Sprofondo Bologna 1983

La stagione che doveva sancire l’immediato ritorno in A si trasformò in un calvario che condusse i rossoblù per la prima volta in serie C.

L’annata 1982/83 verrà ricordata dai tifosi rossoblù come una delle più tristi della loro storia. Dopo la prima retrocessione in B, datata 16 maggio ’82, il presidente Tommaso Fabbretti scelse Giacomo Bulgarelli come general manager e Carlo Montanari nel ruolo di direttore sportivo. In panchina, incassati i rifiuti di Gigi Radice e Nedo Sonetti, venne ingaggiato Alfredo Magni, allenatore distintosi in B alla guida del Monza. La squadra felsinea si radunò il 21 luglio con l’Italia calcistica ancora in piena euforia post mondiale spagnolo. Ceduto alla Sampdoria il giovanissimo gioiello Roberto Mancini, lasciarono la squadra anche Chiodi, Mozzini ed il tedesco Neumann (trasferitosi senza rimpianti in Svizzera). Tra i volti nuovi spiccò l’attaccante Gianluca “Gil” De Ponti. Alcuni giocatori esperti, rimasti nonostante la retrocessione, costituirono la spina dorsale della rosa: il portiere Zinetti, il difensore Bachlechner ed i centrocampisti Colomba (capitano) e Paris. Nitida fu l’impressione di una generale inadeguatezza dei rossoblù a puntare ad un campionato di vertice, in una stagione che si preannunciava oltremodo competitiva data la presenza del Milan (deciso a ritornare subito in A) e della Lazio, reduce da due deludenti annate tra i cadetti.

La contestazione dei tifosi felsinei non risparmiò persino Bulgarelli. Il dato degli abbonati fu impietoso: le tessere vendute in abbonamento furono appena 2.500. Eppure, l’avvio stagionale era stato confortante. In Coppa Italia, il Bologna superò la prima fase mettendo in riga i vicecampioni d’Italia in carica della Fiorentina dopo aver pareggiato 2-2 nello scontro diretto decisivo. Migliore premessa non si poteva chiedere alla nuova annata. In campionato, però, lo spartito cambiò repentinamente, passando presto alla rapsodia. E furono subito dolori. Dopo uno scialbo 0-0 all’esordio, in quel di Varese, due sconfitte casalinghe consecutive contro Atalanta (gol di Mutti) e Palermo (1-3) ed altrettanti pareggi fuori casa, al cospetto di Foggia e Perugia, complicarono i piani di Magni. Dal mercato di ottobre arrivarono a rinforzare l’attacco rossoblù Gibellini e Russo oltre al libero Turone (ex Milan e Roma) ed al centrocampista Guidolin. Sul versante cessioni, Pileggi, Fiorini, Brondi, Sella e Fabio Poli lasciarono il Bologna. Battuta la Lazio al Dall’Ara (2-1), il Bologna finì asfaltato a San Siro (5-0) dal Milan di Ilario Castagner, dominatore di quel campionato di B. Logozzo, Frappampina, Cilona e Bachlechner poco o nulla poterono fare contro il rullo compressore rossonero. Quel giorno di ottobre, a San Siro, dalle parti di Zinetti si registrò una vera e propria grandinata di reti.

Magni ebbe breve durata in panchina, finendo esonerato dopo il ko di Como (7 novembre ’82). Lo score dei felsinei era da retrocessione: 7 punti in 9 partite. Diventata subito utopia la serie A, si avvicinava a grandi falcate lo spettro terribile della C. La panchina venne affidata a Paolo Carosi. Nel dicembre ’82, un’inchiesta giudiziaria coinvolse il presidente per vicende legate alla gestione delle sue società di assicurazione. La confusione in società divenne una costante e a pagarne le conseguenze fu la squadra. Fabbretti si dimise nel febbraio ’83. Enzo Mariniello, uomo d’affari cesenate, acquisì i pieni poteri ma fu subito contestato dai giocatori. Saltata anche la panchina di Carosi (13 punti in 14 partite), andato a vuoto l’ennesimo contatto con Gigi Radice, il Bologna affidò a Cesarino Cervellati l’improba impresa salvezza. In pieno marasma, venne costituita anche l’associazione “Forza Bologna ‘83”, promossa da Dino Sarti e Raffaele Pisu, con l’obiettivo di arrivare ad un azionariato popolare. Fioccarono anche delle denunce per falso in bilancio nei confronti del Cda societario.

Una vittoria interna contro il Perugia ed il pareggio all’Olimpico contro la Lazio segnarono il buon avvio con il nuovo tecnico in panchina. Ma si trattò dell’ennesima illusione stagionale, certificata da tre battute d’arresto: contro Milan e Como in casa oltre alla sconfitta di Pistoia. Al termine dell’ennesima battuta d’arresto contro la Sambenedettese, negli spogliatoi si registrò persino una lite sui premi salvezza fra Mariniello e i giocatori. La barca stava ormai per affondare. Il colpo di grazia arrivò dopo le sconfitte contro Cavese e Catania. Le possibilità di salvezza si ridussero quasi a zero. Le vittorie a spese di Lecce e Reggiana mantennero accesa una flebile speranza, spenta dal cappotto subito a Cremona (0-4) che riportò i felsinei in pieno dramma.

Il 12 giugno ’83, davanti a poco più di 5 mila spettatori, con le tribune dello stadio desolatamente vuote, il Bologna vide da vicino il baratro della C. Quel giorno si registrò anche una sassaiola contro i giocatori, tra l’indifferenza generale. Ormai solo la matematica concedeva speranze alla squadra di Cervellati. Per salvarsi occorreva rifilare otto gol al Monza e sperare che la Pistoiese ne subisse almeno altrettanti dal già promosso Milan. Roba da deprimere anche il più ottimista dei tifosi. Giocatori e dirigenti ricevettero insulti ed improperi. Già all’annuncio della formazione partirono bordate di fischi verso tutti ed all’ingresso in campo piovve dagli spalti anche qualche arancia. In tribuna comparve un cartello: «Pagherete caro e… tutti». In un clima da cupa rassegnazione, in campo andarono ventidue giocatori senza stimoli e quasi per “onor di firma”. Contro i brianzoli finì in parità (2-2), risultato che sancì la retrocessione in C del Bologna, terzultimo in classifica. Cervellati se ne andò sbattendo la porta. “Me ne vado, non voglio avere nulla a che fare con questa dirigenza”, disse il tecnico. Deserta rimase la sede societaria. Il presidente, originario di Verona, volò in Kenya, Bulgarelli, in procinto di lasciare il ruolo di general manager, attese vanamente comunicazioni. Qualcuno parlò di “tragedia comica”. Per tanti bolognesi, l’ignominiosa doppia retrocessione consecutiva venne vissuta come un vero oltraggio, naturale sbocco dopo anni di pressapochismi ed improvvisazioni. La rifondazione fu totale. Quasi tutti i giocatori chiesero la cessione, non volendo scendere in serie C. La necessità di vendere per fare soldi fu dettata anche dall’obbligo di presentarsi alla sezione fallimentare del tribunale bolognese con molti soldi da offrire all’ex presidente Conti che aveva presentato istanza di fallimento della società, esibendo un credito di 300 milioni di lire. Furono giorni molto convulsi per una delle società più gloriose del calcio italiano.

Evitato il fallimento, totalmente ricostruita la squadra, la serie B fu riconquistata un anno dopo con Giancarlo Cadè in panchina e Giuseppe Brizzi ai vertici societari. Il primo segnale di risveglio giunse nell’agosto ’83 durante la prima fase di Coppa Italia. Dopo il pareggio esterno contro l’Udinese di Zico, il Bologna superò in casa il Napoli grazie ad un gol di Frutti, davanti ad uno stadio tornato stracolmo di tifosi. Fu l’inizio della riscossa rossoblù.

Testo di Sergio Taccone, autore del libro “Racconti Rossoneri, storie di puro milanismo” (Urbone Publishing)