Oreste Del Buono: cronache spagnole

11 luglio 1982: A Madrid Italia e Germania di fronte nella finalissima del «Mundial»

Oggi, dodici anni dopo, Italia e Germania si ritrovano davanti allo stadio Bernabeu di Madrid come si trovarono davanti allo stadio Azteca di Città del Messico per una partita decisiva. Una lieve differenza: allora era il 17 giugno 1970. E si trattava di una semifinale, la finale, l’avremmo giocala stremati con il Brasile. Oggi è l’11 luglio 1982 e si tratta della vera finale. Il Brasile, lo abbiamo già eliminato nella seconda fase di questo torneo. Comunque allora, senza far nessun torto al grande Brasile, si disse che la vera finale era stata Italia-Germania. Oggi italiani e tedeschi si affrontano una volta di più, per la supremazia non solo europea, mondiale, addirittura. Due popoli cosi dissimili caratterialmente opposti, destinati a non perdersi di vista almeno nel calcio. All’ultimo momento, lo confesso, venerdì pomeriggio all’aeroporto di Barcellona, ho avuto un cedimento, ho pensato di tornarmene a casa. C’era una fila cosi lunga per sfruttare il ponte aereo Barcellona-Madrid. E una fila cosi scarsa, quasi inesistente, per prendere un volo qualsiasi per l’Italia. Mi sono scoperto imbarcato per Milano quasi a tradimento. Guardavo i ragazzi della giovanile dell’Inter, di ritorno dal Mundialet, dove mi pare si siano classificati settimi, non granché, in compenso senza suscitare scandali questa volta, e mi stupivo della rassomiglianza voluta da ciascuno di loro con qualcuno della nazionale presente e passata. Soprattutto presente, abbondavano gli pseudo-Collovati e gli pseudo-Antognoni e gli pseudo-Paolo Rossi e gli pseudo-Cabrini. Rassomiglianze meramente intenzionali, ipotetiche, concretamente insostenibili. Infatti, non riuscivo a capire come potessero tornarsene tranquillamente in Italia, cicalando di oziosità a esemplo della capigliatura di Collovati e di quella della moglie di Collovati, come mai non fossero restati in Spagna per assistere alla futura partita del loro modelli. E poi, come in ogni gag ritardata che si rispetti, mi sono reso conto che soprattutto non capivo perché tornassi io. Saturazione di calcio, intossicazione da fatica, o, più semplicemente, paura? Vergogna. Ma la vergogna è aumentata dopo, quando ho messo realmente piede in Italia. La cicalante comitiva dell’Internazionale si è sciolta, stabilendo appuntamenti, come se gli pseudo-Collovati, gli pseudo-Antognoni, gli pseudo-Paolo Rossi, gli pseudo-Cabrini fossero già sicuri di aver conquistato il diritto alla successione del loro modelli pur ignorando quanto ai loro modelli sia costato e costi essere quelli che sono. Ma tutti gli altri che incontravo in patria non parlavano che di Italia-Germania, e non ne parlavano come di una partita di calcio, di un avvenimento sportivo o spettacolare, di rilievo, ne parlavano come di un fatto in qualche modo risolutivo della vita pubblica e privata italiana. Stando lontano questo mese al seguito della Nazionale, quando cercavo di afferrare qualcosa di quanto avveniva in Italia dal giornali che arrivavano sempre in ritardo, Calvi, il governo, la crisi, eccetera, non ho potuto valutare esattamente di quale attesa nazionale abbia finito per caricarsi, in assenza d’altro, questa che secondo il programma dovrebbe essere solo un’importante partita di calcio. Temevo di essere stato io, come gli altri al seguito, a sopravvalutarla. Invece, nel mio breve soggiorno in patria mi sono convinto che è il contrario, caso mai siamo stati noialtri a sottovalutarla puntando l’attenzione sulla realtà agonistica più che su quella simbolica. Dunque, ho deciso di riprendere al più presto la via per la Spagna. «Destino», come dicono gli spagnoli, e suona certo più fatalmente di destinazione, «Destino: Madrid», per la celebrazione dodici anni dopo dell’indimenticabile evento dello stadio Azteca, per la riaccensione della leggenda di Italia-Germania 4 a 3 allo stadio Bernabeu. Di nuovo, ininterrottamente Boninsegna all’8′ minuto, con quella legnata dal limite dell’area, ha dato all’Italia l’illusione di essere a posto, di nuovo Schnellinger ha pareggiato al 90′ in recupero con quella spaccata, condannandoci ai tempi supplementari, di nuovo Muller al 4′ del primo tempo supplementare ci ha scornato, portando in vantaggio la Germania, di nuovo Burgnlch all’8′ impazzito all’attacco, ha rimesso l’Italia in carreggiata, di nuovo Riva ci ha fatto ancora sognare al 14′, di nuovo Muller al 5′ del secondo tempo supplementare ci ha indotto alla disperazione, di nuovo al 6′ Rivera ha saldato il conto per l’ultima volta, prima di rischiare di venir soffocato dall’abbraccio di Riva, di nuovo Boninsegna al 7’… Si ripeterà tutto questo stasera? Allora, i veri tedeschi, quelli che non si arrendono mai, neppure alla fatica disumana, fummo noi. Oggi il vecchio Valcareggi dice: «La mia Nazionale è stata superata». Bearzot vuole in campo tutti i suoi della formazione base, dello scorbutico, ardente, testardo gruppo di difesa e d’assalto che si è creato in intima convinzione, in polemico silenzio, in agguerrita solitudine. Sino all’ultimo Bearzot rifiuta di rinunciare ad Antognoni che pure ha un piede ferito. Se Antognoni ce la fa, si vedrà solo quando le squadre entreranno in campo al Bernabeu di Madrid. Come giovedì con la Polonia, solo quando le squadre sono entrate in campo, al Camp Nou di Barcellona si è visto che giocava Tardelli, già martoriato nello scontro con il Brasile. In campo, ci sarà di nuovo Gentile in formula senza baffi. Bearzot tiene sempre che il primo equipaggio della sua zattera Italia sia presente, anche se sa che le riserve sono pronte a battersi bene, avendo ricevuto un insegnamento insostituibile dal collettivo. Un miliardo e mezzo di telespettatori in tutto il mondo aspettano, partecipando per una squadra o per l’altra, che in qualche modo si ripeta la leggenda dello stadio Azteca. A costo di andar controcorrente, non mi sento sinceramente di augurare al cai datori l’orribile sofferenza dei tempi supplementari. Avete dato un’occhiata alla temperatura? E non pensate che sarebbe indubbiamente meno epico, ma altrettanto indubbiamente più umano se la leggenda fosse celebrata solo per essere sfatata per sempre? Ovvero che qualcuno degli azzurri, magari il rinato Rossi, il verdugo del Brasile e della Polonia, sostituisse nel gol Boninsegna a qualsiasi minuto del primo o secondo tempo regolare e poi Italia-Germania terminasse puntualmente al 90′ minuto non sono pignolo, ma senza quell’ultimo sciagurato secondo di qualsiasi aspirante sostituto di Schnellinger, magari lo stesso Rummenigge, il verdugo del Cile, dell’Algeria e della Francia, o chi per esso?