Paolo Conte: “Football, football, che passione!”

Paolo Conte e il Calcio: «Io, solo davanti al pallone che ha perso il ritmo»; «Parola di musicista: la velocità oggi esaltata non è la stessa cosa»; «Il giocatore di ieri? Schiaffino»


E’ un dato che accomuna i fuoriclasse, in qualunque campo lo siano e dovunque provengano: l’incapacità di essere banali. Che cosa c’è di piu’ ordinario, in fondo, di una conversazione calcistica, per sorprendente che possa essere l’interlocutore? Passione, tifo, amarcord, modalità di fruizione: lo spartito grosso modo è scontato, tutto sta poi alla voglia di lasciarsi andare. E alla capacità di interpretazione. Ci ha messo un pò Paolo Conte, a lasciarsi andare: ma non c’erano dubbi che, una volta entrato nell’ordine d’idee, ne avrebbe cavato una performance delle sue…

Sarà la suggestione del personaggio, sarà il fascino di quella straordinaria voce narrante. Certo, ascoltandolo e, mi auguro, leggendolo, la sensazione che poco alla volta si fa strada è che le idee le abbia riordinate al pianoforte.

Che rapporto ha oggi con il calcio?
«Soltanto televisivo. Da oltre trent’anni non entro in uno stadio. Con una sola interruzione, il leggendario “Moccagatta” di Alessandria. E’ andata così. Sei anni fa avevo fatto un concerto in quella città e la nuova presidenza della squadra dei grigi mi aveva omaggiato di maglia e gagliardetto, invitando me e mia moglie per il giorno dopo a vedere una classica, Alessandria-Pro Vercelli. Il carico di fascino e di ricordi era irresistibile. Ho ritrovato colori e suoni, urla in dialetto, sospiri e invocazioni. Unica cosa terribile: quando l’Alessandria ha segnato ho capito che quel gol non l’avrei piu’ rivisto. Non c’era la moviola, eravamo nella nuda realtà di un tempo passato».

Letture calcistiche?
«Con moderazione. E cum grano salis, tenendo conto delle esagerazioni. Ma le pagelle del giorno dopo in genere le guardo, in qualche caso le confronto, per vedere se qualcuno l’ha pensata come me. E’ un riscontro alla solitudine, davanti alla tv qualche volta mi fanno compagnia gli amici, qualche altra mia moglie Egle. Ma quasi sempre la partita la guardo in solitario, come qualche anno fa la tua trasmissione notturna, dai che è piu’ semplice se ci diamo del tu, con Bearzot e Mura, vino e pallone, mancava soltanto il grande Rocco. Era una trasmissione di galantuomini, intenditori veri. Oh football, football, che passione!».

Il football moderno è molto piu’ veloce di quello del passato, dovremmo concludere che una partita di oggi ha piu’ ritmo di una partita di calcio classico. Ma non è così: velocità e ritmo sono cose diverse, parola di musicista

Galantuomini per modo di dire, uno con le credenziali in regola una frase così l’avrebbe tagliata. Ma è lecito tagliare Paolo Conte? E con lui Bearzot, Mura e l’immortale paròn? Visto che siamo sul divismo, ce n’è di piu’ tra i calciatori o tra gli artisti?
«Io trovo che il divismo e il protagonismo che mi danno fastidio appartengano al pubblico. I fuochi d’artificio, gli oggetti buttati in campo, gli striscioni offensivi, le tribune regolarmente occupate da personaggi che amano, o devono, a tutti i costi mettersi in mostra. E ancora la parzialità dei tifosi, la violenza, l’incapacità di applaudire gli avversari».

Par di capire che il tifo non sia esattamente il tuo genere.
«Difatti. Ci tengo a rispondere di no, e a sottolinearlo. Ritengo che il tifoso sia l’antitesi dell’intenditore, almeno in linea di principio e salvo eccezioni abbastanza rare. Io ho avuto, sì, una simpatia per il Milan del trio Gren, Nordahl, Liedholm, un congegno di classe e intelligenza indescrivibile. Ma tutto si è esaurito lì. Vinca il migliore: rimane questo il mio imperativo categorico di appassionato».

Dal punto di vista tecnico, che cosa ti piace e che cosa no del calcio di oggi?
«Tecnicamente è stato detto, ormai da tempo, che il football moderno è molto piu’ veloce di quello del passato. Così si spiegherebbero il tono violento degli scontri, una certa diminuzione del tasso tecnico, un furore agonistico eccessivo. Se bastassero queste giustificazioni dovremmo concludere che una partita di oggi ha piu’ ritmo di una partita di calcio classico. E non mi pare che sia così: velocità e ritmo sono cose diverse, parola di musicista».

Lo stessissimo pensiero di Bearzot, guarda caso. Sarà che nel suo piccolo, di musicista, il vecio è un grande appassionato di jazz. Cos’altro non ti piace del calcio di oggi?
«I numeri sulle maglie. Tutta questa girandola di numeri da catalogo, dettati dall’esibizione e dalla scaramanzia, tradisce in verità la caduta definitiva dei ruoli naturali, vero patrimonio di un vivaio, e toglie all’appassionato il piacere di ragionarci su».

«L’uomo che è venuto da lontano ha la genialità di uno Schiaffino » Paolo Conte, Sudamerica

Nelle tue canzoni l’unico riferimento a un calciatore è «alla genialità di uno Schiaffino». C’è un contemporaneo che potrebbe ispirartene un’altra?
«E’ vero, a Schiaffino ho reso omaggio en passant in ”Sudamericà’. Uno di oggi? C’è ancora in circolazione un giocatore italiano, sfortunato e poco valutato nonostante le grandi doti e la modernità assoluta dell’impostazione, il piu’ inglese, se così posso dire, dei giocatori italiani. Ma il nome non lo faccio perchè è oggetto di una mia creazione, non artistica ma enigmistica. Ti do invece la crittografia mnemonica, a beneficio di qualche lettore che si volesse cimentare nella risoluzione: “Film blasfemo” (10-9-2-6)».

Qualche minuto di emicrania, senza un barlume di via d’uscita. Lui che sogghigna, valli a sfruculiare gli artisti. Da avvocato prima e da musicista poi, per tacere dell’enigmista, hai mai trovato il tempo di giocare a pallone?
«Come no, ala sinistra in squadrette studentesche e rionali. Discreto nel tiro e nel cross, inesistente nelle altre specialità».

Ti capita di parlare di pallone nei tuoi tour all’estero?
«Mi capita anche di peggio. Stà a sentire. All’epoca dei miei numerosi spettacoli in Olanda mi sono dato da fare per incontrare Wilkes, grande mezzala dell’Inter, ricordato dagli intenditori piu’ profondi come uno stilista di valore superlativo. Alla fine l’ho conosciuto, simpaticissimo e appassionatissimo, e mi sono fatto dare una foto con autografo e dedica a mio zio, tifoso dell’Inter. Ho fatto inquadrare la foto e l’ho consegnata, senza spiegare di chi fosse, a mia zia Marisa. Passa un mese e da mio zio neanche un grazie. Era andata così: la foto in bianco e nero, il giocatore ritratto con la maglia del Barcellona e la firma illeggibile avevano fatto sì che mio zio stesse girando per tutti i bar di Asti per trovare qualcuno che decifrasse l’enigma».

La piu’ grande squadra che hai visto?
«L’Inghilterra del 4-0 di Torino, 16 maggio 1948. La rivelazione di un altro universo, la scoperta della classicità».

Cinque minuti di vantaggio per la formazione ideale di tutti i tempi. Se è possibile non crittografata.
«Va bene. Così, tanto per giocare, mescolando epoche e ambienti. Banks, Gentile, Maldini, Wright, Falcao, Picchi, Cislenko, Platini, Bobby Charlton, Puskas, Barnes. Ma ne potrei recitare altre cinquanta».

Perdoni, maestro, ma ripensando a quelle altre cinquanta formazioni d’autore, perchè non infilarne qualcuna tra un pezzo e l’altro? A tradimento, come piace a te, quando il clamore dell’applauso si va lentamente spegnendo?
«Oh, football, football, che passione!».

Intervista di Gigi Garanzini, La Stampa del luglio 2003