Oreste Del Buono: cronache spagnole

25 giugno 1982: Infedele, ma squadra del cuore

Dio mio, cos’è un tifoso. E un tifoso di una squadra carissima, derelitta ed infedele come la nazionale azzurra sempre lì lì, in bilico sull’orlo della catastrofe, non sempre all’altezza delle illusioni di gloria collettive e, tuttavia, spesso in grado di rinaugurarle, riaprirle, riaccenderle quali piaghe felici. Mercoledì al Balaidos di Vigo in una sera inaspettatamente d’estate, una sera atlantica spingentesi quasi a sconfinare in una notte di sole più che di luna, il saluto ironico e radioso della Galizia ai raffreddati, ai reumatizzati, ai maltrattati intrusi ormai in via di trasloco, i tifosi italiani avevano insultato, vituperato, maledetto, stramaledetto la squadra del cuore che non aveva saputo battere neppure il Camerun. Ma poi, durante il viaggio di trasferimento a Barcellona, sede delle nuove gesta contro Argentina e Brasile, i discorsi cominciano a cambiar tono. Basta uno dica: «Dopotutto, nel 1970, in Messico abbiamo superato la prima fase con appena quel tiro di Domenghini…». I tifosi italiani non sono capaci di conservare a lungo rancore alla nazionale azzurra. E, prima o poi, irresistibilmente, si riconcedono quest’amore irrazionale e magari un poco indecente. Del resto, come potrebbe il tifo, una malattia, aver qualcosa da spartire con la ragione o con la decenza? Dunque, ecco il ricordo del Mundial 1970 e della ciabattata di Domingo contro la Svezia intervenire a mediare la riconciliazione. Negli ottavi di finale di quella che è stata la nostra migliore partecipazione al campionato del mondo dopo le vittorie ormai mitiche del 1934 e del 1938, a parte quell’avaro 1 a 0 con la Svezia, in fondo si racimolò uno 0 a 0 con l’Uruguay e uno 0 a 0 con Israele. 1 gol, 4 punti, e il primato nella classifica del secondo gruppo. Questa volta, d’accordo, siamo arrivati secondi del primo gruppo, abbiamo messo insieme appena 3 punti con lo 0 a 0 con la Polonia, l’1 a 1 con il Perù e questo 1 a 1 con il Camerun, ma abbiamo segnato ben 2 gol. Un altro tifoso rincara: «Dopotutto, nel 1970, al Messico, siamo arrivati a disputare la finalissima con il Brasile e, se Valcareggi avesse messo in campo Rivera già nei primi cinque minuti invece che negli ultimi, chissà che…». Senza la minima autoironia, anzi con la deliberata voluttà di ingannarsi, i tifosi italiani al seguito della nazionale azzurra, anche quelli che al Balaidos si sono più scalmanati a stramaledire la squadra del cuore, anzi soprattutto quelli, falsificano la storia del calcio, calpestano ogni plausibilità e ogni proporzione, ogni senso della misura per fabbricarsi un passato tanto glorioso da autorizzare, se non addirittura imporre, la gloria del futuro. «Martedì, incontriamo l’Argentina. Ebbene, siamo stati solo noi a batterli nel 1978 a casa loro con quel tiro di Bettega…». E’ vero, a questo punto una trafittura di nostalgia per il grande assente rischia di fugare i vaneggiamenti. L’assenza di Bettega si è molto sentita al Balaidos di Vigo e ancor più si sentirà all’Espandi di Barcellona. Ma i tifosi italiani reagiscono all’avvilimento. A modo loro con lucidità, l’importante è insistere nell’inganno. Caso mai si rinuncia alla gloria. «Ve lo dico io», assicura uno, «Menotti non ci voleva proprio, siamo gli ultimi che avrebbe voluto incontrare, avrebbe preferito il Camerun. Cabrini, a Bertoni, non gli fa vedere una palla come nel nostro campionato. Noi sappiamo arrangiarci…». Gli innamorati dell’infedele, malignazza, ma imprevedibile nazionale azzurra sono tutti in viaggio verso Barcellona. In aereo, in treno, in macchina e con qualsiasi altro mezzo. Manca solo Giuseppe Garibaldi per completare l’oleografia. Lo sostituisce Gaudio Villa in motocicletta, a torso nudo, con bandiera. La brutta figura rimediata al Balaidos è archiviata come un trionfo, gli azzurri sono ridiventati eroi. Ma non gli si chiede più di giocare, gli si chiede di arrangiarsi. Dopo l’economia sommersa, il calcio sommerso può essere la nostra bandiera…