Big Five, le Cinque Grandi, era il nomignolo che fino a pochi anni fa raggruppava i cinque club più gloriosi e più influenti del calcio inglese. Tra questi, l’Everton. Che poi tale appartenenza fosse ormai quasi usurpata, visti gli sviluppi recenti e lo spostamento degli equilibri di potere, questo è un altro discorso. Il dato di base è comunque che l’Everton fa parte piena della storia del football britannico, e che una Premiership senza i “Toffees” sarebbe incompleta.
Lo dimostra la storia, lo dimostra la lista di campioni che hanno vestito la maglia blu, lo dimostra la maestosità di uno stadio che è cambiato parecchio ma che conserva ancora molte caratteristiche di quelle che scavano un solco nella fantasia, e di conseguenza nella memoria. Alcuni nomi? Dixie Dean, il supercannoniere degli anni Venti, e poi Tommy Lawton (218 reti in 206 partite, tra anni Trenta e Quaranta), il portiere Ted Sagar (463 presenze in campionato), Jimmy Gabriel, Alex Young, Roy Vernon, Brian Labone, Ray Wilson, Alan Ball e Howard Kendall, eroi del titolo del 1970, e poi Bob Latchford, Joe Royle, Andy Gray, Neville Southall.

Di alcuni di loro parleremo, altri invece resteranno fuori, penalizzati dal numero… eccessivo di grandi nomi che hanno fatto parte di quella che venne universalmente riconosciuta come “School of Science”, l’Accademia delle scienze calcistiche, per via del delizioso tipo di calcio giocato dai “Toffees” nel 1938-39, anno del quinto successo in campionato. Per arrivare fin lì, naturalmente, le vicende erano state molto variegate, sin dal 1878, anno della fondazione.
A far nascere il club furono i rappresentanti di una parrocchia metodista, la St. Domingo, che diedero vita a una scuola e successivamente alla squadra, che iniziò a giocare su uno spiazzo nell’angolo sud-est dello Stanley Park, il celebre parco cittadino. Nell’arco di un anno la popolarità della squadrina, impegnata contro avversarie locali, crebbe al punto tale che furono tanti i giocatori provenienti da altre zone della città che entrarono a farne parte, e fu allora deciso di cambiarne il nome, per staccarsi dalla pura rappresentatività di una parrocchia e crescere.
Il nome Everton venne scelto nel novembre 1879 nel corso di una riunione svoltasi all’hotel Queens Head, situato nella Village Street, una via laterale della Everton Road, a poca distanza dalla The Ancient Everton Toffee House e da una torre che, guarda caso, figura ancora oggi nello stemma della società. Non è nemmeno un caso, naturalmente, che i giocatori vengano chiamati “Toffees”, ovvero dolcetti, se si pensa alla pasticceria (Toffee House) di cui sopra.

La prima partita venne giocata il 20 dicembre 1879 e vinta 6-0 sul St. Peter, con maglie a striscie bianche e blu. Due anni dopo venne un cambiamento di colori, per evitare la confusione dovuta al fatto che a tutti i giocatori nuovi era stata concessa la possibilità di indossare le divise delle loro ex squadre, il che aveva reso l’Everton una sorta di Arlecchino collettivo: per evitare di acquistare maglie nuove, fu deciso di tingere di nero (con successiva aggiunta di una striscia rossa) tutte quelle dei giocatori, e nacque così il soprannome Black Watch.
Nelle stagioni successive la fantasia cromatica si sfogò nella scelta del color salmone con pantaloncini blu, poi maglie rosse con bordi blu e pantaloni neri, infine la livrea attuale, stabile dal 1901. Nel 1888 l’Everton venne ammesso come membro fondatore della neonata Football League, che vinse per la prima volta nel 1891. Il periodo d’oro dell’Everton fu a cavallo tra gli anni Venti e anni Trenta, quando i “Toffees” conquistarono tre titoli inglesi (1928, 1932, 1939) e una FA Cup (1933), portando alla ribalta le straordinarie doti di Dixie Dean, il centravanti acquistato diciottenne il 16 marzo del 1925 per 3000 sterline dal Tranmere Rovers, club del circondario.
William Randolph Dean (odiava il nomignolo Dixie) nell’anno del titolo, il 1927-28, stabilì un imbattibile primato della Football League, segnando 60 reti in 29 partite di Division I, di cui 31 in 15 gare esterne e 29 in 14 al Goodison Park, anche se nella stagione successiva l’Everton addirittura pre cipitò nella Second Division. Potente, strepitoso colpitore di testa («certe sue zuccate erano più potenti dei calci di punizione di altri» ricorda un ex compagno di squadra), determinato, Dean segnò 349 reti in dodici stagioni: era il tipico centravanti inglese dell’epoca, capace di sparare in rete la palla con ogni mezzo.

L’ultima grande annata dell’Everton prima della Seconda guerra mondiale è il 1939, con la quinta vittoria in campionato. «Dixie» Dean non c’è più, il nuovo ariete dell’attacco è Tommy Lawton, prelevato nel 1937 dal Burnley. Alla ripresa, bisogna ripartire da zero. E l’Everton si trova in gravi difficoltà: sulla Mersey non approdano più talenti di livello nazionale, i costi di gestione sono troppo alti per le casse societarie. Nel 1951, i «blues» retrocedono in seconda divisione, riaffiorando solamente cinque anni più tardi per entrare in un periodo di assoluto anonimato.
Il buio si rischiara dieci anni più tardi, quando la squadra è affidata a Harry Catterick, ex manager dello Sheffield Wednesday. Catterick mette mano alla borsa, investendo parecchie sterline su alcuni giovani come Tony Kay, lo scozzese Alex Scott e Roy Vernon, per tre volte cannoniere della squadra. Con una formazione pimpante, Catterick porta l’Everton al titolo, il sesto della sua storia, con sei punti di vantaggio sul Tottenham. L’Everton vince la FA Cup 1966 (3-2 sullo Sheffield Wednesday), raggiunge la finale nel 1968 e torna al successo in campionato nel 1970. Occorrono però quattordici anni perché l’Everton riesca ad arricchire ulteriormente la propria bacheca.
Nel 1984, i «blues» si aggiudicano la Coppa d’Inghilterra; dodici mesi più tardi conquistano un difficilissimo «doublé» con l’affermazione in campionato e in Coppa delle Coppe. Quella ottenuta sul Rapid Vienna è l’ultima vittoria di una formazione inglese in un torneo europeo prima dello stop imposto nel dopo-Heysel. La squadra non può difendere il proprio titolo continentale e, concentrata sul campionato interno, riesce a conquistare un altro successo, l’ultimo ad oggi, nel 1987.
