Oreste Del Buono: cronache spagnole

6 luglio 1982: Caduti gli dei del Brasile

Domenica si diceva in questa pagina che undici uomini avrebbero affrontato nello stadio Sarrià di Barcellona gli undici Dei del calcio brasiliano. Ma non ci volevamo illudere perché ci pareva già molto quello che aveva fatto la squadra italiana battendo l’Argentina. Moltissimo. Ma gli azzurri hanno fatto ancora di più e sono arrivati a superare nel ricordo persino l’epico scontro Italia-Germania al Messico. Non si potrà dimenticare facilmente questa squadra azzurra del Mundial 1982. Non sarà stata la miglior formazione italiana messa in campo dalla fondazione della nazionale, ma ha dimostrato temperamento, molto temperamento, persino un eccesso di temperamento. Cosa che non si verificava da un poco. D’improvviso, gli azzurri si sono scossi ogni neghittosità di dosso, si sono ribellati alle critiche, alle condanne frettolose, hanno cercato In tutti i modi di andare controcorrente. Non sempre sono piaciuti per rispetto delle convenienze, non sempre hanno osservato un minimo di educazione. Ma, dopotutto, sospetto che nessuno abbia mai tentato di insegnargliela. Il Della Casa al seguito della nazionale è massaggiatore e non monsignore: non si intende particolarmente di galateo o. se se ne intende, non è tenuto a propagandarlo. Ricordiamocela dunque questa nazionale di Tardelli. La chiamo di Tardelli, perché è un giocatore che mi piace tanto e poi perché come è stato il primo a inaugurare una certa tempestosità di rapporti con i giornalisti è stato il primo a segnare contro l’Argentina, perché, in campo, dà tutto di sé e anche qualcosa di più. E infatti nello scontro con il Brasile è dovuto uscire prima, martoriato dagli avversari. Merita un ricordo, questa nazionale e non un ricordo di rancore. Una nazionale di giocatori concordi stretti prevaricanti, una nazionale con potere quasi assoluto su tecnici e autorità federali, una nazionale che ha fatto davvero valere il concetto di collettivo. Rossi è risorto in campo, era malato, era debole, doveva essere tenuto fuori, ma Bearzot ha insistito a farlo giocare e alla fine ha vinto la partita Bearzot e tutti gli altri sono stati degni di Rossi e di Tardelli a cominciare da Zoff per finire all’ultimo entrato in campo che è Marini. Questa nazionale non sarà riuscita simpatica ad alcuni osservatori, ad alcuni giornalisti al seguito, non sarà riuscita simpatica specie a chi si è trovato occupato a parlarne, ma è una nazionale pratica e ostinata e sicura di sé persino nell’affermare il contrario dell’immaginazione, il contrario delle previsioni, il contrario di qualsiasi pronostico. No, siamo sinceri, non simpatica ma dura e persino coraggiosa, il meglio che si possa dire. La partita ha cominciato a vincerla il pubblico dei tifosi italiani che nel pochi giorni passati da Brasile-Argentina avevano studiato i modi, i riti e gli eccessi del tifo brasiliano e si sono sforzati di mettere in scena tutta una nuova rappresentazione italiana, un grande numero di bandiere e ai ritmi del samba continuamente ripetuti dai brasiliani hanno posto bufere di clacson, di sirene, di qualsiasi suono che potesse disturbare. Hanno dimostrato, rispetto a Italia-Argentina, di avere imparato le parole successive della canzone di Mameli. Sanno anche che cosa faccia l’Italia con l’elmo di Scipio. Cartelli, striscioni e richiami su tutti gli spalti, «Roma: forza Italia, da Torino: «L’urlo del Bar Nino Forza Italia, Castelfranco di Sotto ringrazia gli azzurri, Un solo grido: forza azzurri Bar La Spezia, Forza Italia: Circolo Dipendenti Cassa di Risparmio di Prato» e cosi via, un’infinità di esortazioni, intimazioni e anche intimidazioni agli avversari. Il pubblico del tifosi è riuscito a rompere la grande manifestazione di suoni, di ritmi e di canti dei brasiliani, sono riusciti a farsi valere anche gli italiani che non giocavano. Ora le molte valigie fatte dagli inviati speciali al seguito della Nazionale azzurra sono state disfatte. I semplici, scorbutici, realistici uomini che hanno umiliato dopo i semidei argentini anche gli dei brasiliani troppo innamorati di sé costringono gli scettici, i pessimisti, i disfattisti a restare per seguire la semifinale con la Polonia. Più ancora dello stesso Bearzot, a trionfare pare essere l’unico giornalista che a far la valigia non ha mal pensato, ma anzi, da dopo l’incontro con il Camerun, appena è stato chiaro che si sarebbe finiti nel supergruppo latino, ha prontamente dichiarato che l’avremmo spuntata con Argentina e Brasile, perché il gioco c’era, e non lo ha dichiarato solo una volta, lo ha ripetuto ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. L’inviato speciale dell’Avvenire, Amaducci, già autore di una storia del calcio a fumetti, più che trionfante, si propone come direttore di uno dei quotidiani sportivi italiani. Magari di Stadio, che ha incautamente intitolato la sua prima pagina della vigilia: «Avanti Brasil».