Mondiali 1978: ARGENTINA

Il Capocannoniere Mario Alberto Kempes

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Luis Cesar Menotti, uno che di Mondiali se ne intende, ha una sua filosofia sulle grandi squadre. Dice infatti il CT campione del mondo ancora in carica: «Per costruire una grande nazionale bisogna disporre di un buon arquero, di un buon volante, di un fortissimo punterò central». Il che, tradotto alla buona, vuol dire: un buon portiere, un libero che sappia anche attaccare, un centravanti che sappia andare in gol. Nel 1978, l’Argentina di Luis Cesar Menotti aveva tutto quello che occorre per vincere la Coppa mondiale della FIFA (compresi, s’intende, il fattore campo e gli immancabili arbitraggi favorevoli). L’arquero era Fillol, indubbiamente il più forte portiere in assoluto. Il libero il fenomenale Passarella, l’hombre-gol Mario Kempes, il lungo crinito fuoriclasse che Helenio Herrera definì «l’attaccante più forte del mondo, grande come Alfredo Di Stefano». Essere paragonato alla «saeta rubia» è il massimo riconoscimento cui un calciatore, specie un argentino, possa aspirare. Mario Alberto Kempes meritava tutto questo.

Con i suoi 6 gol nel mondiale, Kempes ha contribuito in maniera determinante al successo dell’Argentina. Ma oltre ai gol, il gioco. Kempes, quando si scatenava in avanti con la lunga criniera al vento, sembrava un ciclone. Difese arcigne e poco propense ai complimenti, tremavano come canne al vento. Stopper dal calcione facile venivano agevolmente travolti. Portieri di altissimo valore finivano beffati come principianti.

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Per Kempes non esistevano ostacoli, specie quando poteva giocare in tandem con un altro formidabile sfondatore, Luque, 4 gol e tanto gioco, un ariete in grado di aprire varchi per se stesso o per il compagno di tandem. D’accordo: gli arbitri hanno indubbiamente favorito l’Argentina; d’accordo, nella decisiva partita con il Perù (6 a 0 per i biancocelesti…) il portiere Quiroga, un argentino naturalizzato peruviano che abitava proprio a Rosario dove si giocò la partita, spalancò amichevolmente le braccia e la porta all’attacco argentino; d’accordo, se Rensenbrink non avesse colpito il palo, con Fillol fuori causa al 90′ minuto della finalissima di Baires, chissà cosa sarebbe successo. Ma, complessivamente, l’Argentina il titolo lo aveva meritato. Giocò grandi partite contro una fortissima Ungheria; contro l’orgogliosa Polonia; fu battuta soltanto dall’Italia di Roberto Bettega e di Paolo Rossi, nell’indimenticabile notte del River Plate, quando l’inesorabile stoccata di Bobby-gol mise in ginocchio la più forte difesa del mondo.

Poi, la finalissima contro l’Olanda, approdata all’ultimo incontro per la seconda volta consecutiva, decisissima a vendicare lo smacco di Monaco, quando dovette cedere di fronte alla Germania di Beckenbauer e di Muller. Fu una grande partita. In campo, i vecchi leoni dalla bella maglia «orange», i profeti del calcio totale, mescolati a qualche giovane talento. Una Olanda priva del suo talento più grande, Johan Cruijff, rimasto a casa per aspri dissidi con la Federazione del suo Paese, ma pur sempre una grande Olanda. E fu subito battaglia aspra, a stento contenuta dal nostro Sergio Gonella, primo arbitro italiano ad assaporare l’immensa soddisfazione di dirigere una finale del campionato del mondo. Botta e risposta, finalmente il gol (dopo 37 minuti di gioco ad altissimo livello).

Chi lo segna? Mario Alberto Kempes, si capisce. Un allungo, uno scatto che brucia l’erba, esce Jongbloed, puntatina vincente, gol. Poi l’Argentina si schiude, l’Olanda dilaga, la difesa dei sudamericani accusa qualche attimo di vertigine, manca ormai poco alla fine e Poortvlijet, uno spilungone che non lascerà traccia nel calcio mondiale, pesca la carta vincente: su un pasticcio della retroguardia bianco celeste azzecca il pareggio. Gelo sulle sterminate scalee del River Plate, un’intera Nazionale trattiene il fiato, vuoi vedere che si ripete la beffa di altre finali perdute dalla squadra super-favorita (Brasile 1950; Ungheria 1954…). Ma ecco Rensenbrink liberato in area da un passaggio filtrante, Fillol esce alla disperata, Rensenbrink tocca e lo supera, gol… No: palo. Gonella disse, più tardi in Italia, che stava già portando il fischietto alle labbra, per sancire il gol, fu un miracolo se riuscì a non fischiare…

Si va ai supplementari. E tutti a dire: adesso gli olandesi, che atleticamente sono dei mostri, sfracellano gli argentini, che magari toccano più abilmente la palla, ma sul piano fisico non possono reggere altri 30 minuti. E, invece, il crollo, clamoroso, degli «orange»: è ancora Mario Alberto Kempes a dare la spallata definitiva all’Olanda. Allungo di Luque, contrasto con Brandts, Kempes esce con la palla al piede, un gran fendente di sinistro, Jongbloed respinge come può, Kempes sembra una pantera, si raggomitola poi scatta e tira di nuovo: palla in fondo al sacco. L’Argentina è finalmente campione del mondo, Daniel Bertoni ribadisce il diritto dei biancocelesti a fregiarsi di quel titolo che inseguiva fin dal 1930 (Uruguay…) siglando la rete del 3 a 1. È il trionfo. Esplode la notte brava di Baires.

LA CLASSIFICA MARCATORI

6 reti: Kempes (Argentina);
5 reti: Cubillas (Perù, 2 rigori), Rensenbrink (Olanda, 4);
4 reti: Luque (Argentina), Krankl (Austria, 1);
3 reti: Roberto e Dirceu (Brasile), Rummenigge (Germania Ovest), Rep (Olanda), Rossi (Italia);
2 reti: Bertoni (Argentina), Nelinho (Brasile), Flohe (Germania Ovest), Bettega (Italia), Boniek e Lato (Polonia), Haan e Brandts (Olanda), Gemmill (Scozia, 1), D. Müller (Germania Ovest);
1 rete: Passarella (1), Houseman e Tarantini (Argentina), Reinaldo e Zico (Brasile), Berdoll, Lacombe, Lopez, Platini e Rocheteau (Francia), Benetti, Causio e Zaccarelli, (Italia), Csapo, J. Toth (1) e Zambori (Ungheria), Ayala (1) e Rangel (Messico), Dhoujeb, Gommidh e Kaabi (Tunisia), Abramczyk, Hölzenbein e H. Müller (Germania Ovest), Deyna e Szarmach (Polonia), Sjöberg (Svezia), Obermayer e Schachner (Austria), Asensi e Dani (Spagna), Dalglish e Jordan (Scozia), Cueto e Vélasquez (Perù), Danifard e Rowshan (Iran), Poortvliet, W. Van de Kerkhof e R. Van de Kerkhof (Olanda)