Mondiali 1934: ITALIA

La Finale

Italia e Cecoslovacchia dunque a disputarsi la preziosa statuetta d’oro allo Stadio Nazionale dì Roma il 10 giugno. Cecoslovacchi con: Planika; Zenisek Ctyroky; Kostalek Cambal Krcil; Junek Svoboda Sobotka Neyedly Puc e azzurri confermati nella formazione che aveva battuto l’Austria, con Ferraris IV mediano nell’inquadratura che nella seconda partita con la Spagna aveva dato a Pozzo la certezza di aver trovato una pattuglia battagliera e volitiva, ben decisa a conquistare la vittoria a costo di ogni sacrificio atletico. Ancora una volta gli italiani partivano battuti dal pronostico della grande stampa che assegnava allo squadrone boemo un tasso di classe nettamente superiore. Hugo Meisl, che solitamente diceva «il calcio è il mio pane» era più cauto nel prevedere il risultato, ma sottolineava la grande condizione che i «rossi» erano venuti acquistando nel corso del torneo.

Il primo tempo terminò a reti inviolate, gli azzurri stranamente innervositi e impacciati, quasi timorosi di fronte al traguardo più importante. Planika aveva sfoderato tutta la sua classe per impedire ad un paio di palloni di Meazza e Schiavio il fondo della rete e la sicurezza dell’estremo difensore rese ancor più precaria la consistenza morale dei nostri ai quali tutto appariva in quei momenti estremamente difficile. Al 71′ le cose si complicarono ulteriormente, poiché i cechi che per tutta la partita mantennero una olimpica tranquillità, passarono in vantaggio con una diabolica palla tagliata di Puc, scagliata dalla posizione d’ala.

La rete del cecoslovacco Puc

Paradossalmente fu l’episodio che scrollò l’apatia degli azzurri, il nervosismo sparì d’incanto lasciando spazio ad una squadra che con il passare dei minuti, ricomponeva le sue file e ritrovava la misura nelle manovre offensive. Schiavio sfinito andò ad occupare la posizione d’ala e Guaita passò al centro, Pozzo si portò dietro la rete boema per incitare i suoi alla voce e undici minuti dopo il pareggio era cosa fatta grazie ad un tiro a mezz’altezza di Orsi, battuto da una ventina di metri e che Planika non riuscì nemmeno a sfiorare. Al 5′ della prima frazione supplementare Angiolino Schiavio produsse l’ultimo guizzo della sua carriera azzurra e a coronamento di una manovra ispirata da Ferrari per Orsi, la palla smistata a Guaita fu spedita al centro dove il bolognese la scagliò alle spalle di Planika da sette-otto metri. Fu una mazzata che i cechi non s’attendevano visto il maggior logorio cui erano stati costretti gli italiani, un colpo da KO decisivo per il morale di quella grande squadra che non riuscì a ripetere le manovre ubriacanti che nel corso della prima ora di gioco avevano tenuto in soggezione i padroni di casa.

Planicka battuto da Orsi

Nel giudizio complessivo sulla vittoria dell’Italia si scatenò una violenta caccia alle streghe. Specialmente la stampa francese parlò di intollerabile atmosfera che aveva condizionato l’operato degli arbitri, di fantomatiche pressioni sulle ambasciate per piegare le velleità degli avversari deputati ad incontrare gli azzurri.Certo al di là delle tesi dei transalpini la seconda edizione della Coppa del Mondo confermò la necessità di tutelare almeno fino ad un certo punto la rappresentativa di casa per ragioni comprensibili di cassetta. E questo cinico realismo si è ripetuto in forma più o meno vistosa ad ogni edizione di Coppa del Mondo. Comunque ci sembra importante sottolineare che se qualche favoritismo concorse al trionfo degli azzurri, non si trattò certamente di agevolazioni in sede di sorteggio. Per vincere il titolo non si avvantaggiarono con alcun accoppiamento di comodo, come è più volte successo in seguito. Austria Spagna e Cecoslovacchia godevano in quel periodo di grande reputazione e gli italiani dovettero soffrire parecchio per averne ragione, la strada di altre formazioni Cecoslovacchia compresa fu certo più agevole.

Al termine della competizione un giornale specializzato pubblicò la formazione ideale del mondiale. Eccola di seguito: Zamora (Spagna); Monzeglio (Italia) Quincoces (Spagna); Ferraris IV (Italia) Smisti (Austria) Lecue (Spagna); Lafuente (Spagna) Meazza (Italia) Langara (Spagna) Neyedly (Cecoslovacchia) Orsi (Italia). Indicò anche i migliori cinque elementi per ruolo ed è significativo il fatto che tutti gli italiani fossero compresi in tale graduatoria. Combi e Monti erano terzi alle spalle di Planika e Muguerza, Allemandi secondo, Schiavio terzo dietro Sindelar, Guaita secondo. Un riconoscimento ulteriore al buon lavoro di Pozzo e ad una squadra che giocava il metodo, cioè mediani sulle ali e terzini alle spalle, l’uno a spazzare, Monzeglio, l’altro a contrastare e a battere lontano l’insidia, Allemandi. Fu una coppia efficace e decisa, chiusa alle spalle dal freddo e continuo Combi, coraggioso e deciso in ogni frangente. Con la linea mediana, Ferrari IV; Monti, Bertolini, l’intero reparto arretrato appariva come un campo minato, dove era assai difficile e pericoloso avventurarsi, un vero e proprio bunker composto da giocatori aggressivi e decisi. L’attacco si avvaleva del genio di Peppin Meazza, un grande di tutta la storia calcistica italiana, coordinatore del gioco, fantasioso, intelligente, nato come centravanti e quindi anche dotato di notevoli capacità di stoccatore. Ferrari l’altra mezzala era lento ma razionale e metodico, preciso nel dettare la manovra. Al centro Angiolino Schiavio, strenuo combattente, mai domo, tutto cuore e volontà sempre in attesa della palla favorevole e sulle fasce Orsi e Guaita, l’uno classico esponente della scuola argentina, furbo, opportunista grande palleggiatore, l’altro più potente giocava leggermente arretrato e scatenava lunghe fughe palla al piede che si concludevano immancabilmente con un tiro violento e preciso. L’organizzazione fu perfetta e ad essa arrise un notevole successo finanziario, i numerati per la finale costavano cento lire del tempo. Ogni azzurro ebbe in premio 20.000 lire: a quei tempi si poteva acquistare un appartamento a Milano…