Roberto Anzolin: lo Jascin di Valdagno
«Ai Mondiali del ’66 avrei dovuto giocare io. Quel diagonale del coreano io l’avrei parato. Sicuro. Ma è vero: io non mi vendevo molto bene… Per un errore di Zoff i giornali avevano sempre giustificazioni»
«Ai Mondiali del ’66 avrei dovuto giocare io. Quel diagonale del coreano io l’avrei parato. Sicuro. Ma è vero: io non mi vendevo molto bene… Per un errore di Zoff i giornali avevano sempre giustificazioni»
«All’Inter ad inizio stagione non partivo mai nell’undici titolare ma non mi abbattevo, lavoravo sodo e riuscivo a collezionare tante presenze da titolare. Non sono stato un campione, ma la mia è stata una carriera ricca di soddisfazioni»
«Liedholm fu quello che mi lusingò maggiormente. Diceva che non c’era nessuno come me nel gioco senza palla. Ero bravo tatticamente e mi piaceva costruire il gioco, ma mi mancava la velocità»
«E pensare che Christian era un brocco. Non credevo in lui ma ora lo ammiro. Del Piero sì che sembra mio figlio» «Bernardini: un grandissimo. Ma me le dava tutte vinte. Chissà, se avessi trovato uno più severo»
«Avevamo Manlio Scopigno, un allenatore particolare. Niente ritiri per le partite in casa. Ci ritrovavamo alle 10 del mattino al ristorante Il Corallo. Ciascuno era padrone di vivere come gli pareva»
«All’Atalanta prendevo un milione. All’Inter Moratti scrisse sull’assegno 15». «Ero un’ala che puntava l’uomo per saltarlo e poi facevo anche parecchi gol»
«In quella Roma tante diversità, ma Liedholm sapeva evitare le situazioni imbarazzanti. Con noi giovani era straordinario. Finito l’allenamento con i titolari si fermava a farci lezione»
«Boniperti, il presidente dei presidenti, dichiarò ai giornalisti: il portiere del nostro domani sarà Piloni. Invece, ingaggiò Zoff e la mia carriera finì dritta in un imbuto…»
«Mi fa rabbia non sia ancora venuto fuori un cannoniere che mi sostituisca nella mente e negli occhi, più che nel cuore, della gente granata.»
«Ero lanciatissimo, mi ero guadagnato anche la nazionale, quando ebbi un arresto cardiaco per una pallonata presa in allenamento»
«Iniziai con la Juve. Che soddisfazione quando Boniperti mi disse che sul mio conto si sbagliò» «Ci esclusero dalla Coppa Campioni per una squalifica precedente perché non avevamo nessun peso»
«Il mio compito era quello di marcare l’avversario più forte, gente come Rivera, Eusebio, Pelè, Sivori…» «Ho amato e amo il calcio, per me è stato fondamentale per la crescita interiore l’educazione e il rispetto»
«Rimpiango di aver giocato in una Roma minore, dove i buoni giocatori arrivavano solo a fine carriera, ma in un certo senso lo scudetto dell’83 è anche figlio di quelle stagioni sciagurate, e di tutti quegli errori»
«Mi piaceva giocare mediano perché non ero al centro dell’attenzione, bensì del gioco. Dovevo correre tanto e bene e a me veniva tutto semplice»
«Ero un autodidatta, ho saltato le giovanili, venivo dalla strada e fino ai 18 anni ho giocato da centravanti. Al mondo del calcio ero solo in prestito, avrei potuto smettere quando volevo, senza l’angoscia del fallimento»
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