1954 – Tognon: «Czeizler, purtroppo, non era Pozzo…»

1954. L’Italia fu eliminata al primo turno dalla Svizzera. Capro espiatorio fu Omero Tognon. Nelle due partite, il suo avversario, Hügi II, segnò tre gol. E così Tognon non venne più chiamato in Nazionale.

Tognon era nato a Padova nel 1924. Morì a Pordenone nel 1990. In occasione dei Mondiali del 1978 rilasciò questa intervista dove rievocava l’album di Svizzera 54.

«lo — raccontava — non volevo nemmeno andare in Svizzera perché mi era bastata l’esperienza del Brasile. Allora non era come adesso. In Nazionale non giocavano i migliori. Dominavano le varie cricche. Prima dei mondiali del ’50 i più in forma eravamo io e Mari, eppure non eravamo presi nemmeno in considerazione. In Brasile mi limitai a fare il turista. E mi scoraggiai».

— Si trattava pur sempre della Nazionale…
«Ma avevo trovato un clima che non mi piaceva, un clima ben diverso da quello di Pozzo, che era stato il primo a convocarmi. Ricordo che con Pozzo veniva la pelle d’oca, si pensava davvero alla Patria, quella con la P maiuscola. Invece in Brasile c’era un clima di indifferenza generale all’insegna: ma chi se ne frega? Basti dire che per andare in giù, si scelse la nave; al ritorno, per non perdere giorni di vacanza, quasi tutti vollero tornare in aereo. E anche quattro anni dopo in Svizzera ritrovai questa atmosfera da Armata Brancaleone».

— L’Italia 1954 fu affidata a un ungherese, Lajos Czeizler, che era stato silurato dal Milan per scarso rendimento.
«Il povero zio Lajos, era arrivato in Italia dalla Svezia, dove il risultato non conta e dove si gioca soprattutto per divertirsi. Cercò di portare in Italia la sua mentalità, eppoi aveva ormai superato la sessantina. Se anche aveva un po’ di grinta, ormai l’aveva persa. Non per niente Gianni Brera lo soprannominò Budda. Comunque era una brava persona. Sul piano umano senz’altro l’allenatore che ricordo con più nostalgia. Solo uomini piccoli così potevano fare una sgarberia a Czeizler».

1954 Svizzera-Italia 2-1 Parlier Pandolfini
Svizzera-Italia 2-1: Parlier in uscita su Pandolfini

— Eppure Brera racconta nella sua storia che in Svizzera non comandava Czeizler, bensì Alberto Valentini, il «cardinale Richelieu» della Federazione…
«Un certo clima strano lo avvertivamo. E io ebbi l’impressione che Czeizler accettasse quel casino, con una sua logica di ragionamento: “Volete fare così? Vedrete come andrà a finire”. Ma non si sarebbe mai azzardato ad alzare la voce, a battere i pugni sul tavolo, non era nel suo stile di Budda…».

— Preparavate le partite? Cosa vi diceva il Commissario Tecnico prima di andare in campo?
«Niente. Prima della partita leggeva la formazione. E se io gli chiedevo: mister, chi marco? Lui si limitava a rispondermi: il centravanti. Tutto finiva lì. Non si parlava né di amor di patria (anche perché Czeizler non era italiano) e nemmeno di tattiche, sia perché allora non si usava, sia perché zio Lajos era contrario. Diceva: o siete più forti voi o sono più forti gli altri. Per lui, di lì non si scappava. Non si sarebbe mai sognato di studiare un accorgimento tattico per colmare il divario tecnico. Con il materiale umano che aveva al Milan (un attacco che segnava più di 100 gol all’anno), un allenatore di quarta serie di oggi, al posto di Czeizler, avrebbe vinto dieci scudetti di fila. Ma lui riuscì a perdere un derby in cui Nordahl & C. segnarono cinque gol. Proprio perché il risultato non gli importava. Ci diceva sempre: ricordatevi che gli spettatori hanno pagato per uno spettacolo che deve durare novanta minuti, non per veder vincere. Indubbiamente non conosceva a fondo i tifosi italiani. Però debbo riconoscere che creò un clima di simpatia, riportò molta gente allo stadio. In effetti con il trio Gre-No-Li e zio Lajos in panchina, lo spettacolo era assicurato».

— Però un tecnico così poteva andar bene per le Olimpiadi, dove I’importante è partecipare, non per un campionato del mondo, dove si va per vincere…
«Ma io accettai volentieri la convocazione, per i mondiali del ’54 proprio perché c’era lui. Lo stimavo come uomo, fu per me un vero maestro di vita. Purtroppo mi mandò anche allo sbaraglio. Hügj II mi segnò tre gol e da quel giorno non vidi più la maglia azzurra. Con Czeizler perse il posto anche il sottoscritto. Eppure non avevo da rimproverarmi nulla. Come al solito, avevo fatto il mio dovere».

— Essere eliminati dai «postelegrafonici» della Svizzera fu considerato un disonore…
«Ma per fortuna non era come adesso. O forse i tifosi si erano “gelati” per quella doccia fredda che nessuno attendeva. Fatto sta che rientrammo tranquillamente in patria, ci fu solo qualche insulto alla frontiera di Chiasso. Ma più che insulti furono sfottò. Ci chiamarono ironicamente “milionari”».

— Cosa successe esattamente?
«Eravamo andati ai mondiali già stanchi. Ricordo che la sera stessa della domenica, fummo convocati al “Gallia”! Dopo cena, Frignani ci portò tutti al casino. E la mattina, partenza per Vevey. Il martedì, di nuovo sotto a lavorare come se si trattasse della preparazione precampionato. C’erano Piola e Pitto. Per me il CT del ’50, doveva essere lui, il grande Silvio, ci avrebbe sicuramente trasmesso anche la sua carica. Invece dovette limitarsi a farci fare ginnastica. Non c’era disciplina, ognuno faceva i propri comodi, lo ero un tipo posato, e il mio svago era innocente. Andavo a pescare al lago con Piola. Ma non c’erano controlli, anarchia assoluta».

— Ma almeno il presidente della FIGC, l’ing, Ottorino Barassi, veniva a farvi il discorsetto di prammatica, prima della partita?
«Macché! Barassi i discorsi li faceva al banchetto, quando c’era da mangiare».

— Sul vecchio Guerino, nelle vignette di Marino veniva sempre raffigurato con la coscia di pollo in mano…
«Ma fummo eliminati al primo turno perché giocammo con una squadra assurda, lo sono stato uno dei pochi, forse l’unico, a disputare tutte e tre le partite dei mondiali 1954 però ero forse l’unico che non doveva giocare. Non perché non lo meritassi, sia chiaro, ma perché allora si puntava sui blocchi. Prima c’era il blocco della Fiorentina, ma toglievano Rosetta e come stopper inserivano il sottoscritto. In Svizzera anche su pressione della stampa milanese, si puntò sul blocco dell’Inter che aveva vinto lo scudetto. Ma nel blocco dell’lnter venni inserito io, stopper del Milan. E perdemmo la prima partita proprio perché non conoscevo Ghezzi».

— Per la ripetizione-spareggio con la Svizzera, poi, Ghezzi fu tolto e, misero dentro Viola della Juventus.
«Erano due portieri diversi. Viola più equilibrato, al massimo si tuffava. Ghezzi, invece volava da un palo all’altro. Perdemmo la prima partita con la Svizzera due a uno perché Hȕgi II, segnò di testa dal limite dell’area di rigore. Avrei potuto respingere. Ma secondo le abitudini che avevo nel Milan, quella era una palla da lasciare al portiere. Non potevo immaginare che a Ghezzi piaceva uscire ed era già a metà strada: così il pallone beffa finì in porta. E’ vero, nella storia dei mondiali sta scritto che il mio avversario diretto ha segnato tre gol e ho pagato anch’io per questa eliminazione. Però se mi fossi limitato a controllare il mio uomo, i centravanti non avrebbero mai segnato. Ma siccome la difesa era sbilanciata, sentii il dovere di andare sugli avversari che avrebbero dovuto essere controllati dagli altri, così mi esposi inevitabilmente alle brutte figure».

Italiani in ritiro a Vevey
L’Italia in ritiro a Vevey

— Dopo quella sconfitta sembrava già tutto compromesso.
«Ma contro il Belgio fu cambiata mezza squadra. Oltre a Vincenzi, vennero fatti fuori pure gli juventini Muccinelli e Boniperti. Giampiero non era ancora maturo per fare la mezzala, all’attacco entrò Cappello e vincemmo 4-1, ci rimettemmo in corsa, perché la Svizzera perse dall’Inghilterra 2-0 (noi e l’Inghilterra eravamo le due teste di serie del girone, non era un girone all’italiana, allora le due teste di serie dello stesso girone, non si incontravano tra di loro). Essendo finiti a pari punti dovemmo incontrare di nuovo la Svizzera, ma avendo una migliore differenza reti ci bastava pareggiare».

— Invece perdeste per quattro a uno e Hügi II segnò ancora due gol…
«Fu un suicidio. Prendere quattro gol da una squadra che fa catenaccio (il famoso ”verrou” n.d.r.) è assurdo. Ma ancora una volta infischiandosene del risultato, Czeizler ci chiese di far bella figura e ci mandò all’attacco. Sbilanciandosi in avanti, la nazionale era fatalmente esposta al contropiede degli avversari. Gli ultimi due gol della Svizzera arrivarono negli ultimi minuti, ma noi avevamo accorciato le distanze, con Nesti, al 67′, in pratica il risultato non era mai stato in discussione. I dirigenti federali poi, invece di caricarci, alla vigilia erano venuti a raccontarci che gli svizzeri non volevano nemmeno giocare, erano intenzionati a dare “forfait” perché tanto erano già sicuri di perdere. Oggi certi errori, anche psicologici, non si ripeterebbero più. Continuo a leggere ancora nelle rievocazioni sui giornali che in Svizzera fummo eliminati per colpa dell’arbitro Viana che annullò un gol di Lorenzi. Ma io dico che è ora di finirla con i piagnistei e col vittimismo. Dalla Svizzera perdemmo per colpa nostra, per i nostri errori, lasciamo stare l’arbitro».

— Cos’è cambiato nel calcio di oggi, rispetto a quello di ieri?
«Oggi si lavora in équipe, allora non si dava importanza al medico, non ci si interessava dei vari problemi dei singoli. E la squadra non era un collettivo, ma una somma di individualità. In campo dovevano arrangiarsi i giocatori, erano mandati veramente allo sbaraglio. Anche con Pozzo la tattica non esisteva, ma almeno c’era la retorica della Patria, non era una partita di calcio ma una battaglia. Nel ’50 e nel ’54 furono invece due spedizioni all’insegna del menefreghismo, davvero un’Armata Brancaleone».