SERIE A 1975/76: TORINO

27 anni dopo Superga la ditta Pianelli-Radice colora di tricolore i granata. Rivelazione-Cesena, retrocede il Cagliari.


LA SINTESI DEL CAMPIONATO

Partono bene la Juventus di Parola e il Napoli di Vinicio, che si dividono la vetta nelle prime giornate, mentre il Torino di Radice segue da vicino. I granata escono allo scoperto alla decima giornata, superando il Napoli e portandosi a un punto dai bianconeri. Comincia un duello appassionante. La Juventus porta a tre i punti di distacco alla fine del girone d’andata, quando è Campione d’inverno. I punti diventano quattro e poi cinque, con la sconfitta dei granata ad opera dell’Inter a San Siro. Arriva un trittico di giornate-chiave. La svolta la provoca il lanciatissimo Cesena di Marchioro, che riapre i giochi sconfiggendo la Signora alla trentaduesima giornata alla “Fiorita”. La domenica dopo il Toro si aggiudica il confronto diretto, poi batte il Milan mentre i bianconeri perdono in casa dell’Inter ed è sorpasso. Alla fine gli uomini di Radice vincono con appena due punti di distacco, mentre in coda ai derelitti Como e Cagliari, da tempo staccati, si aggiunge l’Ascoli, superato dalla Lazio in extremis solo per la differenza reti.

TORO RADICE-DIPENDENTE

I tifosi del Torino aspettavano questo momento da 27 anni, dall’ultimo scudetto del Grande Torino perito a Superga. Il presidente Orfeo Pianelli, industriale self made man, ha messo a segno il gran colpo ingaggiando Gigi Radice, allenatore vincente. Colui che ha avviato il miracolo Cesena, portandolo alla Serie A, poi è stato incompreso a Firenze e infine a Cagliari ha centrato una salvezza dal sapore dell’impossibile.
Allenatore di forte personalità, crede nel calcio offensivo più che in quello classico di rimessa e si comporta di conseguenza, impostando la squadra su un formidabile trio di fonti di gioco.

L’equilibratore Eraldo Pecci, regista ventenne che il Bologna ha ceduto per soli 800 milioni credendolo a torto soggetto a ernia del disco; il fantasista Claudio Sala, trasformato da brillante ma discontinuo trequartista in tornante di micidiale efficacia, dal cross pennellato sempre pronto; e Zaccarelli, interno completo abile in interdizione e nei rilanci. Ma un grande edificio si costruisce sempre dalle fondamenta. In difesa, davanti a Castellini, portiere detto “il Giaguaro” per il gran colpo di reni, avrebbe voluto schierare Santin, poi ha scoperto Caporale, scarto del Bologna, l’uomo giusto per spazzare l’area con concretezza. Così Santin diventa il “mastino” di destra in luogo del più fluidificante Gorin; a sinistra, Salvadori, mediano ambidestro che trova una nuova dimensione tattica. Al centro, il pilone centrale Mozzini, fortissimo di testa. Il disegno del centrocampo è completato da un’altra scoperta, Patrizio Sala, nemmeno parente dell’omonima ala, acquistato dal Monza come giovane di prospettiva e pronto invece a rivelarsi mediano destro di grande continuità. In avanti, i “gemelli del gol”, Graziani, mobilissimo panzer d’area, e Pulici, felino predatore di gol di testa e in acrobazia. Si intendono a meraviglia, offrendo alla squadra un terminale micidiale.

LA CREATURA DI MANUZZI

Il Cesena ottiene il suo miglior risultato della storia con il sesto posto finale, qualificandosi per la prima volta alle coppe europee.

Due soprattutto gli artefici del fenomeno Cesena, la squadra che si qualifica per la prima volta per l’Europa (Coppa Uefa) con uno storico sesto posto finale. Il presidente Dino Manuzzi, “l’uomo dei miracoli”, industriale della frutta col bernoccolo per il mercato del calcio, abilissimo in estate a ingaggiare pezzi da novanta considerati al capolinea, a partire dai “grandi vecchi”: dopo Pierluigi Cera, giubilato dal Cagliari, Frustalupi, gran costruttore di gioco scaricato dalla Lazio. Il secondo è l’allenatore Pippo Marchioro. Quarant’anni, un passato di centrocampista nato nelle giovanili del Milan e poi speso in provincia, con picchi in B a Varese e Catanzaro, salito agli onori della cronaca a Como per il ricorso a sistemi come il training autogeno a base di musica classica e ipnosi. Allenatore modernista, ama la zona ma schiera Cera libero proponendo sotto la regia di Frustalupi un gioco “totale” cui manca un bomber da 15 gol per puntare ai vertici.

FINE DEL MIRACOLO

Sa di malinconia la chiusura ufficiale del miracolo Cagliari, con la retrocessione in Serie B. Lo scudetto del 1970 sembra lontano anni luce ed è emblematico che la fine del grande Cagliari coincida con quella calcistica del suo principale artefice. Gigi Riva subisce l’estremo infortunio di una carriera grande e terribile: l’1 febbraio 1976, a San Siro, al 50′, correndo spalla a spalla con Bet, il cannoniere di Leggiuno all’improvviso si piega, poi un po’ alla volta, come al rallentatore, cade a terra, accasciandosi e tenendosi con la mano la coscia destra, con una espressione di dolore a stropicciargli il volto. I medici diagnosticheranno il distacco del tendine dell’adduttore della gamba destra. Nonostante i reiterati tentativi di recupero, Riva dopo più di un anno dirà ufficialmente addio al calcio. Il Cagliari a fine stagione precipita in Serie B. Il boom dello scudetto è definitivamente tra i ricordi di un’intera regione.

L’EMIGRANTE

Per Giorgio Chinaglia, bomber della Lazio dello scudetto, dopo il pasticciaccio brutto del Mondiale 1974 (gestaccio a Valcareggi in Italia-Haiti e insubordinazione) le cose non sono più state le stesse. Fischiato ovunque, insultato come traditore della patria, ha rinsaldato i legami con gli Stati Uniti, Paese di origine della moglie, Connie Eruzione. Nell’estate del 1975 si è ritirato a Englewood e solo una lunga telefonata di Tom Maestrelli, l’allenatore gravemente ammalato, e la rassicurazione di poter avere a fine stagione il transfer per i Cosmos di New York, lo hanno convinto a tornare. A primavera, i Cosmos offrono alla Lazio 450.000 dollari per il cannoniere in crisi e il presidente Lenzini, dopo una estenuante trattativa, cede. Il 25 aprile 1976, nel match casalingo col Torino, Chinaglia dà l’addio al pubblico con un discutibile saluto romano. La sera si imbarca per gli States. La Lazio comunica che denuncerà alla Lega la “fuga”, così cautelandosi contro l’accusa di non aver schierato nel finale la miglior formazione. Non se ne farà nulla: alla fine, la squadra si salverà per il rotto della cuffia e Chinaglia sarà autorizzato a giocare con Pelé.

LA RIVELAZIONE SCIREA

Nell’Atalanta, in B, si era rivelato interno completo: deciso nelle chiusure, elegante nei rilanci. Il passaggio di categoria, però, richiede spesso di arretrare il raggio d’azione. Così ecco la geniale intuizione: cambiargli ruolo, facendone un libero di costruzione. L’operazione riesce a meraviglia. Chiamato a raccogliere la pesante eredità di Salvadore, il giovane Gaetano Scirea si dimostra all’altezza, pur scontando qualche limite nel gioco aereo. La sua seconda stagione lo vede ormai padrone della situazione, al punto da proporsi per la Nazionale, in cui esordisce il 30 dicembre 1975 contro la Grecia: è l’investitura a successore di un altro grande, Giacinto Facchetti. Giocatore di esemplare correttezza e straordinario senso tattico, Scirea conoscerà una splendida carriera ricca di successi nella Juve e in Nazionale (col titolo di Campione del Mondo 1982). Perirà non appena avviata la carriera di allenatore al servizio della “sua” Juventus.

PULICI… E TRE!

Juventus – Torino 1-2 (0-2 per decisione del G.S.), Pulici sfugge al controllo di Cuccureddu

Terzo successo in quattro stagioni per Paolino Pulici, soprannominato “Puliciclone” per sottolinearne l’impetuosa irruenza in area di rigore. Fondamentale l’intesa col “gemello” Ciccio Graziani, fondamentale soprattutto la presenza di Claudio Sala, specialista nello spingersi sul fondo per scucchiaiare cross perfetti a centro area, dove Pulici è una specie di demonio nel trasformarli in gol con conclusioni in acrobazia, di testa o di piede. Unico cruccio della sua carriera, che chiuderà con 401 partite e 142 gol in A (con presenze anche in Fiorentina e Udinese, al tramonto), il rapporto poco felice con la Nazionale: appena 5 reti in 19 apparizioni, causa una sorta di complesso che ne blocca gli esiti in maglia azzurra. Le sue poderose conclusioni sono decisive per il primo scudetto granata dopo la tragedia di Superga.


CLASSIFICA

SquadraPtGVNPGfGs
TORINO453018934922
JUVENTUS433018754626
MILAN383015874228
INTER373014973628
NAPOLI3630131074027
CESENA323091473935
BOLOGNA323091473232
PERUGIA3130101193134
FIORENTINA273099123939
ROMA2530613112531
VERONA243088143546
SAMPDORIA243088142132
LAZIO2330611133540
ASCOLI2330415111934
COMO2130511142836
CAGLIARI193059162552

VERDETTI

Campione d’ItaliaTORINO
Vincitrice Coppa ItaliaNAPOLI
Retrocesse in serie BASCOLI, COMO e CAGLIARI
Qualificate in Coppa dei CampioniTORINO
Qualificate in Coppa delle CoppeNAPOLI
Qualificate in Coppa UEFAJUVENTUS, MILAN, INTER e CESENA

MARCATORI

21 Pulici P. (Torino)
15 Bettega (Juventus), Graziani F. (Torino)
14 Savoldi Giu. (Napoli)
13 Calloni (Milan)
10 Boninsegna (Inter), Desolati (Fiorentina)
9 Massa (Napoli)
8 Chinaglia (Lazio), Chiodi (Bologna), Clerici (Bologna), Saltutti (Sampdoria), Urban (Cesena)
7 Bresciani (Fiorentina), Chiarugi (Milan), Damiani (Juventus), Frustalupi (Cesena), Garlaschelli (Lazio), Mascetti (Verona)