Un Re per tutti
Gli azzurri arrivarono alla finale con i muscoli avvelenati dai supplementari con la Germania e con l’appagamento del risultato così inaspettatamente raggiunto. Valcareggi, soddisfatto della sperimentata staffetta insisteva sulla formazione iniziale così concepita: Albertosi, Burgnich Facchetti; Bertini Rosato Cera; Domenghini Mazzola Boninsegna De Sisti Riva con Rivera pronto in panchina.
Zagalo confermava la formazione storica: Felix; Carlos Alberto, Brito, Piazza, Everaldo; Gerson Clodoaldo; Jairzinho Tostao Pelé Rivelino. Glockner fischiò l’inizio alle 12 di quel 21 Giugno, Italia e Brasile paralizzate davanti al video. Gli azzurri si disponevano nella marcatura a uomo: Bertini su Pelé, Facchetti, Burgnich e Rosato rispettivamente su Jairzinho, Rivelino, e Tostao, gli «auriverdi» non avevano di questi problemi pedestri, marcavano a zona. Valcareggi aveva predisposto un filtro efficace sulla trequarti ma gli azzurri giocavano come frenati, attenti solo a rompere le eleganti manovre che la vocazione offensiva dei brasiliani cominciava ad ispirare.
Al 18′ Pelé si eleva a colpire una palla arrivatagli dalla sinistra. Pare attendere, sollevato in aria, quella palla che con un colpo di testa, come una mazzata si spegne in rete alla spalle di Albertosi. Formidabile! Gli azzurri non hanno reazioni particolari, riescono a pareggiare al 37′ grazie ad uno svarione di Everaldo prontamente sfruttato da Boninsegna, ma il fatto appare episodico, il Brasile continua a premere mentre la resistenza dei nostri si affievoglisce e saltava gli sbarramenti che Valcareggi aveva sapientemente predisposto. Segnano ancora Gerson al 65′, con un tiro di rara bellezza scagliato dal limite dei sedici metri, Jairzinho al 70′, cogliendo la nostra difesa ormai sulle ginocchia e Carlos Alberto all’86’ nella più bella manovra di tutta la partita: Clodoaldo si libera in dribbling sul centrocampo e smista a Jairzinho che cerca Pelé; «O Rey» controlla e apre magnificamente sulla destra dove sta avventandosi Carlos Alberto; il tiro è violento e preciso, Albertosi è battuto.
Finisce 4-1 fra il tripudio dei brasiliani e dell’immenso pubblico – 105.000 spettatori – che ha assistito all’incontro. Pelé è in trionfo è l’apoteosi del calcio offensivo, il Brasile ha vinto, Pelé è stato una volta di più il Re del «mondo del pallone» e quando Carlos Alberto eleva al cielo la statuetta che Jules Rimet aveva messo in palio nel 1930, l’Azteca esplode nell’osanna ai vincitori. Ma abbiamo lasciato in chiusura un particolare che incise profondamente negli avvenimenti successivi delle cose di casa nostra. Valcareggi forse trasportato dalle emozioni del momento, oppure travolto dalla evidente superiorità dei brasiliani, si accorse di avere Rivera in panchina a soli 6′ dal termine quando ormai il risultato era fissato sull’1-3 e lo mandò in campo a sostituire Mazzola. Qualcuno giudicò l’avvenimento come un affronto e tanta fu l’abilità di una certa stampa, che riuscì ad insinuare il dubbio che con Rivera in campo fin dall’inizio avremmo potuto disporre dei brasiliani, come un Messico qualsiasi.
E fu questa ignobile partigianeria che innestò l’ancora più ignobile accoglienza che fu riservata agli azzurri quando rimisero piede sul suolo patrio, con l’incredibile processo davanti alla TV e le cariche della polizia a disperdere i facinorosi intenzionati a bastonare chi aveva tanto malignamente attentato al prestigio del «golden boy». Un’ avventura che aveva riportato il nostro calcio a livelli inusuali da più di un trentennio, finiva in una farsa indegna di un paese civile. II ritorno in patria dei nostri si chiudeva con una pagina amara da dimenticare in fretta. Nessuno nelle condizioni ambientali di Città del Messico, sarebbe riuscito a far meglio di quanto fecero gli azzurri contro il Brasile di Pelè in quell’occasione.