1966: L’Inghilterra di Palumbo

25 luglio 1966 – Campi ed arbitri fanno discutere

Se è già deciso che il campionato del mondo debba essere vinto dagli inglesi, ci si domanda perchè si siano fatte scomodare altre quindici nazioni da ogni continente, mille giornalisti e una moltitudine di ingenui tifosi. Bastava organizzare una cerimonia a Wembley e consegnare la coppa alla squadra britannica.

I favoritismi verso le squadre appartenenti ai Paesi ospitanti non rappresentano una novità nella storia del campionato del mondo. Ne fummo partecipi anche noi italiani, nel 1934, e perciò viene ricordata con maggior orgoglio la riconquista del titolo avvenuta quattro anni più tardi in Francia. Nel dopoguerra si sono avuti esempi ancora più clamorosi di protezione in favore del «padroni di casa» e talvolta a soffrirne sono state le squadre azzurre: così nel ’54, quando a Losanna l’arbitro brasiliano Viana (che da quel giorno scomparve dalla lista degli arbitri internazionali) determinò la sconfitta italiana contro la Svizzera; così nel 1962 quando la nazionale cilena venne palesemente aiutata a raggiungere una posizione di classifica sproporzionata al suo effettivo valore. Nel 1958 allorché i «mondiali» si svolsero in Svezia, a soffrirne furono i francesi sacrificati alla «ragion di stato».

Sinora, però, l’aiuto alle squadre di casa — già favorite dal costante sostegno del pubblico — si era manifestato soltanto attraverso una preferenza arbitrale più o meno evidente. Stavolta, invece, la protezione della nazionale inglese è stata realizzata anche attraverso il calendario e la designazione dei campi di gioco, assumendo un aspetto così sfacciato da provocare perplessità persino in taluni ambienti britannici.

Nel girone eliminatorio, alla nazionale inglese — che per altro ha giocato sempre a Wembley — sono stati concessi tra una partita e l’altra intervalli molto più lunghi di quelli toccati a qualsiasi altra squadra. Tra la prima e la seconda partita, la rappresentativa britannica ha goduto di quattro giorni di riposo; il Brasile, invece, ha avuto un intervallo di due giorni e l’Ungheria appena di ventiquattro ore, con l’aggravante di doversi spostare tra Manchester e Liverpool. Tra la seconda e la terza partita, la disparità di trattamento a favore degli inglesi si è ripetuta.

Triplice vantaggio

Quello che si è verificato per le semifinali era tuttavia imprevedibile e ha superato ogni limite di sopportazione. In data 21 luglio, cioè appena qualche giorno fa, nel pieno sviluppo della competizione, le federazioni ammesse al quarti di finale sono state avvertite che — ferma restando la sede di Liverpool e Wembley per la disputa delle semifinali — il comitato organizzatore si riservava il compito di decidere, dopo l’esito dei «quarti», quale partita far svolgere a Londra e quale a Liverpool. Scopo della decisione — si spiegava — era quello di impedire che una squadra traesse vantaggio dal giocare sempre sullo stesso campo.

Era già assurdo che una decisione tanto delicata venisse adottata a torneo già cominciato, quando ormai tutto avrebbe dovuto procedere automaticamente, secondo un meccanismo tempestivamente predisposto e rigorosamente applicato: ma il comportamento del comitato organizzatore è diventato scandaloso allorché si è appreso che — in contrasto a quanto era stato asserito — anche per le semifinali l’Inghilterra avrebbe giocato a Londra, assicurandosi così il triplice vantaggio di usare sempre lo stesso campo, di non dover sopportare la stanchezza di un trasferimento, e di giocare martedì anziché lunedì, godendo così anche stavolta di un più lungo periodo di riposo.

Nella storia dei «mondiali» è la prima volta che la squadra di casa riesce a giocare tutte le partite sul campo principale, senza doversi sottoporre neanche al fastidio di un breve trasferimento. Nel 1954 la nazionale svizzera fu sottoposta a frequenti spostamenti; così la Svezia nel 1958. Il Cile, nel 1962, per quanto palesemente protetto, dopo aver eliminato l’Italia, dovette spostarsi sino ad Arica, ad oltre duemila chilometri, per affrontare la Russia. Gli inglesi, imperturbabili e avvantaggiati da una inspiegabile arrendevolezza dei loro avversari, hanno evitato anche il più lieve fastidio. La nazionale russa ha dovuto viaggiare di notte per raggiungere Liverpool da Sunderland ed essere pronta a giocare tra poche ore; anche i tedeschi hanno dovuto organizzare in tutta fretta il loro trasferimento da Sheffield per raggiungere la sede della semifinale. Gli inglesi invece attendono a Wembley che il piano di logoramento progressivo degli avversari si compia.

Nel passato, il protezionismo in favore dei padroni di casa ha avvantaggiato squadre che non potevano ambire al titolo: la Svizzera, la Svezia, il Cile. Stavolta si riflette invece in favore di una squadra che è già forte per suo conto e che gli aiuti — prodigati senza risparmio sia dagli arbitri, sia dal comitato organizzatore — potrebbero far diventare invincibile. Ma quale vantaggio ne trarrebbe la propaganda del football?

Pubblico esemplare

Talvolta il protezionismo in favore della squadra di casa si spiega anche con l’immaturità del pubblico, la sua faziosità e con il rischio di compromettere l’interesse e l’esito finanziario della competizione qualora la squadra di casa dovesse esserne esclusa. Stavolta non c’è neanche una attenuante a una spiegazione del genere. Il pubblico inglese è stato sinora esemplare su qualunque campo. Ha sempre applaudito le squadre forti, quando hanno offerto un apprezzabile spettacolo di gioco. Quando rimasto insoddisfatto per le prestazioni delle squadre di maggior prestigio (com’è accaduto con la nazionale italiana) ha preso a parteggiare per la rappresentativa più debole o per gli uomini più combattivi. Le simpatie conquistate dalla nazionale coreana si spiegano così. I giocatori furbi e poco sportivi sono stati spietatamente perseguitati dall’urlo della folla: così è avvenuto del portiere del Portogallo, diventato impopolare per aver perso volutamente tempo nel rimettere il pallone in gioco, quando la squadra lusitana era in vantaggio contro il Brasile. Altrettanto implacabile la folla s’è dimostrata con i giocatori scorretti, neanche l’inglese Stiles è stato perdonato di puntare più al polpacci e alle tibie degli avversari che al pallone. Il pubblico inglese è certamente migliore di quei dirigenti britannici che cercano, con ogni mezzo, di imporre la loro autorità per assicurargli la soddisfazione del titolo mondiale.

La reazione alla prepotenza inglese era inevitabile. Ed è venuta da parte dei sudamericani, che sono i più irascibili. E’ gente dal sangue caldo, che non sa controllarsi. Sono passati quindi dalla parte del torto. Sull’Argentina pende la minaccia di non essere più ammessa ai campionati del mondo. L’Uruguay ha avuto due giocatori espulsi e sostiene di essere stato truffato. I brasiliani hanno già dichiarato di non voler più esporre Pelé, se non avranno garanzie che gli arbitri sappiano adeguatamente difenderlo da chi lo massacra. E’ in atto un movimento di rivolta che mette in pericolo la compattezza dell’organizzazione calcistica mondiale: i Paesi sudamericani parlano apertamente di scissione. Non accadrà nulla. Tra quattro anni, il «mondiale» verrà giocato in America, e le situazioni s’invertiranno. Allora saranno le squadre europee a fare da bersaglio e a protestare. Il calcio nel mondo va così.

Il nervosismo, abilmente provocato è uno degli elementi che hanno portato alla eliminazione di tutte le squadre sudamericane e al trionfo del calcio europeo. Ma non è il solo: c’è anche un’altra realtà: come era facile prevedere il vigore atletico ha sopraffatto la tecnica. Tre delle quattro squadre che sono rimaste in lizza hanno come caratteristica la robustezza e la forza. Sono InghilterraRussia e Germania. La quarta squadra ha un goleador eccezionale che si chiama Eusebio: se non lo stroncheranno, Eusebio, può anche vincere il «mondiale».

Fermatevi per un attimo con noi, a rivedere CoreaPortogallo la partita più imprevedibile, fantasiosa, divertente, emozionante del campionato del mondo. C’era curiosità per la Corea, soprattutto da parte degli osservatori italiani: e se si fosse sbagliato a drammatizzare troppo la sconfitta degli azzurri? Che la Corea non fosse «comica», come ci si aspettava, lo aveva già scoperto, prima di ogni altro in Europa, il nostro De Felice nei suoi servizi dalla Germania orientale. Se n’era avuta conferma nell’incontro con la Russia. Se non fossero intervenuti due grossolani errori dell’emozionato portiere asiatico, i sovietici — che pur rappresentano una notevole forza nell’attuale calcio mondiale — avrebbero faticato molto di più per passare. Poi era venuto il pareggio con il Cile, con l’ultima splendida allarmante mezz’ora di gioco degli asiatici, ed infine la sensazionale vittoria sugli azzurri. Si pensava — ormai — che l’avventura dei coreani al «mondiale» fosse finita: il Portogallo era troppo forte per impensierirsene. Invece dopo 23’, i coreani vincevano per 3-0. Al fischio d’inizio si erano scatenati come cavallette, arrivavano da ogni parte, velocissimi, agili imprendibili. I portoghesi se li vedevano passar di fianco senza riuscire a fermarli. Un gol al primo minuto, e poi altri due. I portoghesi, per reagire, cercavano disperatamente la testa del lungo Torres ma c’era sempre un coreano che (chissà come!) saltava più in alto di lui e lo precedeva su tutti i palloni. Coluna ha affermato, più tardi, di non aver avuto mai paura. Ma in quella prima mezz’ora, l’anziano ed esperto giocatore lusitano aveva gli occhi smarriti, e i suoi compagni, avviliti, si stringevano la testa fra le mani. In tribuna ci si guardava stupiti: eravamo stati forse troppo severi con i calciatori italiani? La folla inglese pareva impazzita d’entusiasmo; tifava per i piccoli coreani come un pubblico mediterraneo.

Poi entrò sulla scena Eusebio. Il Portogallo era ormai fuori della Coppa del Mondo. Tre gol al passivo non si recuperano facilmente, neanche contro la Corea. Una squadra che non avesse avuto Eusebio avrebbe dovuto rassegnarsi. Il giovane attaccante portoghese entrò di forza nella retroguardia coreana e la squassò. Torres era in giornata di scarsa vena; giocava male Simoes; anche José Augusto aveva assunto una sterile posizione a centrocampo. Ed Eusebio fece tutto da solo. Suo il primo gol, di potenza e di astuzia, con un rapido scatto in profondità ed un violento rasoterra. Suo, imparabile, il rigore con cui l’arbitro aveva giustamente punito l’atterramento di Torres. Suo il terzo gol con un violento tiro in diagonale, suo il quarto anche su rigore: era stato lui ad entrare in area, e i coreani terrorizzati — non riuscendo a sostenere il contrasto sul piano fisico — l’avevano sgambettato una volta, erano tornati a sgambettarlo, finché Eusebio era crollato a terra, mentre accorrevano medico e massaggiatore. Si rialzò zoppicando. Coluna si era già preparato a battere il rigore. Volle tirarlo lui. E poiché aveva la gamba sinistra dolorante, tirò di destro: imparabile anche questa volta. Ed il quinto gol, realizzato da Augusto, appartiene anche ad Eusebio nelle origini: il portiere riuscì a deviare una delle tante cannonate del portoghese: calcio d’angolo. Batte Eusebio. Cross alto, dove può arrivare soltanto Torres. Pallone schiacciato verso il basso, gol di testa di Augusto arrivato in corsa. Torres non è un giocatore di gran classe, ma la sua testa serve al Portogallo quanto quella di Charles serviva alla Juventus. E’ un punto di riferimento: e i palloni da lui ribattuti vengono spesso sfruttati da Eusebio (e talvolta da Augusto) come nella Juventus li sfruttava Sivori.

I coreani hanno attribuito alla stanchezza il crollo, avvenuto quando erano ormai i protagonisti del più sensazionale risultato dei «mondiali»; in realtà essi hanno trovato sulla loro strada una squadra più forte, che — possedendo un giocatore di classe eccezionale — non si è rassegnata, ha riorganizzato le sue file e ha messo spietatamente a nudo le lacune difensive, i limiti tecnici e la scarsa esperienza della squadra asiatica. Il recupero di cui il Portogallo è stato capace, nonostante la sorpresa del tre gol di svantaggio, delinea ancor più il mediocre rendimento della squadra italiana, anziché rivalutarlo. Si può anche essere sorpresi dalla Corea, ma poi una squadra «vera» dev’essere capace di batterla.

La Corea del Nord ha concluso tuttavia dignitosamente la sua prima apparizione nell’ambito mondiale. Vedendo giocare i coreani si è avuta la prova che essi hanno condotto una preparazione seria, e hanno studiato attentamente il football degli altri Paesi, pur non potendo mantenere con essi, per motivi politici, quel rapporti senza dei quali difficilmente si progredisce. La squadra coreana ha rappresentato una simpatica attrattiva dei «mondiali». Forse gli asiatici illudendosi, si aspettavano di più e sono adesso delusi: ma il resto del mondo è già sorpreso per quanto essi sono riusciti a realizzare in così breve tempo.

Insieme alla Corea del Nord, l’andamento dei quarti di finale ha sacrificato anche l’Uruguay, l’Argentina e l’Ungheria. Le previsioni generali sono state dunque rispettate. L’Uruguay interpreta, sia pure a passo lentissimo, un gioco ancora piacevole, ma non possiede uomini di gran classe in fase di conclusione. Altrettanto accade all’Argentina, travagliata dal conflitto tra le antiche tradizioni di bel gioco e le inevitabili influenze della manovra più pratica attuata dalle squadre europee. Le scorrettezze dei sudamericani si spiegano anche così: in un campionato, in cui la tecnica è stata sopraffatta dal vigore atletico, essi hanno creduto di adeguarsi al gioco rude diventando fallosi.

Quanto all’Ungheria è quel che ci si aspettava, dopo averla giudicata attentamente a Budapest nell’incontro con la nazionale azzurra un anno fa: una squadra di medio valore, che non poteva essersi di colpo trasformata. Gli eventi successivi hanno peraltro dimostrato che la grande impresa compiuta contro il Brasile trovava spiegazione esauriente nelle condizioni di forma della squadra campione. L’Ungheria può però presentare la valida attenuante del mediocre rendimento dei suoi portieri: nella prima partita, fu disastroso il portiere titolare; nella partita con la Russia é fallito il portiere di riserva. Quando due sconfitte trovano un preciso responsabile, è difficile muovere imputazioni all’intera squadra. Spesso le partite si vincono e si perdono per un solo gol.

Adesso c’é la «due giorni» delle semifinali. A LiverpoolGermaniaRussia, scontro di «panzer». La bravura di Lo Bello sarà sottoposta ad un duro collaudo. Due squadre pressoché simili nella struttura e nell’impostazione. La squadra sovietica — come sottolineammo fin dopo la partita con la Corea — è la più forte formazione che mai i russi abbiano mandato ai «mondiali»: per la prima volta, possiede attaccanti capaci di inventare un gol, anziché aspettare che esso scaturisca come logica conclusione di una monotona manovra collettiva. E’ la prima volta in cui i russi hanno capito che nel calcio la logica non serve. E hanno accettato il culto della personalità. Banichevski ne è una prova. Anche la Germania ha attaccanti capaci di trovare uno spunto risolutivo nella monotona produzione di gioco. Oltre Seeler, c’é Haller il solo «italiano» che riesca a farsi onore ai «mondiali» e le cui fantasiose invenzioni potrebbero mettere a disagio i sovietici. Poi a Londra si giocherà InghilterraPortogallo. La nazionale inglese è più compatta, il Portogallo possiede Eusebio; il duello tra la squadra ed il campione promette un avvincente spettacolo. Il titolo mondiale è, ormai, per il calcio europeo, un affare di famiglia.