Oreste Del Buono: cronache spagnole

9 luglio 1982: Italia in finale, Polonia battuta

L’Italia ha vinto splendidamente una brutta partita ed è in finale per il titolo con la Francia o la Germania. Vincere una brutta partita è più difficile, molto più difficile che vincere una bella partita. Ne sanno qualcosa i russi che sono stati intrappolati a loro tempo dai polacchi. E all’inizio di questa partita mi è capitato di temere che questo si verificasse anche per noi. E anche dopo che Paolo Rossi ha segnato la prima rete al 22° minuto ho continuato a temere, e con me, non sono infatti un originale, ha continuato a temere il pubblico venuto dall’Italia che si è ammutolito finite le prime raffiche di voci e di suoni. Ma al 72° Paolo Rossi, l’angelo sterminatore di cui Bearzot e Vecchiet sono stati profeti, ha segnato la sua seconda rete, inginocchiandosi davanti alla porta avversaria con grazia implacabile. Ed è finita con melina e ole irridenti ai polacchi. Vincere una bella partita giocando a campo aperto contro i brasiliani è stato più facile. Perché i brasiliani giocano un grande calcio. Ma i polacchi sono più tignosi e ci voleva per superarli, e nel modo in cui sono stati superati, la squadra azzurra. La realtà sorprendente eppure convincente di questo Mundial 1982. Dopo un mese passato nei loro dintorni, in rapporti amichevoli o ostili, muti o allusivi, esistenti o inesistenti, mi resta ancora una grande curiosità per la squadra azzurra. Non sono un giornalista sportivo, e i lettori se ne sono indubbiamente accorti, ma questo non vuol dire che possa permettermi indifferenza per una realtà che si è andata costruendo sotto i nostri miopi occhi di spettatori qualificati o no: la realtà di un collettivo, di un gruppo, un reparto di difesa e di assalto; tanto unito e tanto concorde, tanto convinto e tanto orgoglioso, tanto refrattario alla retorica e tanto attento nell’uso delle forze, da non arrendersi in partenza davanti a nessuno, da non rispettare in partita nessuno neppure gli osannati, i cessati dei del pallone brasiliani. A posteriori, con il cinico senno di poi è troppo facile dire che in fondo la partita in cui gli scorbutici ragazzi in maglia color cielo hanno penato di meno è stata proprio quella tra uomini e dei, quella per cui non erano molti a concedere loro possibilità. Sarebbe troppo facile, eppure a riconsiderarla in un lampo la partita di lunedì al Sarrià, a confronto con tutte le altre non solo l’altra del Sarrià contro l’Argentina ma quelle del Balaidos, dall’ultima con il Camerun alla penultima con il Perù alla prima con la Polonia, appare la meno sofferta addirittura. L’apparenza inganna, d’accordo, la partita di lunedi al Sarrià e stata una partita di grande tensione, e tuttavia lo stesso semplice fatto che si osasse combattere da pari a pari con gli dei risultava esaltante. Invece, qui al Camp Neu abbiamo ricominciato come da zero con la Polonia, un’altra squadra di uomini, e di uomini simili a noi, imprevedibili, testardi, malignacci e, diciamo la parola con rispetto ed affetto, carogne. Come da zero e peggio che da zero. Allora, nella prima partita con la Polonia, avevamo a disposizione due risultati positivi, anche un pareggio andava bene, oltre ovviamente alla vittoria. Ma anche una sconfitta non sarebbe stata del tutto irrecuperabile. In questo pomeriggio di un giorno da cani, a Barcellona, un solo risultato era a disposizione, la vittoria e basta. I polacchi alla vigilia affermavano che a loro sarebbe andato bene anche un pareggio, con conseguenti tempi supplementari ugualmente in pareggio, e poi il ricorso ai calci di rigore. Una roulette alla polacca insomma, contro ogni resistenza umana, meditata con un colpo in canna pronto per l’Italia. Il bellissimo Camp Nou si apre in un monumentale imbuto, in fondo al quale non si respira, pur stando fermi, pur non muovendosi affatto. In questi giorni Barcellona è stata forse la prima città spagnola a vantare, o a lamentare, la più alta temperatura del secolo. Ora altre località l’hanno raggiunta e persino superata. 42 gradi a Logrono, Pamplona e Lerida, 48,8 a Grenollers. Comunque, a Barcellona faceva sempre un caldo d’inferno. Le semifinali erano due, ma non era solo il fatto che siamo italiani a farci considerare più importante questa di Barcellona. Al Camp Nou si affrontavano i vincitori delle Americhe e delle Russie, le rappresentative di due degli Stati più inguaiati del mondo, indebitati con le finanze anche di qualche altra galassia, lunatici, ribelli, anticonformisti e conformisti a loro modo. Lo scontro era ricco di motivi anche meno sportivi. «La finale vaticana» la intitolavano i giornali di qui, e riassumevano i dati della vertenza con ironia da correligionari. Alla presunzione che Dio fosse brasiliano, propagandata da alcuni giornali carioca prima dell’incontro con l’Italia, la tifoseria italiana aveva contrapposto sulle «ramblas» la scritta: «E Dio dice Italia». Al 90’minuto di Italia-Brasile, anzi al 91′ e qualcosa, si era potuto constatare che quell’informazione rispondeva a verità. Ma i polacchi si professavano più religiosi degli italiani nelle interviste e potevano vantare anche il Vicario di Dio in Terra, Wojtyla, sempre cosi attaccato alla sua origine polacca. «Papa Wojtyla, le tue preghiere devono essere neutrali», dicevano ulteriori scritte della tifoseria italiana che sulle «ramblas» ha preso il posto della «torcida» brasiliana. Tutti i Santi erano chiamati a prendere partito nella partita. Ci sono più Santi italiani o polacchi da schierare in campo? Come non sono dei, gli italiani non sono neppure santi. Gli scorbutici ragazzi in maglia color cielo hanno cercato di arrangiarsi nell’interno del Camp Nou. Ogni movimento costava, il calore della giornata e di tutte le giornate precedenti in questa straordinaria estate spagnola facevano evaporare energie ed estro al tempo stesso. E’ stata una gran prova per i latini, per gli italiani in genere e per gli italiani in particolare superare questo pomeriggio. Il dolce far niente sarebbe stato da mettere in atto, o meglio non in atto per prescrizione medica. I polacchi al solito hanno cominciato a tessere la loro trama: tutti indietro ad aspettare che gli italiani venissero avanti. E’ intervenuto un soffio d’aria a mitigare il calore, ma le maglie azzurre parevano sbiancarsi come quelle dei russi nella partita che li aveva opposti ai polacchi. Se nel gioco del calcio un italiano è carogna, un polacco è carogna e mezzo. C’è voluto Paolo Rossi in forma strepitosa per aprire un varco d’astuzia al 22° minuto. I polacchi hanno provato qualche attacco di rivalsa, poi hanno ricominciato a difendere le loro possibilità di approfittare degli errori avversari, pareggiare almeno per arrivare a giocare la roulette alla polacca. Ma all’inizio della ripresa hanno avuto un soprassalto d’orgoglio, si sono spinti avanti ed è stata la loro fine. Prima o poi Paolo Rossi li ha trafitti di nuovo ed è finita. Gli italiani hanno dimostrato che se un polacco è una carogna e mezzo gli italiani sono due.