Mondiali 1970: BRASILE

Il Capocannoniere Gerd Müller

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Scena prima. Un campetto da cal­cio di provincia, a Nördlingen. La squadra locale sta giocando un incontro decisivo, e a metà della partita è sotto, perde 1-0. Il ragazzo arriva tra­felato negli spogliatoi. Piuttosto carico di adrenalina, perché è appena arrivato da Monaco, dove ha firmato un contrat­to da professionista col Bayern. Un paio di strette di mano e via di corsa, verso il paese a due passi da casa (Gerd è nato a Zinzen il 3 novembre 1945) dove, appunto, i compagni di squadra si stanno giocando la stagione senza di lui. Un problema, perché il ra­gazzo è la stella del gruppo. Un salto negli spogliatoi, una preparazione sbri­gativa, ed ecco l’attesa sostituzione: nel secondo tempo, per il Nördlingen è en­trato in campo Gerd Mùller.

Scena seconda. Novante­simo minuto del­la stessa partita, la squadra di ca­sa ha vinto faci­le, 4-1. I gol por­tano tutti la stes­sa firma, quella di Gerd Müller. Il gioiellino che ha appena firmato per il Monaco, ed ha portato nelle casse del Nördlingen 3000 marchi, poco più di mezzo milio­ne di lire.L’anno del trasferimento è il 1963. Gerhard Müller, per tutti Gerd, non ha ancora diciotto anni, ma a suon di gol ha già conquistato i tifosi di casa. Ha buttato in rete 197 palloni in una sola stagione, da juniores, e l’anno succes­sivo, promosso in prima squadra, si è… limitato a realizzarne 46.

Il suo scopri­tore, Herbert Kraft, vorrebbe spedirlo al Norimberga, e la sistemazione fa­rebbe felice anche la mamma di Gerd, rimasta vedova, perché la città è a pochi chilometri da Nördlingen. Ma il Bayern Monaco è più veloce. Il ragaz­zo arriva a Monaco con la patente di prodigio del gol. Il presidente Wilhelm Neudecker lo ha voluto a tutti i costi per rivitalizzare la squadra che soffre maledettamente, nelle zone basse del­la Lega regionale. Il fenomeno dal gol facile si presenta al cospetto del tecni­co jugoslavo Zlatko Chajkowski, che lo squadra attonito e lo bolla in una manciata di secondi. «Unmògliche figur», figura impossibile. L’affare, co­munque, si fa, perché così vuole il pre­sidente, ma il bomberino grasso (a Mo­naco lo ribattezzano in fretta “dicker”, ciccione, giocando sull’assonanza con “kicker”, calciatore) finisce in panchi­na. Così per tredici partite.

Finché un giorno il centravanti titolare si infortu­na, e lo slavo scettico è costretto a mandare quella specie di botolo nella mischia. Müller si presenta con una doppietta, e il parere di Chajkowski cambia in fretta. L’anno dopo Gerd se­gna 35 reti e riporta di slancio il Bayern in Bundesliga. Sarà anche brutto a ve­dersi (nel ’68 il suo peso forma è di 80 chili, per un’altezza di 174 centimetri), sgraziato, tecnicamente non eccelso. Ma ha una qualità che tutti i cannonieri vorrebbero avere: la mette dentro, sen­za soluzione di continuità. A volte scompare dalle partite, smarrito tra le gambe di mastini della difesa molto meglio piantati di lui. Poi, quando meno te l’aspetti, inventa un guizzo e il foto­gramma successivo è un pallone depo­sitato in fondo alla rete. I suoi gol non sono belli. Lo chiamano «DerMann der Kleine Tor», l’uomo dei piccoli gol. Pic­coli, ma fondamentali.

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Nel ’66-67 se­gna 47 reti tra campionato, coppe e Na­zionale, e il Bayern conquista la Coppa delle Coppe. La rivista «Kicker» lo eleg­ge «Calciatore dell’anno». Fa il bis l’an­no dopo, con 31 reti in 30 partite. In Na­zionale lo attende la gloria ai mondiali messicani: dovrebbe essere la consa­crazione di Gigi Riva, invece il capo­cannoniere alla fine è lui, il calciatore dai fianchi grossi e dal baricentro bas­so, con nove reti. In quell’occasione se­gna quello che lui stesso definirà «il gol più bello della mia vita. Quello con l’In­ghilterra, nei quarti di finale». Moviola: cross di Grabowski che scavalca Bonetti, numero uno inglese, Löhr serve al volo al centro dell’area, Müller solle­va il piede destro oltre la spalla e infila il portiere in acrobazia. Semplicemente spettacolare, altro che piccolo gol. È una stagione felice. In campionato se­gna 38 reti, a fine anno gli consegnano la Scarpa d’Oro e soprattutto il Pallo­ne d’Oro, come miglior giocatore d’Eu­ropa.

In Germania il verbo “Mullern”, se­gnare reti alla Mùller, diventa comune. Nel ’72 la Nazionale è campione d’Eu­ropa (finale contro l’Unione Sovietica, successo per 3-0 con una doppietta del solito noto, naturalmente), due anni do­po affronta il Mondiale in casa nella sta­gione in cui esplode il fenomeno aran­cione della magica Olanda di Cruijff e compagni. E con gli olandesi, in effetti, la Germania si ritrova in finale. Mùller va su e giù per l’area avversaria per un intero tempo, sembra abulico e incon­cludente, e intanto le squadre sono as­sestate sull’1 -1. Al 43′ un pallone cal­ciato da Bonhoff filtra in area dalla de­stra, Gerd si muove goffamente e sem­bra fuori tempo. Poi inventa una piroet­ta che sorprende tutti, anche Jongbloed, numero uno olandese, che resta sul posto. L’Oympiastadion di Monaco sembra franare sotto il peso dell’entu­siasmo dei tifosi, la Germania è cam­pione del mondo.

In Nazionale, Müller non segnerà più, perché di lì a poco an­nuncia il ritiro: lo ha fatto anche troppo, 68 volte in 62 partite. Nel Bayern, inve­ce, resta per altre cinque stagioni. Un giorno del marzo ’79, in una partita di campionato contro l’Eintracht, viene sostituito anzitempo per «scarso rendi­mento». Non c’è rispetto per gli eroi, che a volte sono costretti a migrare. Gerd strappa un contratto ai Fort Lauderdale Strickers, resta negli States fi­no a 37 anni, apre una birreria e un ri­storante in Florida, manda a carte quarantotto il suo matrimonio e si fa pren­dere dallo sconforto. Nel ’91, tornato in patria, è scosso da propositi suicidi. Poi, a quanto pare, ritrova l’equilibrio smarrito, evitando di sedersi sui ricordi.

LA CLASSIFICA MARCATORI

10 reti: Müller (Germania Ovest);
7 reti: Jairzinho (Brasile);
5 reti: Cubillas (Perù);
4 reti: Pelé (Brasile), Byshovets (Urss);
3 reti: Seeler (Germania Ovest), Riva (Italia), Rivelino (Brasile);
2 reti: Lambert (1 rigore) e Van Moer (Belgio), Tostão (Brasile), Petras (Cecoslovacchia), Boninsegna e Rivera (Italia), Gonzalez (Messico), Gallardo (Perù), Dumitrache (Romania, 1);
1 rete: Bonev, Dermendjev, Kolev, Nikodimov e Zecev (Bulgaria), Gerson, Carlos Alberto e Clodoaldo (Brasile), Beckenbauer, Libuda, Overath e Schnellinger (Germania Ovest), Spiegler (Israele), Burgnich e Domenghini (Italia), Basaguren, Fragoso, Peña (1) e Valdivia (Messico), Challe e Chumpitaz (Perù), Dembrovski e Neagu (Romania), Grahn e Turesson (Svezia), Human e Ghazuani (Marocco), Asatiani e Hmelnitski (Urss), Cubilla, Esparrago, Maneiro e Mujica (Uruguay), Clarke (1), Hurst, Peters e Mullery (Inghilterra)