L’East End londinese è un luogo di grandi contrasti, luogo d’immigrati, popolare, ma per questo anche di grande solidarietà. Lì scorre il Tamigi con le sue acque gelide e color antracite, con le sue nebbie che avvolgono tutto e tutti, nebbie dalle quali nel 1895 è nato il West Ham United: una delle squadre centenarie, formazione povera di trofei ma tra le più leggendarie d’Inghilterra.
C’è stato un tempo in cui il West Ham United era conosciuto anche come “The Football Academy”, l’accademia del calcio, tempi lontani, segni di un passato che non c’è più. L’inconfondibile maglia granata con le maniche azzurre è, da sempre, la divisa di quella che agli inizi era soltanto una squadra dopolavoristica di uno dei più grandi cantieri navali della zona, i Thames Ironworks. Da qui il soprannome “Irons”, tutt’oggi conosciuto come l’altro “The Hammers”, ovvero i martelli: quelli utilizzati nei cantieri e presenti nello stemma societario.
Agli albori, Arnold Hills, presidente dei Thames Ironworks, era il garante economico della squadra d’origini operaie che giocava al memorial Ground di Canning town. Garanzia che non durò a lungo, tanto che pochi anni dopo il sodalizio fallì risorgendo con un nuovo statuto e aprendo le porte al professionismo grazie all’iscrizione del West Ham United alla Southern League, operazione che affrancò gli azzurro-granata dai cantieri e dallo stesso Hills, contrario e contrariato dall’iscrizione della squadra alla lega. Cambia anche il campo di gioco, gli Hammers riadattarono un vasto spiazzo erboso nell’attuale sede di Upton Park, anche se il vero nome dell’impianto è Boleyn Ground.
Dal 2 settembre del 1904 lo stadio, tra i più suggestivi d’Inghilterra, ha assistito alle imprese (molte mancate) del West Ham United, lì a due passi dalla fermata della metropolitana di Upton Park. Quasi una metafora, partire, tornare, attraversare senza sosta quella sottile linea che divide il successo dal fallimento, tanto che per festeggiare la prima vittoria i tifosi dell’East End devono attendere la Coppa d’Inghilterra del 1964, quasi 80 anni dopo la fondazione del club, segno di una vita sportiva particolarmente tribolata.
La Southern League era in pratica una terza divisione regionale nella quale gli Irons restano sino al 1919; Syd King e Charlie Paynter sono i primi idoli degli Hammers, idoli costretti a scendere presto dall’Olimpo per colpa di gravi infortuni di gioco, anche se il loro attaccamento al West Ham United non è mai scemato nel tempo e forse sta qui il segreto di tale longevità sportiva. King è stato manager-segretario sino al 1932, Paynter tecnico della squadra sino al 1950. Proprio nel 1919 il sodalizio londinese viene eletto alla seconda divisione dove resta quattro stagioni, nel 1922-23 conquista la promozione in First Division (oggi meglio conosciuta come Premiership) e la finale di FA Cup che perde per 2-0 contro il Bolton Wanderers. Protagonisti di quell’annata la mezzala Jack Tresadern e il centravanti Vic Watson, che all’Upton Park ha segnato 306 gol.
Dieci anni dopo la retrocessione e una lunga e dura permanenza in Second Division, permanenza che dura sino al 1958. Nel 1940 il West Ham vince la War-time Cup (letteralmente, coppa del tempo di guerra) battendo per 1-0 il Newcastle United. All’inizio degli anni Cinquanta la svolta: in società arriva Wally St. Pier, un osservatore che porterà al West Ham giocatori del calibro di Bobby Moore, Geoffrey Hurst e Billy Bonds che ha vestito la maglia azzurro-granata per 663 volte.
Nasceva così “The Football Academy”, con un progetto che partiva dalle fondamenta, da un settore giovanile curato e seguito nei minimi particolari, come lo è ancora oggi per molte squadre inglesi. Un progetto che avrebbe dato vita al West Ham United più forte di sempre. Se St. Pier era il braccio, Ron Greenwood è stata la mente di quella squadra: il tecnico arriva all’Upton Park nell’estate del ’61 e si accorge subito della qualità del lavoro di Wally: i giovani del suo vivaio hanno grandi potenzialità.
Così Moore, Hurst e Martin Peters passano in Prima squadra e gli Hammers tre anni dopo vincono la FA Cup, ripetendosi nel ’65 con la conquista della Coppa delle Coppe, il momento calcisticamente più alto vissuto dagli abitanti dell’East End londinese. Era il 19 maggio del ’65 e a Londra il West Ham United affrontava i tedeschi del Monaco 1860, quasi una premonizione della inale mondiale dell’anno successivo. Greenwood manda in campo: Standen, Kirkup, Burkett, Peters, Brown, Moore, Sealey, Boyce, Hurst, Dear e Sissons. Due reti dell’ala destra Sealey decidono il match e per gli Irons è festa grande, davanti al proprio pubblico.
Nel 1976 il West Ham United conquista ancora la finale di Coppa delle Coppe, segna anche due gol con Holland e Robson, ma a Bruxelles, contro l’Anderlecht di Rensenbrink, Coeck e Van der Elst, c’è poco da fare e finisce 4-2 per i belgi. Bobby Moore e Geoffrey Hurst, due colonne del West Ham United, conosciuti al mondo come due dei pilastri dell’Inghilterra Campione del Mondo nel ’66: il primo come elegante libero al fianco di Jack Charlton, il secondo autore della storica tripletta nella finale contro la Germania Ovest.
Robert Frederick Moore, pur avendo vinto solo una FA Cup e una Coppa delle Coppe, benché fosse considerato “The player of the players”, rimase al West Ham United sino al 1973, andandosene dopo 543 presenze e 24 reti. Passò al Fulham dove giocò 124 volte segnando una rete. Sempre nel ’73 chiuse con la Nazionale, nella sconfitta di Wembley contro l’Italia. Trasferitosi negli Stati Uniti, vestì le maglie dei San Antonio Thunder e dei Seattle Sounders, terminando la sua carriera calcistica in Sudafrica.
Compagno nel West Ham e in Nazionale nel periodo d’oro, gli anni Sessanta, quel Charles Geoffrey Hurst, unico giocatore al mondo ad aver segnato una tripletta in una finale mondiale. Nel West Ham veniva inizialmente schierato nelle retrovie, ma Greenwood decise che quel ragazzo alto 1,81 doveva sfruttare al meglio l’ottimo colpo di testa e la potenza del tiro. L’infortunio a Greaves gli aprì le porte all’impresa più grande: quattro gare e quattro gol in un mondiale, tre decisivi nella finalissima e il titolo iridato. Hurst ha toccato il cielo con un dito proprio in quel pomeriggio d’estate, lui attaccante quasi distratto che all’improvviso compariva davanti alla porta o tirava per segnare gol pesanti, per questo è stato anche soprannominato “Il fantasma del gol”.
A Londra, sulle rive del Tamigi, presso la fermata di Upton Park, gioca una squadra azzurro-granata, lo fa da più di 100 anni, lo fa per amore del calcio, lo fa per tenere alto il nome dell’East End londinese, lo fa perché il football in certi luoghi è più che un semplice dare calci al pallone.