Il cucchiaio di Panenka

La storia del famoso rigore di Panenka, in Italia conosciuto col nome di “cucchiaio”, cioè quel rigore battuto con un tocco smorzato e centrale al termine di una rincorsa veemente, tale da ingannare il portiere avversario e indurlo a tuffarsi a lato.

“Se l’avessi sbagliato, mi avrebbero spedito a lavorare in fabbrica per trent’anni di fila”
(Antonin Panenka)

In Italia è conosciuto col nome di “cucchiaio” quel tipo di rigore battuto con un tocco smorzato e centrale al termine di una rincorsa veemente, tale da ingannare il portiere avversario e indurlo a tuffarsi su un lato della porta. Quando poi il pallone prende il volo, morbido e beffardo, all’ormai inerme portiere non resta che guardarlo scendere lentamente verso la rete come una foglia caduta dall’albero. E parlando di cucchiaio, i nostri ricordi al passato prossimo corrono immediatamente su una delle più celebri gesta di Francesco Totti e sul suo indimenticabile rigore in Italia-Olanda alla semifinale degli Europei del 2000 ai danni di Edwin Van der Saar.

Come quasi tutti sappiamo, prima di avvicinarsi al dischetto Totti aveva annunciato al suo compagno Gigi Di Biagio nel proprio caratteristico romanesco vernacolare:
A Gi’, quanto è grosso Van der Sar. Pensa se rimane fermo in piedi mentre je faccio er cucchiaio che figura de merda faccio“.
Da quel momento il cucchiaio (o anche “er cucchiaio”) ha iniziato a diventare una moda, quasi un tormentone, degli anni 2000, ed è stato tentato da una pletora di campioni dei nostri giorni, tra cui Pirlo, Zidane, Ribéry, Di Canio e Mutu. C’é però anche un rovescio della medaglia per questa finezza balistica, e consiste nella sventurata eventualità che il portiere avversario non caschi nel tranello; non si tuffi da un lato e rimanga in piedi sulla linea di porta. Ed è stato sempre Totti, il precursore di casa nostra, a farne le spese (chi di cucchiaio ferisce, di cucchiaio perisce), rimediando un’altrettanto storica figuraccia, quando si è visto parare comodamente il rigore da un seraficissimo Vincenzo Sicignano in un Roma-Lecce dell’autunno 2004.

Eppure per tutto il resto del mondo il cucchiaio è soltanto quello che si usa per raccogliere la minestra dal piatto, e come aveva ricordato Bruno Pizzul, rivangando la propria memoria ultradecennale nel commento in diretta dell’impresa di Totti in Italia-Olanda del 29 giugno 2000, quel tipo di rigore lo aveva già realizzato un certo Antonin Panenka, centrocampista cecoslovacco, nel lontano 1976, durante la finalissima di Coppa Europa. Peccato che la memoria del nostro Bruno nazionale si fosse incastrata tra un ingorgo altrettanto ultradecennale di ricordi, e gli aveva generato un piccolo abbaglio sul nome dell’avversario della Cecoslovacchia, facendogli confondere la Germania Ovest con la Jugoslavia.

Germania Ovest-Cecoslovacchia era stata infatti la finale di Coppa Europa 1976, mentre la Jugoslavia era solo la nazione ospitante. I tedeschi occidentali si erano presentati a questo evento come i grandi favoriti. Non erano solo i campioni del mondo in carica dal 1974, ma avevano tra le loro file giocatori del calibro del portiere Sepp Maier, del difensore Berti Vogts, del libero Franz Beckembauer, in procinto di festeggiare la propria centesima partita in nazionale, del centrocampista Rainer Bonhof e degli attaccanti Uli Hoeness e Dieter Mueller, il sostituto del ben più grande Gerd. Erano approdati alla finalissima, (all’epoca la fase finale degli europei si svolgeva tra sole quattro squadre in un mini-torneo a eliminazione diretta), dopo aver battuto per 4-2 i padroni di casa della Jugoslavia al termine di 120 minuti di autentica passione, riuscendo nell’impresa di rimontare un parziale di 0-2 a fine primo tempo, per poi assistere al crollo fisico dei più raffinati palleggiatori jugoslavi, scoppiati uno dopo l’altro come pop corn.

La Cecoslovacchia, al contrario, era un oggetto misterioso anche per gli addetti ai lavori. Dei suoi giocatori si sapeva piuttosto poco, rigorosamente confinati com’erano nel loro paese (una norma interna stabiliva che i calciatori non potevano emigrare all’estero prima di avere compiuto i 32 anni di età), e le squadre di club cecoslovacche non andavano mai al di là di mediocri prestazioni nelle coppe europee. Ma, nonostante questo biglietto da visita decisamente opaco, la nazionale era arrivata alla brevissima fase finale del campionato europeo, eliminando formazioni di altissimo livello, come l’Unione Sovietica guidata dal colonnello Lobanovsky col suo blocco della Dinamo Kiev, e la spumeggiante Inghilterra di Kevin Keegan.

Come la Germania Ovest, anche la Cecoslovacchia era reduce da una semifinale vinta ai supplementari. Sul campo del Maksimir di Zagabria, ridotto a una palude da un nubifragio estivo, il 16 giugno aveva avuto ragione per 3-1 dei vice campioni del mondo del dream team olandese dei vari Ruud Krol, Johan Neeskens, Johnny Rep, Rob Rensebrink e soprattutto di Johann Cruijff.
Per la finale della domenica sera del 20 giugno le due federazioni tedesca occidentale e cecoslovacca si erano accordate per ricorrere alla lotteria dei calci di rigore, nel caso di persistente pareggio anche dopo i tempi supplementari. E, per la prima volta nella storia del calcio, un incontro internazionale si sarebbe deciso con questa soluzione. Infatti, in precedenza le partite terminate in parità alla fine dei 120 minuti di gioco venivano ripetute qualche giorno dopo, come nel caso della finale europea di Roma del giugno 1968 tra Italia e Jugoslavia, finita 0-0, e vinta dai nostri per 2-0 nel secondo incontro.

Sotto il diluvio di Zagabria, i capitani Ondrus e Cruijff prima della semifinale Cecoslovacchia-Olanda 3-1

Allo stadio della Stella Rossa di Belgrado c’erano appena 35mila spettatori quella sera del 20 giugno: davvero pochini per una finalissima di Coppa Europa. Ma i prezzi dei biglietti, praticamente proibitivi per gli austeri belgradesi dei tempi del socialismo autogestito, avevano tenuto lontano il grande pubblico. La partita si era rivelata emozionante e spettacolare. E i tedeschi avevano compiuto di nuovo l’impresa di rimontare lo svantaggio di 0-2 accumulato nei primi minuti, ed avevano agguantato il pareggio, come loro ormai conclamata consuetudine (iniziata sei anni prima con il celebre gol del parziale 1-1 di Hans Schnellinger al 93′ di Italia-Germania Ovest del 1970), in zona Cesarini, grazie a una rete di Hölzenbein di testa sugli sviluppi di un calcio d’angolo.

Si era così arrivati ai rigori, con la cornice di un drappello di meno di diecimila tifosi tedeschi occidentali a sostenere la squadra in maglia bianca, con qualche bandiera cecoslovacca che sventolava timidamente qua e là, e con il resto dello stadio a fare il tifo per i propri cugini slavi. Dopo tre serie di tiri, tutti i rigoristi avevano disciplinatamente portato a termine la loro missione. Era toccato quindi al difensore cecoslovacco Jurkemik, che aveva trasformato in rete con una staffilata angolata e imprendibile. A pareggiare il conto avrebbe dovuto provvedere Uli Hoeness, un attaccante del Bayern di Monaco appena ventiquattrenne, ma già espertissimo in campo internazionale e con una carriera baciata da un continuo successo. Hoeness aveva preso una rincorsa poderosa, ma aveva colpito il pallone troppo sotto, sparacchiandolo molto al di sopra della porta difesa da Ivo Viktor. Così in alto che più di vent’anni dopo Franz Beckembauer avrebbe commentato sarcastico:
“Il pallone di Hoeness lo stanno cercando ancora adesso per le vie di Belgrado”.

Antonin Panenka, un perito alberghiero di ventotto anni, si era trovato così tra i piedi il pallone della prima (ed anche unica) Coppa Europa per il proprio paese. Nonostante stesse portando sulle spalle una responsabilità enorme, si sentiva sicuro. Come il suo predecessore Hoeness, anche lui aveva preso una rincorsa lunga e potente. Ma giunto al dischetto si era fermato di colpo, mentre Sepp Maier si stava già tuffando da un lato. E in quella frazione di secondo in cui il portiere della nazionale tedesca e del Bayern di Monaco aveva già perso l’equilibrio, il baffuto Panenka aveva preso la mira per scodellare la palla in rete con un morbidissimo e centrale tiro a foglia morta.

Maier ignorava che Panenka era ben avvezzo a questo tipo di rigori. Infatti quest’ultimo li aveva già testati innumerevoli volte in allenamento, e da un paio d’anni aveva cominciato a tirarli in questo modo anche con il suo Bohemians Praga nelle partite del campionato cecoslovacco. Ma anche se Monaco e Praga non distavano tra loro che poche centinaia di chilometri, la cortina di ferro si infrapponeva nel mezzo, rendendo pressoché impermeabili tutte le informazioni, comprese quelle sportive. Cosi, questa maniera del tutto innovativa di battere un calcio di rigore, inventata da questo ancora semisconosciuto centrocampista boemo, era rimasta completamente ignota al grande pubblico fino a quel momento: anche all’incolpevole Sepp Maier.

E il cucchiaio, anzi il panenka, come è conosciuto oggi in tutto il mondo, stivale escluso, cadde nell’oblio (o quasi) per ventiquattro lunghi anni, prima di venire riscoperto con impressionante successo nel decennio appena trascorso. Antonin Panenka, il legittimo proprietario del brevetto non era era esattamente l’uomo ideale per fare da testimonial a questa meravigliosa invenzione. Apparteneva a un paese del blocco sovietico, in cui, per principio, il concetto di pubblicità era inconcepibile in natura. E per di più, non lo si poteva definire bello e di gentile aspetto, con quei capelli, che sembravano tagliati con l’accetta, e un paio di baffi da cosacco, tutt’altro che glamour anche secondo gli elastici standard d’immagine in uso negli anni settanta.

Anche altri modi di battere i rigori si erano distinti nel corso della storia del calcio per originalità ed efficacia. E tra tutti, due erano particolarmente suggestivi dal punto di vista stilistico. Il primo era il tiro da fermo, ideato e realizzato da Gianfranco Casarsa, attaccante della Fiorentina e del Perugia tra il 1974 e il 1981: personaggio, come Panenka, forse troppo casereccio per diventare un’icona pop. Ispirato molto probabilmente a quest’ultimo, era poi il rigore con un solo passo di rincorsa, lanciato da Beppe Signori negli anni novanta.
Ma nessuno di questi avrebbe mai potuto competere per raffinatezza con il cucchiaio, o panenka, tanto che il quotidiano sportivo francese L’Equipe aveva definito, forse con un’enfasi un po’ troppo sopra le righe, il suo inventore come un poeta del calcio; ed anche il grande Pelé era intervenuto nella discussione, affermando:
Solo un genio o un pazzo avrebbe potuto tirare un rigore in quel modo“.
Correva l’anno 1976: proprio quello in cui sarebbe nato Francesco Totti. E da lì a ventiquattro anni il panenka, nella sua versione italiana, sarebbe diventato er cucchiaio.

Testo di Giuseppe Ottomano