Il Perugia dei miracoli

Da un servizio del Guerin Sportivo del 1979:

Il «Grifone» che vola in vetta alla classifica non è fantacalcio: è l’intelligenza di una Società che sa autogestire il proprio futuro ed è anche l’umiltà di una città che preferisce i bilanci attivi agli exploit sportivi. Ma soprattutto sono undici uomini tranquilli che rifiutano l’autografo

I perchè del Perugia ’78/79

di Elio Domeniconi

PERUGIA – La realtà romanze­sca: vai a Perugia a scoprire co­me la città vive questo momen­to magico e cosa trovi? Un pre­sidente che insiste per fare la fusione con la Ternana. Ti rechi a Pian di Massiano a vedere l’allenamento e trovi i soliti quat­tro gatti (li ho contati: erano in quindici) come se il Perugia fos­se a metà classifica. Con il pen­siero ti trasferisci a Napoli e immagini cosa succederebbe a Fuorigrotta se la squadra di Vi­nicio fosse al posto di quella di Castagner. Ma, superato lo choc della sorpresa, devi per forza concludere che forse il Perugia è in testa alla classifica proprio perché c’è questo ambiente ideale, dove si vive tranquilli, in uno scenario da cartolina illu­strata.A Perugia scopri un mondo di­verso. Vedi un ragazzino, arriva­to da Città di Castello con il papà, che era stato compagno di scuola di Ramaccioni, con il pezzo di carta per chiedere l’au­tografo. Nappi gentilmente rifiu­ta. E il direttore sportivo mi spiega che non è boria ma umil­tà. «Molti giocatori hanno im­parato la lezione dal «maoista» Sollier il quale ammoniva i pa­dri dei ragazzini che andavano a chiedergli l’autografo: «Non ro­vinateli da piccoli». Poi paziente­mente aggiungeva che era assur­do considerare il calciatore co­me un divo del cinema, sem­mai bisognava paragonarlo a un metalmeccanico della Fiat Mirafiori. E siccome nessuno si sarebbe mai sognato di chiedere l’ autografo al signor Pautasso del­la Fiat Mirafiori…».

QUESTA E’ PERUGIA, una città tran­quilla, dove ciascuno bada ai fat­ti propri e non si cura di quelli degli altri. Corso Vannucci è sempre zeppo di studenti, ma al­meno a prima vista sembrano studenti sul serio, hanno persino i libri sotto il braccio, non chie­dono al professore il 6 politico, non danno fuoco all’università, hanno rinunciato alla contesta­zione. Eppure l’Umbria è una re­gione politicamente impegnata, possibile che il clima sia così idilliaco? L’amico Ramaccioni confida con l’aria di scherzare: «I maligni dicono che qui non ci sono delitti e rapimenti, per­ché questo è solo il pensatoio…». Può darsi che in qualche scan­tinato del centro storico, davanti ai monumenti che fanno felici solo a guardarli, qualcuno proget­ti di sparare alle gambe a Tizio o di assassinare Caio, sicuramente non se ne fa accorgere, perché a Perugia non si è mai scoperto nessun covo delle B.R. e carabinieri e poliziotti in prati­ca sono disoccupati. L’ultimo omicidio in città risale al 1975, un dramma di gelosia. Il marito tra­dito sparò alla moglie poi si sui­cidò. Il penultimo fatto di san­gue è addirittura del 1973, se ne parla ancora come il «delitto del barbone». In un gabbiotto del vecchio stadio (il romantico «Santagiuliana») fu trovato as­sassinato un povero hippy che’ aveva fama di milionario. L’Uni­versità risale al 1307, ha 20.000 iscritti e quella degli stranieri, famosissima (vi arrivano da 107 paesi) ne ha altri seimila. Di se­ra il centro storico (dove si ten­nero anche cinque conclavi, per­ché Perugia fu sede papale) è in mano agli studenti. I nigeriani adesso hanno importato la droga leggera, ma non riescono a smer­ciarla. I perugini non sognano il paradiso artificiale, si limitano a rare all’amore come tutti i gio­vani di questo mondo. A Roma si assaltano tre banche al giorno, a Perugia solo dodici in un anno, la media è questa.

IL PERUGINO resta un tifoso tranquillo anche ora che il «Gri­fone» è in testa alla classifica, perché non è campanilista. Ba­sti pensare che a Perugia si leg­ge molto (qui uno su otto com­pra il giornale, una percentuale altissima) eppure non esiste nes­sun giornale locale. I vari Riz­zoli e Mondadori non hanno nemmeno pensato di varare in Umbria un «Eco», un «Diario», un «Mattino» perché ai perugini vanno bene anche i giornali di Roma e di Firenze, non si sen­tono emarginati per questo. An­zi da quest’anno non esce più nemmeno «Fuorigioco», il gior­nale sportivo che veniva redat­to dai giocatori e dalle mogli dei giocatori. C’è chi dice che i gioca­tori si sono stufati, perché la­vorano senza guadagnare una li­ra. C’è chi spiega la chiusura del giornale con il fatto che se ne sono andati quelli che erano i pilastri della redazione (Agroppi, celebre per le sue interviste, è a Coverciano a fare il supercorso di Allodi mentre il «foto­reporter» Novellino si è trasfe­rito al Milan).
Ma c’è anche chi assicura che «Fuorigioco» ha chiuso i battenti perché i gioca­tori quest’anno preferiscono con­centrarsi sul campionato, hanno capito che possono vincere lo scudetto, non vogliono distrarsi con la letteratura. I Perugia clubs sono una cinquantina, ma tutti in regione, il tifo rimane nell’ambito locale, salvo un club in Sardegna per gli umbri immigrati nell’isola, L’anno scorso funzionava la Gri­fo Sporting Card, una carta di credito con sconti nei negozi convenzionati. Era stata lanciata per la campagna abbonamenti, ma quest’anno l’esperimento non è stato ripetuto perché i diri­genti si sono accorti che gli ab­bonamenti andavano bene lo stesso (sono 5.800).
Un centinaio di milioni esce dalla pubblicità allo stadio, serve per il bilancio di gestione. Il Perugia l’ha avuta in appalto dal Comune, ma è come se avesse vinto una gara, perché deve dare all’erario 52 milioni a campionato. Solo che il Comu­ne investe questi milioni che ri­ceve dal Perugia per aiutare il Perugia. Visto che il vecchio sta­dio nel cuore della città serve per gli altri sport, gli ammini­stratori hanno costruito un bel campo di allenamento a Pian di Massiano, nell’antistadio. Anche il parterre ha il prezzo dei popo­lari, 2.200 lire, a Perugia il cal­cio resta uno spettacolo popolare, al bilancio ci pensa Ramaccioni con i suoi colpi da maestro.

OGNI ANNO il direttore sportivo riceve offerte da favola ma le respinge perché sa che in altre città non troverebbe un ambien­te così ideale, e un presidente disposto a dargli carta bianca. Da cinque anni l’organigramma del Perugia è sempre lo stesso: Franco D’Attoma presidente, Sil­vano Ramaccioni general mana­ger, Ilario Castagner allenatore e Giampiero Molinari, preparato­re atletico. D’Attoma è dottore in agraria ma fa l’industriale, Ra­maccioni si è messo a fare il manager quando si è accorto che non poteva fare il terzino (lo chiamavano «Sbrana» perché sbranava gli avversari), Casta­gner ha il diploma di geometra ma ha preferito sfruttare quello dì allenatore. Molinari è addirit­tura laureato in legge e fa l’av­vocato (civilista) sul serio. Al mattino in tribunale, al pomeriggio allo stadio (e mi confida che si diverte più allo stadio che in tribunale).
Proprio perché D’Attoma ragio­na più da industriale che da tifoso, vorrebbe fare una gros­sa squadra chiamata Umbria: «I dirigenti della Ternana – mi dice – sarebbero d’accordo, sono i tifosi a non voler­la. Ma a poco a poco gli stessi tifosi si renderanno conto che solo unendo le forze potremo te­ner testa agli squadroni, punta­re allo scudetto. Perugia ha 136 mila abitanti, in tutta l’Umbria siamo 700.000 come se la nostra regione fosse un quartiere di Ro­ma, diciamo l’EUR. La Fiat è diventata holding, la Montedison è nata dalla fusione di due co­lossi della chimica, a Milano han­no unito le forze persino Motta e Alemagna, i due simboli del pa­nettone; per restare nell’ambito dello sport non c’è stata la fu­sione tra il «Corriere dello sport» e «Stadio» nella stessa area dì diffusione? Secondo me una fusione tra Perugia e Ter­nana sarebbe utile a tutti. Le multinazionali non sono forse nate con l’intento di unire le forze per produrre meglio e al minor costo?».

NON CI SAREBBERO nemmeno pro­blemi per lo stadio, quello di Pian di Massiano è smontabile, potrebbe trasferirsi nella pianu­ra del Tevere, nel pressi di Foligno, punto d’incontro ideale per l’abbraccio calcistico tra perugi­ni e ternani. A costruire lo stadio di Pian di Massiano è stato l’ex presidente Spartaco Ghini, il marxista che premiava il centravanti Sollier regalandogli per ogni gol un paio di abbonamen­ti al «Quotidiano dei lavoratori». Ora Ghini ha rinunciato ad ogni forma di opposizione, forse ha diminuito anche il suo impegno politico, visto che si è unito agli sceicchi, il tuo traguardo non è più Mosca bensì il Kuwait. Ogni domenica telefona dall’Arabia Saudita per sapere cosa ha fatto il Perugia. Suo figlio Francesco è emigrato addirittura negli Sta­ti Uniti, studia in un’università della California e gioca, centro­campista, in una squadra di se­rie B: «Siamo così fortunati – dice Ramaccioni – che riuscire­mo a vendere a peso d’oro pure lui, magari al Cosmos!».

IL PERUGIA in testa alla clas­sifica (seppure a pari punti col Milan) ha scatenato quotidiani e rotocalchi. Tutti vengono a fare inchieste. «A Perugia il calcio non è droga», ha scritto Ulderico Munzi su «Il Corriere della sera». Va ricordato che Perugia è la città di Aldo Capitini, il filoso­fo della non violenza. E il sena­tore comunista Raffaele Rossi gli ha detto che la «peruginità» è «anche un modo di vedere e considerare le cose con sguardo distaccato e accenti smorzati». E Pietro Mancini su «Il Giorno»: «Le prodezze del Perugia hanno una ragione precisa: non è un miracolo, solo buona amministrazio­ne». Semmai stupisce che in una città rossa (su 30 consiglieri co­munali 14 sono comunisti e 4 socialisti) la squadra di calcio sia in mano ai democristiani (D’Attoma è anche il presidente degli industriali umbri).
Dalla Re­gione il Perugia riceve gli auguri di Natale, al Comune paga l’af­fitto dello stadio, l’appalto della pubblicità e lascia il 6% degli in­cassi: «E’ vero, allo sport pro­fessionistico, dopo aver costrui­to lo stadio all’indomani della promozione in A, non diamo nul­la. Dal primato del Perugia la città trae benefici, dal punto di vista culturale, turistico, impren­ditoriale. Prima la nostra città era nota per essere vicina ad Assisi: oggi succede il contrario».
D’Attoma mi ha pure detto che prima, quando girava l’Italia per lavoro (è titolare con il cognato dell’Ellesse, celebre ditta di ab­bigliamento sportivo) molti pen­savano che Perugia fosse in To­scana, oppure nel Lazio, adesso il boom del calcio ha fatto sco­prirne pure l’Umbria. Gianni Bre­ra ha commentato: «Quanto pos­sa tenere il Perugia non è dato sapere: e fanno benissimo Castagner e D’Attoma a parlare di salvezza non ancora raggiunta. Però il loro calcio è onestamen­te buono e razionale: e se trova sfoghi conclusivi all’altezza può davero strabiliare il mondo».

LA MAGA GIUSEPPINA, che predice il futuro in via Pallotta, vicino alla nuova sede del Pe­rugia (D’Attoma l’ha voluta sotto il suo ufficio) giura sullo scu­detto, perché il Perugia ha i co­lori bianco e rossi, che sono quelli della nazione del nuovo Papa, la Polonia. Ma quando ho chiesto seriamente a D’Attoma se avevano parlato del premio scudetto, il presidente mi ha ri­sposto se stavo scherzando: «Vendere e vincere: il segreto del Perugia», ha raccontato Gio­vanni Arpino su «La Stampa» e ha spiegato: «Il Perugia ceden­do Novellino fa un affare che il signor Farina di Vicenza non avrebbe certo sottoscritto, a tut­to suo danno. Così Castagner impostando intelaiature più robuste e duttili, sì avvia al ruolo di autentico “outsider” della stagione. Se vincerà Io scu­detto – ipotesi lontanissima ma non impossibile – pioveranno elogi su di lui. Noi, fin da oggi, gli riconosciamo i meriti, frutto anche di una città civile, di una società umana che vive senza gli stress della metropoli».
A Perugia ci sono due TV pri­vate «Teleumbria» e «Teleaia», ma devono limitarsi a trasmet­tere le partite del Perugia in tra­sferta, a Pian di Massiano non possono filmare, perché magari quando fa freddo qualcuno po­trebbe restarsene a casa per poi vedersi la partita in differita e il Perugia non può perdere tifosi, visto che ne ha così pochi. Per la vittoria di Bergamo i gio­catori hanno avuto un premio speciale dal pittore Alberto Bur­ri, che è diventato un acceso tifoso, segue la squadra anche in trasferta, vede nel calcio un’ espressione di arte. Ha dipinto il Grifone rosso, simbolo della città e della squadra e ne ha regalato la litografia a ogni gio­catore. Gaio Fratini ha scritto su «La Repubblica»: «Dico a Burri che un pittore al seguito del Perugia porta bene e anni fa ci fu la Ternana di Viciani a salire in A con Corrado Cagli sempre in tribuna e poi negli spogliatoi a fine partita». Eppu­re, fare calcio in Umbria non è facile, perché in questa regio­ne solo un umbro su 5000 diven­ta calciatore professionista; nel Perugia attuale c’è un solo um­bro, Goretti, che fa la riserva. «Perugia da scudetto», è stato il titolo del «Messaggero» l’al­tra settimana. E la «Gazzetta dello sport» ha avvertito a ca­ratteri cubitali in prima pagina: «Attenti al Perugia». Mario Gismondi ha scritto su «Olimpi­co»: «Sembra un secolo. Era il Genoa che aveva indotto Gian­ni Brera e i suoi imitatori a so­gnare scudetti riportati in Ligu­ria dopo decenni. Lo stesso Gian­ni Brera e gli stessi imitatori che quest’anno non si accorgono del Perugia capolista vero». Forse è sintomatico che l’«escalation» del Perugia nel calcio sia iniziata proprio quando sono scomparsi dalla scena i grandi nomi, i Buitoni e gli Spagnoli. Oggi a fianco di D’Attoma ci so­no i costruttori edili Aldo Barbetti e Aldo Piccini, Fernando Ciai (abbigliamento), Aldo Valigi (mangimi), Trento Morganti (pri­mario all’ospedale), Fausto Pascoletti che fa cucine e morta­delle. Non sono mecenati ma in­dustriali. E si vantano di condur­re il Perugia come se fosse un’ azienda. Anche la «Domenica del Corriere» si è meravigliata per i successi a catena «di questa società sportiva tutta artigiana­le». E Vittorio Lojacono ha scrit­to nella sua brillante inchiesta: «Intanto ha tutto tranne i di­fetti di qualsiasi società calci­stica nostrana. Chiude in attivo i bilanci mentre le altre anna­spano nei miliardi di debiti. Non ha divi, non ha supertifosi che disturbino, non ha da difendere i suoi gioielli-capitale dalle ten­tazioni delle grandi città. E nem­meno ha dirigenti che siano lì perché la notorietà sportiva apre le porte alla politica e ai fidi bancari. Roba da fantacalcio».