Argentina... Argentina...
Nel continente sudamericano tre sono le potenze calcistiche di prima schiera: Brasile, Uruguay ed Argentina. Seguono Perù e Paraguay quasi sulla stesso livello poi la trafila di tutte le altre comandata dal Cile. Questi dati di fatto, dipendenti dai risultati conseguiti nelle manifestazioni calcistiche continentali e mondiali, hanno subito diverse variazioni col passare dei decenni. Fino agli anni trenta, difficile contestare la posizione di preminenza all’Uruguay, bi-campione olimpico, campione del mondo e vincitore di sette edizioni del «Sudamericano» sulle tredici organizzate; l’Argentina seguiva a ruota, finalista di una olimpiade e della prima Coppa del Mondo e vincitrice di quattro edizioni del «Sudamericano». Il Brasile era allora il terzo incomodo. Il caos che regnava nell’ambito federale si rifletteva anche sui risultati e la «selecao» era riuscita solamente due volte nell’impresa di vincere il campionato continentale. Dopo il 1935 (ultima vittoria dell’Uruguay con la generazione degli olimpionici e dei campioni del mondo) prende il sopravvento l’Argentina con una fioritura di grandissimi campioni e protrae il proprio dominio fino al 1947 (cinque vittorie nel sudamericano su sette edizioni) e poi finalmente verrà Pelé a mettere le cose in vantaggio del Brasile.
L’Argentina vincerà tre edizioni del campionato su quattro organizzate (1955-1957-1959), ma il Brasile centra la vittoria nella Coppa del Mondo, ben più dispensatrice di prestigio di una manifestazione, limitata all’ambito continentale. Questo lungo preambolo per segnalare le frustrazioni e le attese di una tifoseria, che dal momento stesso in cui ha saputo che l’Argentina avrebbe avuto l’onere di organizzare la XI Coppa del Mondo, ha immediatamente identificato nei vantaggi del fattore campo, l’elemento decisivo per poter conquistare un titolo prestigioso, che riscattasse anni e anni di umiliazioni e di sconfitte. Quindi la parola d’ordine diventava «l’Argentina deve vincere il Mundial».
Con queste premesse non certo tranquillizzanti, viste le esigenze e la volubilità dell’opinione pubblica, Cesar Luis Menotti accettava l’incarico di Direttore Tecnico della «Seleccion» verso la fine del 1974. Cesar Luis Menotti, detto «El Flaco» nato nel 1938, era stato centravanti del Rosario Central e nel 1960 aveva staccato il suo primo contratto di professionista. Goleador dal tiro potente, tecnicamente molto preparato, Menotti divenne ben presto un interno di regia e offrì i suoi servigi al Racing nel 1964 poi nel ’67 passò al Boca Juniors. Dopo una breve parentesi al General Nordamericano, passò sei mesi al fianco di Pelé nel Santos e poi nel 1970 abbandonò le scarpe bullonate di calciatore. Iniziò la carriera di tecnico come secondo di Antonio Juarez che allenava il Newell’s Old Boys di Rosario, passò quindi all’Huracan all’inizio del campionato 1971 e un paio d’anni dopo (1973) lo portava alla prestigiosa conquista del «Metropolitano», unico titolo per la società nella lunga storia del calcio professionistico argentino. Nell’Huracan giocavano Brindisi che attualmente è in Spagna, Carrascosa, Houseman e Larrosa che ritroveremo nella «seleccion» in preparazione per il «Mundial». L’AFA (Asociacion Futbol Argentino) dopo l’esperimento con Omar Sivori, che finì per le violentissime polemiche sulla stampa dopo che il «cabezon» con la sua guida tecnica aveva assicurato all’Argentina la qualificazione per il Mondiale 1974, si rivolse a Ladislao Cap che stava svolgendo la sua attività di allenatore in Colombia. Anche Cap durò poco nell’incarico e per il mondiale del ’78 l’AFA si rivolse ad un uomo che riteneva glaciale, che accettava il colloquio con tutti ma restava legato ai suoi principi, che più che alimentare le polemiche le smorzava con una cortesia non solo apparente ma fondata nel carattere.
Solo Menotti poteva durare nell’incarico per il quadriennio che precedeva il «Mundial» senza raccogliere le violente polemiche che lo investivano ed in particolare per i risultati della squadra che non l’aiutavano certamente. In pratica la preparazione alla Coppa del Mondo è durata per quattro anni e Menotti cominciò subito con dei rovesci piuttosto preoccupanti. Aveva annunciato il suo programma dichiarando che la sua Argentina avrebbe giocato a zona in difesa nel rispetto della tradizione, ma che per tutto il resto i giocatori a lui affidati avrebbero dovuto cambiare mentalità. Non più i numeri da foche ammaestrate, ma individualismo sacrificato al collettivo nel rispetto degli insegnamenti europei. Non più giocatori che reagiscono ai falli o che sputacchiano troppo facilmente sul viso degli avversari; questi sono gesti di debolezza e non di forza, nel mio «plantel» non ci saranno giocatori simili. Non più «caudillos», uno per tutti e tutti per uno.
Sembrano le solite parole che in Europa muovono a più di un sorriso di compatimento, ma Menotti fu costretto ad interessarsi anche di queste cose per cambiare la mentalità di elementi che giocando al «futbol» si sentono più artisti che professionisti di una attività atletica. Nel luglio del ’75 il «plantel» gioca una partita per la Coppa Newton a Montevideo con: La Volpe; Carrascosa Troncoso Rocchia Killer; Azad Galvan (Solari) Alonzo; Houseman Bochini Ortiz. L’Argentina vince 3-2 pur costretta a non utilizzare i giocatori del Boca e del River ad eccezione di Alonzo, ma nell’agosto il Brasile l’elimina dal Campionato sudamericano vincendo 1-0 a Rosario, nonostante una grossissima partita di Kempes, che fra le altre cose colpisce un palo. Ancora per la Coppa Atlantica del 1976 il Brasile viene a vincere (2-1) a Buenos Aires e Menotti si consola unicamente con la conquista del secondo posto davanti a Paraguay ed Uruguay.
Nel febbraio 1977 la «seleccion nacional» vince la «Copa de Oro» di Mar del Plata, ma senza convincere appieno, con risultati risicati. Poi dopo la vittoria per 5-1 sull’Ungheria (27-2-1977, Gatti, Tarantini Olguin Killer Carrascosa; Ardiles Gallego Villa (Benitez); Houseman (Felman) Luque (Maradona) Bertoni; 3 reti Bertoni, 2 Luque), l’Argentina vola in Europa per festeggiare i settantacinque anni del Real Madrid. Pareggia con l’Iran 1-1 ed accede alla finale con i rigori, ed è sconfitta dal Real (0-1) sollevando nuovamente un vespaio di polemiche che trovano alimento in certe malignità sulla condotta poco professionale dei giocatori. Menotti corre più di un pericolo, ma lo salvano i giocatori assumendo in proprio le responsabilità di quanto successo in terra spagnola. Poi ancora una serie di partite (3-1 alla Polonia, 1-3 dalla Germania Occ. 1-1 con l’Inghilterra e Bertoni è espulso per fallo di reazione, 1-1 con la Scozia, 0-0 con la Francia) dai risultati contraddittori che alimentano la tesi dei detrattori di Menotti: le scelte sono sbagliate, preferisce Carrascosa perché è amico suo, non chiama Fillol che è il miglior portiere del paese, non vuole i giocatori che lavorano all’estero per ragioni che non hanno fondamento. Arriva un poco di sereno con le vittorie sulla Jugoslavia (1-0) e sulla Germania Orientale (2-0), ma poi nell’agosto si gioca con il Paraguay per la «Coppa Coronel José Felix Bogado» e a Buenos Aires vince l’Argentina 2-1, ma ad Asuncion è sconfitta 0-2 e la Coppa finisce ai paraguayani.
Ed è un’altalena che continua fino a poco più di un mese dal mondiale. Menotti ha dovuto chiamare Fillol del River Plate per un infortunio del portiere titolare Hugo Gatti del Boca Juniors, Carrascosa ha lasciato la compagnia rifiutando la convocazione per il ritiro pre-mondiale, poi il «Director Tecnico de la seleccion» ha fatto un lungo giro in Europa per studiare l’opportunità di avvalersi di almeno tre giocatori conosciutissimi sul Vecchio Continente; Mario Kempes del Valencia, Oswaldo Piazza del Saint’Etienne ed Henrique Wolff del Real Madrid. Raggiunge un accordo solamente con il Valencia per Kempes e torna in Argentina per l’ultimo ciclo di partite. Tutte vittorie con Perù (2-1 a Buenos Aires e 3-1 a Lima), Bulgaria (3-1), Romania (2-0) ed Eire (3-1), ma ad appena un mese dal mondiale una formazione in cui sono compresi molti rincalzi, che si avvale di Luis Galvan, Larrosa, Villa, Houseman, Bertoni è sconfitta senza attenuanti dal debolissimo Uruguay per 0-2, e quindi il 2 giugno quando l’Argentina scende sul campo del River Plate per incontrare l’Ungheria nessuno degli appassionatissimi «hinchas» della «seleccion» sa esattamente quanto potrà credere nella propria squadra. Il tifo è d’obbligo, è un atto di fede ma per gli sportivi e per tutti gli osservatori l’Argentina è la vera ed unica incognita del mondiale.
Verso la fine di maggio s’è aggregato alla comitiva Mario Kempes, è l’unico «traditore» (così definiscono i professionisti che vanno a giocare all’estero),e per l’incontro con i magiari Menotti manda in campo quella che ritiene la formazione titolare: Fillol; Olguin, Luis Galvan, Passarella, Tarantini; Ardiles, Gallego, Valencia; Houseman, Luque, Kempes. Baroti risponde con: Gujdar; Torok, Kocsis, Kereki, Toth; Pinter, Nylasi, Zombori; Csapo, Torocsik, Nagy. Dal primo incontro dei padroni di casa, emergono risultanze chiare e precise: c’è spirito di vittoria, volontà di lottare, capacità di soffrire e impegno nel «pressing», quando ce n’è bisogno, ma la difesa è aperta alle scorribande avversarie e l’Ungheria passa in vantaggio già al 9′ con Csapo cogliendo il reparto in piena «bambola». La reazione è immediata e Luque pareggia al 14′ sugli sviluppi di una punizione di Kempes, ma poi la «seleccion» si fa invischiare nella maestria del maneggio del pallone dei danubiani e Fillol è bravo a sventare qualche pericolo provocato da Torocsik. Ci vuole una distrazione difensiva dei magiari per propiziare il vantaggio di Bertoni (entrato a sostituire Housemann) all’84 e qualche nascosto ma abile aiuto di Mister Garrido che è pronto ad ammonire Passarella e non lo richiama più quando capisce che dovrebbe espellerlo. Allontana invece dal campo Nylasi e Torocsik, innervositi dalla direzione a senso unico, con Garrido che fischia sì le punizioni, ma ammonisce ed espelle chi subisce i falli.
L’Argentina comunque passa ed è attesa all’incontro decisivo con la Francia. Menotti rimane fedele alla prima inquadratura, non presenta dall’inizio Alonzo che ha favorito in qualche maniera il risveglio degli argentini sostituendo Valencia nel corso dell’incontro con i magiari e lascia invariata la difesa che ha suscitato tante critiche. Ed infatti i francesi penetrano nei reparti arretrati, impegnano Fillol, meriterebbero il vantaggio ma lo svizzero Dubach, li punisce con il più assurdo dei rigori provocato da Tresor, che per attutire una caduta appoggia un braccio a terra ed intercetta un tiro di Luque. Passarella trasforma, ma Platini pareggia al 61′ e dopo il vantaggio di Luque (73′ con un gran tiro dal limite), un plateale rigore su Six non viene concesso e per la seconda volta l’Argentina arriva indenne al traguardo della vittoria pur non avendo convinto nessuno. Nella formazione «blanquiceleste» emergono unicamente i centrocampisti Ardiles e Gallego, Fillol ha modo di mettere in mostra le sue virtù, Kempes sembra legato, indeciso, per il resto la squadra mostra limiti di gioco e di personalità molto evidenti. Dopo le due vittorie l’Argentina comanda la classifica con l’Italia che ha a sua volta battuto Francia ed Ungheria, l’incontro del 10 giugno deciderà della dislocazione per il girone di semifinale: Rosario o Buenos Aires