La Sampdoria di Mantovani

Mantovani costruì una squadra bella e concreta, degna rappresentante di un altro modo di vivere il pallone, con tanti campioni (Mancini, Vialli, Vierchowod, Pagliuca, Cerezo, Lombardo) e altri giocatori che sarebbe riduttivo definire comprimari.


«L’unica cosa di cui non sono pentito, nella mia vita, è di essere diventato presidente della Sampdoria»

Paolo Mantovani, romano, tifoso della Lazio, diventò genovese dal 1955 quando si trasferì dagli uffici capitolini della Cameli Petroli alla sede genovese. L’amore per la Sampdoria, quella squadra che sarà capace di portare allo scudetto a dispetto di tutti, non sboccia spontaneo. Arriva, paradossalmente, da una grossa delusione nei confronti del Genoa. Il petroliere romano, che aveva stabilito di vivere a Genova dopo avere conosciuto la città da bambino, ricoverato al Gaslini per una appendicectomia, si avvicinò al calcio genovese scegliendo le maglie rossoblù: sottoscrisse un abbonamento biennale, chiesto ai tifosi dall’allora presidente del Genoa Giacomo Berrino per non cedere Meroni. A fine stagione, però, il massimo dirigente si rimangiò la parola e questo “tradimento” portò Mantovani a passare sull’altra sponda.

I suoi albori nella società blucerchiata di via Venti Settembre furono come addetto stampa sotto la presidenza dell’armatore Glauco Lolli Ghetti. Narra la leggenda che classificasse in un archivio tutti i giornalisti, stilando giudizi e pagelle. E narra anche che presto lasciò il calcio perchè non condivideva il modo di gestire le società, con troppi sprechi e troppe leggerezze: una delle sue ultime idee per cui si stava attualmente battendo era quella di trasformare le società per azioni in società a scopo di lucro, “così si vede davvero chi vale come amministratore”.

In una lunga pausa di riflessione, prima di approdare sul ponte di comando della Sampdoria il 6 giugno del 1979, con la società nell’anonimato della serie B, compie la sua grande escalation nel mondo del greggio. Broker abilissimo, fa affari d’oro nel periodo della crisi petrolifera. Lascia la Cameli e assieme a due soci, Lorenzo Noli e Mario Contini, fonda la Pontoil, portando l’utile da 19 milioni a 12 miliardi, ed entra successivamente nella Nai (Navigazione Alta Italia). E’ in coincidenza con questo passaggio che assume la presidenza (da monarca assoluto, padre-padrone nella vera accezione) della Sampdoria e comincia la rifondazione, quella che porterà a Genova lo scudetto il 19 maggio del 1991 e un anno e un giorno dopo, a Wembley, il sogno infranto di essere campione continentale.

Brady e Francis: la prima coppia dei sogni della Sampdoria di Mantovani

I primi due anni sono dedicati a forgiare la sua creatura sportiva, mentre prosegue intensamente l’attività di petroliere, che in questo periodo crea non pochi problemi. Nell’aprile dell’81, infatti, inizia una spinosa vicenda giudiziaria con accuse alla Pontoil di evasione fiscale, truffa, costituzione di attività finanziarie all’estero e successivamente anche contrabbando di petrolio. Nonostante i suoi due soci si rifugino all’estero, Mantovani resta in Italia e decide di seguire la Sampdoria anche nelle trasferte. E in una di queste, a Cagliari per la coppa Italia, viene colpito da un infarto diaframmatico acuto. Salvato per miracolo, decide di passare la convalescenza a Ginevra, dove vivono la moglie e una dei quattro figli, Ludovica, la più giovane.

Nel marzo dell’82 sfida la sorte non accettando una diagnosi dei medici italiani che gli concedono pochi mesi di vita. Vola a Phoenix dove subisce un delicato intervento al cuore, con l’applicazione di quattro by-pass. Pochi mesi più tardi la squadra guidata da Renzo Ulivieri conquista la promozione in serie A e parte il “progetto scudetto”. Per l’esordio arrivano un diciottenne di belle speranze, tale Mancini, l’irlandese Brady e soprattutto l’inglese Trevor Francis, per cui Mantovani stravedeva. La partenza è sparata, l’arrivo porta un settimo posto.

Un altro tassello per il campionato successivo è l’acquisto di Vierchowod, mentre a fine novembre, siamo nell’83, il presidente torna a Genova dall’esilio volontario in Svizzera, in attesa del processo di appello per lo scandalo petroli: in prima istanza era stato condannato a due anni e sei mesi. In campionato non c’è il decollo atteso, dal tribunale arriva l’assoluzione con formula piena. Da questo momento Mantovani lascia l’attività petrolifera diventando a tutti gli effetti un pensionato e presidente a tempo pieno della Samp. Ecco l’ingaggio di Souness e l’investimento sul cremonese Vialli, e il primo trofeo della gestione, la Coppa Italia con Bersellini.

Vujadin Boskov: «Nel calcio c’è una legge: giocatori vincono, allenatori perdono»

Ma la vera svolta si ha un anno dopo, con l’ingaggio di uno zingaro della panchina, Vujadin Boskov, che però fallisce l’ingresso in Europa allo spareggio contro il Milan. Ma il ciclo vincente è iniziato: l’anno successivo Coppa Italia, sconfitta nella finale in Coppa delle Coppe contro il Barcellona (con un’altra vicissitudine personale: l’allontanamento da Genova, a causa di un vociferato possibile rapimento), prima di vincere a Goteborg la prima Coppa europea, quella delle Coppe, contro l’Anderlecht.

I tempi sono maturi e gli orizzonti allargati: giustamente Mantovani sottolinea che «i nostri nemici non stanno a Genova: stanno a Firenze, a Milano, a Torino. Sono quelli che hanno paura che noi poi si finisca per scalzarli in classifica. Perché sanno che li scalzeremo». E la premiata ditta arriva allo scudetto programmato, basandosi sui gemelli Vialli e Mancini. Mantovani, che per questioni di salute ha abbandonato completamente il tavolo verde e il poker, smettendo anche di fumare, si gode completamente il successo, compiacendosi di come la Sampdoria, senza aiuti esterni, senza proteste, senza piagnistei e senza una buona stampa nazionale sia riuscita ad essere in lizza per la finale di Coppa dei Campioni.

E’ una squadra irripetibile. In campo gioca in modo tradizionale (all’italiana) con marcature a uomo micidiali. Il potente Vierchowod, detto Pietro lo Zar al centro della difesa, assieme a Lanna. Poi Mannini e Katanec. Lombardo, pelato, tornante, detto Braccio di Ferro. L’utilissimo Pari, l’ elegante Dossena. E avanti con contropiedi che esaltano il genio di Cerezo, la classe di Mancini e l’ eccezionale fiuto del gol di Vialli. Ma quella Samp è soprattutto una squadra di amici che vive un clima goliardico. Gruppo allegro (ma affiatato) anche fuori, cene in pizzeria e nei ristoranti vista mare. Poi scherzi, beffe, qualche burla. C’era chi diceva: il ricchissimo presidente Mantovani li ha viziati, questi non vinceranno mai nulla. Li chiamavano anche: «Biancaneve e i sette nani». Però è stato anche detto: gente meravigliosa che si godeva la vita senza ubriacarsi di calcio.

L’astuto Boskov dirà: «Nella mia vita ho vinto, ma lo scudetto con la Samp è il più bello e più dolce. Perché l’ho conquistato nel campionato più difficile ed equilibrato del mondo e perché era il primo per una società che doveva ancora compiere mezzo secolo di vita. E’ un po’ come quando ti nasce il primo figlio. Gioia e allegria sono maggiori». Quando allenava la Samp, c’era chi diceva: la formazione la decidono Vialli e Mancini. Risposta di Boskov: «Questi discorsi non mi facevano né caldo né freddo. L’unica cosa che mi dà fastidio è la sconfitta».

La Sampdoria da scudetto

L’appuntamento sul tetto d’ Europa è a Wembley, contro il Barcellona. Mantovani, il giorno prima dell’incontro, commette forse l’unico grande errore della sua vita presidenziale: comunica a Vialli che il suo futuro sarà alla Juventus. Il centravanti sbaglia due gol e il sogno blucerchiato svanisce. Vialli passa alla corte di Boniperti e Mantovani decide di puntare sui giovani.Il nuovo corso inizia male: i risultati di Eriksson sono deludenti e arriva anche un un secondo, grave infarto, che tuttavia riesce a superare. La stagione calcistica si chiude con l’Europa fallita di un solo punto e la voglia di cambiare tutto, nonostante i primi sintomi di un nuovo male. Ecco i colpi da maestro con l’arrivo di Platt, di Gullit e le prospettive scudetto rinate. Non sarebbe riuscito mai a vedere la fine della nuova avventura: il 14 ottobre 1993 si spegne a Genova all’età di 63 anni. E con lui morì definitivamente anche la Sampdoria che si era fatta amare da tutta Italia.

Il lascito di Mantovani a mezza Genova calcistica e’ difficile riassumere qui: di certo il diritto di esistere e vincere al pari dell’ altra meta’ . Ma qualcosa finisce pure nelle tasche di tutto il calcio italiano: piccoli episodi di grande rilevanza: la strigliata al suo tecnico Boskov per le allusioni gratuite sul giocatore genoano Perdomo, intese come focolaio di violenza, acciarino per scontri, scintilla per scemi. Poi, il rispetto per il pubblico che paga (“Se la Samp gioca male abbasso il prezzo dei biglietti e rimborso i tifosi“). E il disprezzo per quello che non usa rispetto: quando gli ultra’ blucerchiati entrano in campo per festeggiare un successo, dichiara disgustato: “L’invasione e’ stata una vergogna, solo le bestie si nutrono d’ erba“.

Anche per questa sincerita’ esasperata, il pubblico della Samp se ne era innamorato. Vademecum di comportamento che molti colleghi presidenti dovrebbero mandare a mente. In un calcio fiera della vanita’ d’ immagine, Mantovani era lo scostante intelligente, un uomo soddisfatto perche’ bastava a se stesso. Infastidito dalla sola idea di vendere il successo come un prodotto. Attento piuttosto a non venir meno ai suoi principi, a tirar dritto senza curarsi troppo del consenso. E capace di riservarsi il piacere piu’ sottile, snobistico e intenso: quello dei grandi uomini, quello di non piacere a tutti.