Mondiali 1970: BRASILE

Un Re per tutti

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Gli azzurri arrivarono alla fina­le con i muscoli avvelenati dai supplementari con la Germania e con l’appagamento del risulta­to così inaspettatamente raggiunto. Valcareggi, soddisfatto della spe­rimentata staffetta insisteva sulla formazione iniziale così concepita: Albertosi, Burgnich Facchetti; Bertini Rosato Cera; Domenghini Mazzola Boninsegna De Sisti Riva con Rivera pronto in panchina.

Zagalo confermava la formazione storica: Felix; Car­los Alberto, Brito, Piazza, Everaldo; Gerson Clodoaldo; Jairzinho Tostao Pelé Rivelino. Glockner fischiò l’inizio alle 12 di quel 21 Giugno, Italia e Brasile paraliz­zate davanti al video. Gli azzur­ri si disponevano nella marcatu­ra a uomo: Bertini su Pelé, Fac­chetti, Burgnich e Rosato rispet­tivamente su Jairzinho, Rivelino, e Tostao, gli «auriverdi» non avevano di questi problemi pedestri, marcavano a zona. Valcareggi aveva predisposto un filtro efficace sulla trequarti ma gli azzurri giocavano come frenati, attenti solo a rompere le elegan­ti manovre che la vocazione of­fensiva dei brasiliani comincia­va ad ispirare.

Al 18′ Pelé si ele­va a colpire una palla arrivata­gli dalla sinistra. Pare atten­dere, sollevato in aria, quella palla che con un colpo di testa, come una mazzata si spegne in rete alla spalle di Albertosi. For­midabile! Gli azzurri non hanno reazioni particolari, riescono a pareggiare al 37′ grazie ad uno svarione di Everaldo prontamen­te sfruttato da Boninsegna, ma il fatto appare episodico, il Bra­sile continua a premere men­tre la resistenza dei nostri si affievoglisce e saltava gli sbarramen­ti che Valcareggi aveva sapien­temente predisposto. Segnano ancora Gerson al 65′, con un tiro di rara bellezza scagliato dal li­mite dei sedici metri, Jairzinho al 70′, cogliendo la nostra difesa ormai sulle ginocchia e Carlos Alberto all’86’ nella più bella ma­novra di tutta la partita: Clodoaldo si libera in dribbling sul centrocampo e smista a Jairzinho che cerca Pelé; «O Rey» controlla e apre magni­ficamente sulla destra dove sta avventandosi Carlos Alberto; il tiro è violento e preciso, Albertosi è battuto.

Finisce 4-1 fra il tripudio dei brasiliani e dell’im­menso pubblico – 105.000 spet­tatori – che ha assistito all’in­contro. Pelé è in trionfo è l’apo­teosi del calcio offensivo, il Bra­sile ha vinto, Pelé è stato una volta di più il Re del «mondo del pallone» e quando Carlos Alberto eleva al cielo la statuet­ta che Jules Rimet aveva messo in palio nel 1930, l’Azteca esplo­de nell’osanna ai vincitori. Ma abbiamo lasciato in chiusura un particolare che incise profonda­mente negli avvenimenti succes­sivi delle cose di casa nostra. Valcareggi forse trasportato dal­le emozioni del momento, oppu­re travolto dalla evidente superio­rità dei brasiliani, si accorse di avere Rivera in panchina a soli 6′ dal termine quando ormai il risultato era fissato sull’1-3 e lo mandò in campo a sostituire Mazzola. Qualcuno giudicò l’av­venimento come un affronto e tanta fu l’abilità di una certa stampa, che riuscì ad insinuare il dubbio che con Rivera in campo fin dall’inizio avremmo potuto disporre dei brasiliani, come un Messico qualsiasi.

E fu questa ignobile partigianeria che innestò l’ancora più ignobi­le accoglienza che fu riservata agli azzurri quando rimisero pie­de sul suolo patrio, con l’incre­dibile processo davanti alla TV e le cariche della polizia a di­sperdere i facinorosi intenzionati a bastonare chi aveva tanto ma­lignamente attentato al presti­gio del «golden boy». Un’ av­ventura che aveva riportato il nostro calcio a livelli inusuali da più di un trentennio, finiva in una farsa indegna di un paese civile. II ritorno in patria dei no­stri si chiudeva con una pagina amara da dimenticare in fretta. Nessuno nelle condizioni ambien­tali di Città del Messico, sareb­be riuscito a far meglio di quan­to fecero gli azzurri contro il Brasile di Pelè in quell’occasione.