Flamengo

A cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento il Jornal do Brasil lanciò un sondaggio per stabilire qual era la squadra carioca più popolare e amata dell’epoca. Era un sondaggio pilotato, ma quando furono scoperti nei depositi della spazzatura i tagliandi in favore del Flamengo nessuno ebbe più dubbi. Alzi la mano chi non ha mai sognato di vestire, anche solo per gioco, quella maglia a righe orizzontali rosse e nere. Per farsi due palleggi al Maracanà.

E Clube de Regatas do Flamengo nasce il 17 novembre del 1895, battesimo anticipato per farlo coincidere con la nascita della Repubblica brasiliana. L’idea era venuta a un gruppo di artisti, intellettuali e studenti che avevano come ritrovo il Café Lamas. Un’idea che si concretizzò grazie a 650 mila reis, i soldi che servirono per rimettere a posto il “Pherusa”, una barca. Già, perché se in Italia alcune società di calcio sono nate dalla ginnastica, a Rio de Janeiro è stato il canottaggio a tenere a battesimo la nascita delle prime associazioni sportive. Il Pherusa però si rovesciò nella laguna di Rio per il forte vento e qualche giorno dopo la barca fu addirittura rubata.

Il Flamengo 1912

I “nostri” non si dettero per vinti e grazie a un nuovo socio investirono altri 500 mila reis per comprare il “Soyra”. Solo dieci anni più tardi, 1905, nascerà la Liga Metropolitana de Futebol, una specie di campionato locale, cui il Flamengo inizia a partecipare a partire dal 1911, quando l’assemblea del Clube approva la creazione del Dipartimento sport terrestri. A dare il là era stato Alberto Borgeth, studente di medicina e calciatore della Fluminense, l’odiata rivale fondata il 21 luglio del 1902. Da allora il “FlaFlu” è uno dei derby più accesi e affascinanti del pianeta calcio: il primo classico lo vinceranno i tricolores, battendo i rubronegros per 3-2. Era solo l’inizio.

Come in tutte le buone famiglie calcistiche la storia del Flamengo è costellata di successi e periodi di magra più o meno lunghi. È con Leonidas da Silva che la fiamma rossonera torna a bruciare successi, definito non a caso «L’uomo che gioca con la Bibbia del calcio sotto il braccio». Il capocannoniere dei Mondiali italiani del ’38, già rubronegro, torna a Rio dopo un’avventura con gli uruguaiani del Nacional vincendo titolo e tre classifiche cannonieri consecutive. Negli anni Quaranta e Cinquanta sarà la volta dei Bigué, dei Jurandir e di Zizinho.

Negli anni Sessanta, però, è il Botofago di Garrincha, Nilton Santos e Didì a dettare legge, fino all’arrivo nel Settore giovanile del Flamengo di Arthur Antunes Coimbra. Il giovane Zico ha un fisico filiforme sul quale incombe il fantasma di un’incipiente scoliosi, ma la purezza della sua classe e l’efficacia del suo talento non lasciano dubbi, la società investe tempo ed energie sul ragazzo, tempo ed energie che saranno ottimamente ripagate. Con lui il Flamengo vince 5 campionati di Rio, 4 titoli nazionali, una Libertadores e un’Intercontinentale. Nella prima battendo in finale i cileni del Cobreola, non senza un pizzico di sudore, infatti i brasiliani vincono 2-1 in casa, doppietta di Zico, perdono 1-0 fuori e sono costretti alla bella che li suggella campioni del Sudamerica grazie a un’altra doppietta di «O galinho», come Zico fu definito, “il galletto” per quel compiacimento nel giocare con grande eleganza.

Il Flamengo 1961, vincitore del Torneo di Rio-San Paolo

Nella sfida con gli europei strapazzando il mitico Liverpool di Dalglish e Souness per 3-0. È il 1981 e certamente questo è il momento più alto della storia rubronegra e di Zico, il suo giocatore maggiormente rappresentativo, la squadra più amata dal popolo brasiliano è anche la più forte e apprezzata del mondo, non solo per i risultati, ma anche per il suo gioco. Al fianco e all’ombra di Zico si affermerà un altro grande carioca, Junior (e con lui Tita, Leandro: uno squadrone). Più tardi sarà la volta di Edinho, poi Bebeto e Leonardo, quest’ultimi due campioni del mondo nel ’94. Dopo di lui arriverà solo un campionato brasiliano nel 1992 e 2 coppe del Brasile (conta meno della Coppa Italia…), con grandi vuoti tra un trofeo e l’altro, ma rispetto agli Ottanta è tutto un altro Flamengo, anche perché una delle materie più esportate dal Brasile sono proprio i giocatori.

E se una volta i brasiliani sostavano in patria fino all’età matura (Zico venne in Italia 30enne, così come Junior) adesso prendono l’aereo a 17 anni, come Pato, come Breno. Finiti a Milano e Monaco, ma “prodotti” di San Paolo. Perché da 20 anni, a Rio, fenomeni non se ne vedono. L’unica soddisfazione rimasta sino ad ora è il vantaggio nelle sfide con la Fluminense, e un FlaFlu al “Maracanà” di Rio de Janeiro resta uno spettacolo unico al mondo.

L’ultimo grande Flamengo: il 1981 e la Coppa Intercontinentale