamo fare noi. Il pressing. Il fuorigioco. Tenere le distanze. Eravamo convinti del nostro gioco, avevamo entusiasmo».

La partita non ebbe storia, i romeni furono travolti dall’inizio, apparendo inconsistenti e reverenti. Gullit e Van Basten andarono in gol nella prima mezz’ora, poi ancora Gullit, dopo una finta che sbilanciò il difensore, aveva infilato la porta con una botta da fuori area al volo. A inizio ripresa poi il quarto gol di Van Basten, il resto fu una lunga attesa per la festa. Erano gli olandesi al top del loro genio e della potenza, il resto erano tutti italiani al tempo in cui il mercato non era ancora liberalizzato: comunque una generazione di fenomeni.

Paolo Maldini aveva ancora 21 anni. «Per tutti noi era la prima vittoria. Eravamo andati in campo con l’entusiasmo, la convinzione, il sentirsi nel pieno delle forze». Andarono a prendere la Coppa e l’alzarono al popolo migrante. «Anche Sacchi era emozionato, come tutti. Eravamo felici per quello che eravamo riusciti a fare. Erano le idee, i progetti che si realizzavano».

L’anno seguente a Vienna c’era lo stesso Milan ma con un altro spirito. Aveva perso lo scudetto dopo una sconfitta a Verona alla penultima giornata, la famosa partita arbitrata da Lo Bello jr. Era un Milan fisicamente cotto che aveva cercato fino alla fine di vincere il campionato spendendo tantissimo. A quei tempi le rose erano ristrette, non come adesso, giocavano sempre gli stessi 13-14 giocatori, gli altri non erano all’altezza. Il Milan scese in campo contro il Benfica con circospezione: quanto spavaldo al debutto l’anno prima tanto timoroso per la conferma. Ricorda Baresi: «L’anno prima avevamo dentro una forza che a Vienna non avevamo. E allora con Sacchi preparammo una partita diversa. Una gara tattica. Più accorti, più attenti, aspettando con grande pazienza un’occasione».

Che poi venne, con una penetrazione centrale di Rijkaard a metà del secondo tempo. «Il Benfica era una squadra ostica e poi aveva Eriksson come allenatore, che conosceva il calcio italiano. Per di più abili palleggiatori». Dopo il gol non rischiò molto e alla fine Baresi alzò la Coppa. Fu una brutta finale, per una squadra che predicava lo show, ma il Benfica di Aldair e Pacheco non poté mai pensare di avere il sopravvento: per una notte prevalse il pragmatismo.

Molto più pericoloso alle spalle c’era stato anche un altro scontro col Real Madrid, che nel frattempo aveva imparato la lezione dopo la batosta dell’anno precedente. Perse solo 0-2 a San Siro, poi al Bernabeu andò all’assalto del Milan. Ancora il capitano: «Fu un massacro, una rissa, con loro che cercavano di picchiarci. In quel periodo ci mancava anche Gullit, finimmo per mettere Rijkaard in attacco». Segnò Butragueno alla fine del primo tempo, ma il Milan poi resse fino alla fine ricorrendo spessissimo al fuorigioco.

Quel Milan, che pure non era deliberatamente difensivista, rendeva molto difficile la strada verso la porta di Giovanni Galli, in nove partite incassò solo due gol. Il Milan-spettacolo che soffocava gli avversari con l’organizzazione, o il Milan insuperabile in difesa poi affidato solo ai gol degli olandesi: il messaggio di Sacchi e dei suoi giocatori faceva discutere, si litigava per capirne il vero significato. Intanto fu il Milan a cambiare faccia al calcio italiano. «Fummo noi ad aprire la strada. Siamo stati i primi, andavamo all’estero e sentivamo parlare di noi con ammirazione».

Gli Imbattibili di don Fabio: che lezione a Maestro Cruyff

Arriva l’era degli Imbattibili, il Milan che non perde fuoricasa per due campionati e ne vince tre consecutivi. Non era più il Milan di Arrigo Sacchi, passato alla nazionale, ma quello di Fabio Capello, che seppe passare dalla squadra degli olandesi a quella degli slavi, dalla squadra iperoffensiva a quella iperdifensiva. Tre finali giocate, due sconfitte e una vittoria. Il primo tentativo nel ’93 contro l’Olympique Marsiglia, la partita decisa da un gol di Boli. Tra i francesi c’è Desailly, nei turni precedenti i rossoneri avevano vinto ad Eindhoven, subendo però un gol da Romario. Due uomini che avranno la loro importanza nella finale di Atene dell’anno seguente.

Nel 1994 comunque il Milan ha già vinto lo scudetto, il campionato è finito presto per la preparazione ai Mondiali Usa. «Il mio primo ricordo di quell’anno sono proprio quei quindici giorni di preparazione. Fu così che recuperammo la forza» dice Demetrio Albertini. L’altra finalista è il Barcellona, guidata in panchina dal profeta del gol, Johann Cruijff, una squadra che fa dell’attaccare il proprio credo. Nella Liga spagnola ha segnato 94 gol, è reduce da ventidue partite senza sconfitte con soli due pareggi: però ha dovuto giocare fino a quattro giorni prima per vincere lo scudetto.

Ma che c’entrano Desailly e Romario? E’ Cruijff ad accendere le polemiche alla vigilia con una serie di dichiarazioni sfrontate, sulla paura che il Milan deve avere dei suoi. E poi identifica i personaggi: loro, il Milan, gli ambasciatori del gioco speculativo, noi, il Barcellona, la squadra dello spettacolo. Le prove? «Per rinforzarsi loro hanno comprato Desailly, noi Romario» dice Cruijff. Si scoprirà poi che sarà più utile Desailly al Milan che Romario al Barcellona.

Ma per Cruyff e i suoi giocatori c’è un motivo in più per essere spavaldi: il Milan è senza Costacurta e Baresi, il primo espulso e il secondo ammonito nella difficile semifinale contro il Monaco. Albertini: «Billy fu espulso per un fallo su Klinsmann alla fine del primo tempo, vincevamo solo 1-0. E all’inizio della ripresa ci fu un mio gol su punizione. Eravamo abbastanza lontani, me l’ha appoggiata Boban. Uno dei miei gol più belli».

Viene il momento di trovare la soluzione alle assenze. Nei giorni precedenti la finale Capello fa tutta una serie di prove per dare un nuovo assetto alla difesa. Prova prima Tassotti a sinistra, Panucci a destra e Maldini in mezzo. Poi in un’amichevole a Firenze prova Desailly e Maldini dietro. Tutti test andati male. Allora decide di cambiare il meno possibile inserendo Filippo Galli al centro.

All’uscita dagli spogliatoi, entrando in campo, i catalani pensano già d’avere vinto, il Milan ha le certezze di chi ha alle spalle cinque anni di vittorie. Ancora Albertini: «Loro erano molto sicuri. Ma un aiuto incredibile ce lo diedero le parole di Cruijff. Si erano fatti anche le foto con la Coppa. E noi, dopo le squalifiche di Baresi e Costacurta, avevamo due strade davanti: o starci su a pensare e darci una scusa o giocarsela con la coscienza di essere una grande squadra. Sapendo che in quella squadra non c’erano riserve ma eravamo tutti titolari. E poi, assenze o no, noi avevamo sempre pensato di essere noi quelli superiori».

Al di là di ogni previsione la partita non ha storia, la testa degli spagnoli è rimasta chissà dove. «Eppure le premesse erano che loro dovevano prevalere con il loro possesso di palla e poi con il gioco in velocità di Romario, Sergi, Beguiristain, eccetera, contro di noi che eravamo una squadra pesante. Io, che ero uno dei più piccoli, ero quasi 1,80. Ma invece non andò così». Il difensivista Milan è sempre vicino alla porta del Barcellona, l’offensivista Barcellona non vede mai Rossi.

Il primo gol viene da uno strano tiro di Savicevic che diventa un passaggio per Massaro che entra in spaccata e appoggia di piatto sinistro. «Ho passato» dirà Savicevic. «Ma va» risponderà Massaro. Il secondo gol nasce da un dribbling di Donadoni e un assist per Massaro che ancora di sinistro infilava Zubizarreta. Ci ha mirato? «No, ho chiuso gli occhi» ammetterà l’ attaccante.

Negli spogliatoi Capello non ha consigli per i suoi. «E che doveva dire? Vincevamo 2-0 e loro non avevano fatto mezzo tiro a Rossi». In apertura c’ è subito uno dei più incredibili gol del calcio: lancio di Albertini, Savicevic toglie la palla a Nadal al vertice dell’area e manda un pallonetto di piatto che scavalca Zubizarreta. Un gesto da pazzo o da Genio, meritato epiteto. «Lì per lì non mi sono reso conto di quello che aveva fatto. Il primo pensiero è stato che la partita era davvero chiusa e che c’era solo da aspettare la fine. Certo un colpo così io non l’avrei neanche tentato».

La faccia di Johann Cruijff è spettrale. Ha visto i suoi squagliarsi, lui stesso ha scatenato una guerra ideologica. In più, minuto per minuto, lui che sa tanto di calcio, capisce che la disfatta può avere dimensioni impensabili. «La conosco quella faccia, è quella quando ti crolla il mondo addosso. L’ho avuta anch’io quando ho perso». Venne poi anche il quarto gol di Desailly (ancora assist di Albertini), pali, occasioni, poteva finire 7-0 come ammise Guardiola.

Era il trionfo che si riallacciava al grande successo contro lo Steaua. Conclude così sempre Demetrio Albertini: «Cosa è stato quel Milan? Grande professionismo, una serietà incredibile. Una squadra che quando ha cominciato a vincere non si è fermata più. Non ci fermavamo mai».

Fonte: adattamento testo di Corrado Sannucci


Barcellona, stadio Nou Camp, 24 maggio 1989
Milan 4  – Steaua Bucarest 0
Reti: 18′ pt Gullit, 27′ pt Van Basten, 39′ pt Gullit, 1′ st Van Basten
Milan: G. Galli, Tassotti, P. Maldini, Colombo, Costacurta (29′ st F. Galli), F. Baresi, Donadoni, Rijkaard, Van Basten, Gullit (15′ st Virdis), Ancelotti. Allenatore: Sacchi
Steaua Bucarest: Lung, Petrescu, Ungureanu, Stoica, Bumbescu, Iovan, Lacatus, Minea, Piturca, Hagi, Rotariu (1′ st Balint). Allenatore: Iordanescu
Arbitro: Tritscher (Germania Est)


Vienna, stadio Prater, 23 maggio 1990
Milan 1 – Benfica 0
Reti: 23′ st Rijkaard
Milan: G. Galli, Tassotti, P. Maldini, Colombo (44′ st F. Galli), Costacurta, F. Baresi, Ancelotti (28′ st Massaro), Rijkaard, Van Basten, Gullit, Evani. Allenatore: Sacchi
Benfica: Silvino, Josè Carlos, Samuel, Thern, Aldair, Ricardo Gomes, Vitor Paneira (33′ st Vata), Hernani, Pacheco (14′ st Cesar Brito), Valdo, Magnusson. Allenatore: Eriksson
Arbitro: Kohl (Austria)


Atene, stadio Spiros Louis, 18 maggio 1994
Milan 4 – Barcellona 0
Reti: 22′ e 45′ pt Massaro, 2′ st Savicevic, 13′ st Desailly
Milan: S. Rossi, Tassotti, Panucci, Albertini, F. Galli, P. Maldini (38′ st Nava), Donadoni, Desailly, Boban, Savicevic, Massaro. Allenatore: Capello
Barcellona: Zubizarreta, Ferrer, Guardiola, Baquero, Nadal, R. Koeman, Sergi (27′ st Quique), Amor, Romario, Stoichkov, Beguiristain (7′ st Eusebio). Allenatore Cruijff
Arbitro: Don (Inghilterra)