Mondiali 1990: GERMANIA

Alla scoperta di Schillaci

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Il 17 giugno 1986, a Città del Messico, Platini non aveva soltanto fatto cadere l’Italia di Bearzot: aveva chiuso un’epoca del calcio azzurro. Compressi e soffocati dalla notte dell’11 luglio 1982, i livori in corso nel Bel Paese del pallone riuscirono finalmente a sfogarsi. Enzo Bearzot non oppose resistenza. Aveva già annunciato l’intenzione di lasciare la panchina azzurra dopo il Mondiale messicano e non aspettò che qualche corvo gli presentasse il conto. Ribadì tuttavia la validità dell’impegno quadriennale sottoscritto prima di partire per la sfortunata avventura messicana: «Non voglio più saperne di panchina ne’ del ruolo di selezionatore. Mi assumo l’onere della sconfitta e mi metto a disposizione per un altro incarico nell’ambito del Club Italia, un po perché ho un contratto di quattro anni e intendo rispettarlo lavorando, un po’ perché sono nato e cresciuto in Federazione e non me la sento di svolgere attività calcistica fuori di questa».

Il 1 agosto 1986, quasi alla chetichella, Carraro annuncia un indolore passaggio di consegne al timone azzurro. Bearzot assume un generico incarico di “Coordinatore delle squadre nazionali”, con l’esplicito obbligo di non ingerenza (in pratica, gli tocca un ruolo da ambasciatore del calcio azzurro). Al suo posto, Azeglio Vicini, promosso dall’Under 21, appena pilotata alla finale del torneo europeo di categoria (in programma in ottobre) e alla cui guida passa Cesare Maldini. Cinquantatrè anni, un passato da calciatore con Cesenatico, Cesena, Vicenza, Sampdoria e Brescia, Vicini, dopo una prima esperienza da allenatore nello stesso Brescia, è entrato nei ranghi federali nel 1969, guidando in successione la Nazionale juniores, l’Under 23 e poi l’Under 21.

Maggio 1990: A cullare l’Italia di Azeglio Vicini, uno scenario suggestivo. Rigenerati dal ritiro a Marino, sui colli romani, gli azzurri scendono in campo nel rinnovato stadio Olimpico, ideale palcoscenico delle “Notti magiche” (inno ufficiale della manifestazione) per la imponente grandiosità e illuminazione. La formula è la stessa di quattro anni prima, con la pletorica prima fase e poi ottavi, quarti e semifinali a eliminazione diretta. Oltre agli azzurri, il primo raggruppamento comprende Austria, Cecoslovacchia e Stati Uniti. Dopo due provini con la Grecia (0-0) a Perugia e il Cannes (3-0) ad Arezzo, Vicini decide per il debutto con gli austriaci di reinserire Ancelotti a centrocampo a sostegno di Donadoni, De Napoli e Giannini, e di rinunciare a Baggio (per motivi tattici). In attacco, rinnovata fiducia a Vialli, in coppia con Carnevale.

Come già accadde in Argentina, il clima del Mondiale fa scoccare una magica scintilla. La regià di Giannini, le invenzioni di Donadoni, la sostanza di una difesa granitica mettono alle corde gli austriaci, tenaci tuttavia nella loro resistenza. Il palo neutralizza un gran tiro di Ancelotti, alcuni ottimi interventi del portiere Lindenberger congiurano, assieme a clamorosi errori di Vialli e Carnevale, a mantenere inviolata la porta austriaca. Sotto un tifo incessante, gli sforzi azzurri si moltiplicano nel finale. L’imprendibile Donadoni viene atterrato da Russ in piena area e l’arbitro chiude gli occhi, primo segnale di un inedito “sfavore ambientale” per i padroni di casa. Poi Vicini azzecca la mossa: sostituito l’infortunato Ancelotti con De Agostini, manda sotto la doccia Carnevale per inserire Schillaci. Passano solo quattro minuti e proprio il nuovo arrivato devia in rete di testa un cross di Vialli dalla destra, sbloccando il risultato, che non cambierà più fino alla fine. Gli occhi spiritati dell’attaccante siculo diventano l’emblema del Mondiale azzurro.

La Cecoslovacchia nel frattempo affonda gli statunitensi per 5-1 a Firenze, logico pensare a una sana goleada azzurra contro i rgazzi a stelle e strisce nel secondo match. Per l’occasione, Vicini privo di Ancelotti, decide di tornare a Berti; in attacco, conferma per tutti: Schillaci e l’invocato Baggio restano in panchina. Italia-USA è un compito che si rivela meno agevole del previsto, complice la serata no di parecchi uomini, Berti e De Napoli in testa, nonostante il sollecito vantaggio, procurato da una prodezza di Giannini, liberato da un assist di Donadoni “fintato” da Vialli. Al 33′ gli azzurri potrebbero chiudere la partita, su rigore per fallo di Caligiuri in area su Berti, ma il sempre più frastornato Vialli colpisce il palo.

Nella ripresa Vicini decide di ribadire la staffetta, inserendo Schillaci per Carnevale. Al momento della sostituzione, questi rivolge al Ct in mondovisione un pressante invito a realizzare un poliedro regolare con sei facce quadrate uguali («Vaffancubo»), secondo una benevola interpretazione non condivisa dal Ct. È sofferenza fino in fondo, Zenga deve superarsi su una punizione di Murray filtrata oltre la barriera e sulla ribattuta in rete da pochi passi di Vermes. Finisce 1-0, mentre la Cecoslovacchia diventa lo spauracchio del girone, facendo fuori un’ammosciata Austria e costringendo l’Italia al secondo posto (per differenza reti) nonostante il punteggio pieno. Per vincere il raggruppamento, e quindi restare a Roma, diventa tassativo battere gli uomini di Venglos.

Per la nuova sfida Vicini sceglie la rivoluzione in attacco, approfittando di un malanno a una coscia di Vialli, con l’innesto contemporaneo di Baggio e Schillaci. D’incanto, la flessione è superata. Giocando un calcio variato e imprevedibile, gli uomini di Vicini dominano a lungo. Sigla il vantaggio Schillaci, gran rapinatore di testa su un tentativo di conclusione da lontano di Giannini. Nella ripresa, mancato ripetutamente il raddoppio e ricevuto un gentile omaggio dall’arbitro (annullato un gol di Griga apparso regolare), gli azzurri raddoppiano con la rete capolavoro di Baggio: ricevuta palla a metà campo, triangola con Giannini, si “beve” in dribbling mezza difesa cecoslovacca, chiama fuori il portiere e lo infila. L’Italia vince, il pubblico è in delirio.

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Italia-Cecoslovacchia: la splendida rete di Baggio