1966: L’Inghilterra di Palumbo

1 agosto 1966 – La lezione di Wembley

Gli inglesi sono orgogliosi del loro trionfo. Lo aspettavano da troppo tempo perchè adesso possano nascondere la gioia di averlo raggiunto. Ma sono anche turbati per le polemiche sempre più intense che si vanno accendendo intorno al terzo gol britannico, quello segnato all’11’ del primo tempo supplementare, quando le squadre erano sul 2 a 2, e quindi decisivo per l’assegnazione del titolo. Il quarto gol venne infatti a gioco ormai quasi concluso, con la squadra tedesca tutta proiettata in avanti nel disperato tentativo di operare un altro miracoloso recupero.

Le interpretazioni sono contrastanti. Il pallone, quando è stato calciato violentemente da Hurst, dal basso in alto, sotto la traversa, ha picchiato contro il legno o contro la rete? Quando il pallone ha toccato terra, lo ha fatto forse al di qua della linea. Quindi non sarebbe gol. E se avesse invece toccato la rete in alto, proprio là dove essa è più rigida, dove si congiunge con la traversa? La rete l’hanno vista ballar tutti, come se fosse stata scossa. Ma basta questo a dimostrare la validità del gol? Si sostiene che, per far muovere la rete di Wembley, basta toccare la traversa o i pali: ed il pallone tirato da Hurst era tanto violento da dare alla traversa la più vigorosa delle scosse.

Nessuna foto può stabilire la verità. E neanche la televisione. Basta un’angolazione diversa dell’obiettivo perchè il pallone sembri dentro in un film e fuori in un altro. Anche l’arbitro Dienst lo sa. E non lo nega. Al termine del banchetto, dopo la partita, era lui a chiedere spiegazioni a chi aveva rivisto la partita in televisione. Questo è stato un «mondiale» deciso da un guardalinee. Se l’arbitro avesse visto, non si sarebbe rivolto al suo collaboratore. Avrebbe deciso da solo.

Ora v’è chi sostiene che Dienst si sia rivolto al guardalinee per furbizia: per scaricare su di lui la responsabilità della decisione Ma con argomenti altrettanto validi si potrebbe parlare anche di atto di onestà. Io non ho visto: se, quindi, il mio collaboratore più diretto è stato in grado di giudicare, mi atterrò a quello che dirà lui. I guardalinee ai «mondiali» non sono dei falliti della carriera arbitrale o degli apprendisti, come capita in campionato. Sono i migliori arbitri del mondo, i quali si alternano. Il sovietico che ha deciso l’assegnazione del titolo è il «numero uno» tra gli arbitri del calcio russo.

Si obietta anche che un campionato del mondo non può essere deciso attraverso un gol discusso e che, in caso di dubbio, sarebbe stato più sportivo e più opportuno non convalidarlo. Ma lo scrupolo è duplice. Qualora il gol fosse stato valido, perchè la nazionale inglese avrebbe dovuto essere privata di un successo legittimo? Perciò l’arbitro, prima di decidere in un senso o nell’altro, ha voluto sentire il parere del guardalinee più vicino all’azione.

Se il guardalinee avesse avuto anche lui dei dubbi, Dienst non avrebbe potuto convalidare il gol. Il guardalinee, invece, ha dichiarato che era valido, senza esitazioni. Il che lascia presumere che egli abbia avuto la sicurezza di aver visto benissimo. Di fronte ad un arbitro in palese dubbio, perchè avrebbe dovuto assumersi lui la responsabilità di decidere la partita?

Adesso sorgono mille romanzesche ipotesi. Si accenna ai risentimenti dei russi con i tedeschi per via della burrascosa semifinale giocata a Liverpool. Si accenna persino a inclinazioni di natura politica. Non si può giudicare sui pettegolezzi. La buonafede degli arbitri — siano essi in funzione di direttori di gara o di guardalinee — va accettata come un dogma. Nel giorno in cui si avesse la prove in contrarlo, sarebbe meglio smetterla con il calcio, il quale accetta gli errori arbitrali come accetta quelli, altrettanto e spesso ancora più decisivi, dei giocatori: ma non potrebbe sopravvivere se coloro ai quali si affida perchè ne amministrino la giustizia, ne influenzassero le conclusioni agonistiche subordinandole alle loro simpatie o ai loro risentimenti o ai loro interessi.

Forse non sapremo se il gol che ha deciso la sconfitta della Germania contro l’Inghilterra nella finalissima di Wembley sia stato regolare oppure no. Tuttavia quel gol contrastato, intorno al quale si intrecceranno interminabili polemiche, ha avuto anch’esso il suo importante ruolo nell’esaltante epilogo dei campionati del mondo. Ha consentito di valutare la profonda educazione sportiva dei protagonisti dell’incontro. Era in palio il titolo mondiale, si giocavano i tempi supplementari, i volti apparivano già scavati dalla fatica, i crampi già stringevano i muscoli in una morsa. In quello stato d’estrema tensione, s’inserisce una fase discussa ma risolutiva. E’ un gol che può decidere, che inevitabilmente deciderà. E l’arbitro è incerto sul provvedimento da adottare.

Sostituite i giocatori tedeschi e gli inglesi con dei giocatori latini: italiani o sudamericani. E provate ad immaginare cosa sarebbe accaduto al momento della decisione. Il guardalinee circondato, aggredito, sbatacchiato. Scene d’isterismo, convulsioni, allenatori e dirigenti in campo, pestaggio generale. Ma in campo non c’erano giocatori latini. C’erano inglesi e tedeschi. E i tedeschi, danneggiati dalla decisione, si sono limitati ad andare in tre o quattro dal guardalinee per protestare. Ma non hanno dato in smanie. Lo hanno insultato più tardi. Là, sul campo, hanno ripreso immediatamente a giocare.

C’è stato appena qualche attimo di interruzione. E nulla sarebbe cambiato se ad essere danneggiati dalla decisione fossero stati gli inglesi. Anche in mezzo a loro ci sono giocatori indisciplinati. Stiles non è stato degno di un campionato del mondo e, se non fosse stato inglese, sarebbe finito fuori del campo più di una volta. Però, nel momento in cui arbitro e guardalinee si sono consultati per decidere di un gol che voleva dire il titolo mondiale, gli inglesi apparivano già pronti ad accettare il verdetto ed a riprendere caparbiamente il loro gioco nel tentativo di fare quel gol che l’arbitro non aveva convalidato.

E’ stata questa una delle indimenticabili lezioni dei 120’ di Wembley. E’ stata una dimostrazione di educazione e di civiltà, alla quale inglesi e tedeschi hanno aggiunto una dimostrazione di carattere e di temperamento incredibile per i nostri campi.

La partita è passata attraverso drammatici mutamenti di punteggi, ma ogni episodio è stato accolto come un evento che rientrava nella normalità di una partita di calcio. L’Inghilterra ha subito un gol per prima ma non si è demoralizzata. La nazionale italiana ha perso due partite per 1-0: cioè solo da noi un gol è spesso decisivo. Altrove è soltanto un episodio di una partita.

E provate ad immaginare cosa si sarebbe visto sul terreno di gioco se fosse stata la nazionale italiana ad essere raggiunta all’ultimo minuto dello incontro per il titolo mondiale. Quali scene di disperazione, quanti giocatori con le mani nei capelli, quanti a battere pugni istericamente sui terreno. Qui non è accaduto nulla. Un massaggio alle gambe, una spugna d’acqua sulla fronte e pronti a ricominciare. Non a caso, il campionato è stato dominato dalle rappresentative dei popoli più sportivi ed anche più caparbi ed orgogliosi che esistano al mondo.

Un’altra lezione l’ha data il pubblico di Wembley. Abbiamo dinanzi agli occhi le scene selvagge e barbare con le quali ormai si conclude il campionato sui nostri campi, con orde di tifosi esaltati che invadono il terreno di gioco ed i calciatori costretti a fuggire, per sottrarsi all’assalto, per non rimanere soffocati o anche contusi. Di Giacomo, dopo la promozione del Mantova in serie A, dovette essere ricoverato in infermeria. A Wembley, dove la nazionale inglese era diventata per la prima volta campione del mondo, solo qualche ragazzino tentò di raggiungere o raggiunse i giocatori sul campo. Tutto il pubblico rimase fermo sulle tribune: festante ma disciplinato. C’erano ventimila tedeschi. La partita era stata aspra, la conclusione aveva provocato polemiche. Non accadde un incidente. Una degna cornice in un superbo spettacolo di sport.

Gli inglesi campioni del mondo, i tedeschi loro rivali, il calcio atletico preminente su quello raffinatamente tecnico. L’indicazione è precisa. Il calcio è cambiato. I sudamericani giurano che fra quattro anni in Messico le squadre europee verranno nuovamente sbaragliate. Ma ciò potrà accadere solo se i sudamericani, e con loro anche i latini d’Europa, sottoposti allo stesso drastico verdetto di condanna, si convinceranno a modificare la fisionomia del loro foot-ball. Fummo tra i più severi censori dell’incontro Germania-Russia. Quel tipo di calcio — dove la violenza si sostituisce al gioco, dove il calciatore di classe viene stroncato anziché contrastato, dove ogni pericolo viene evitato puntando agli stinchi dell’avversario — comprometterebbe definitivamente l’avvenire del football. La lotta sarebbe sostituita dalla rissa, il vigore dalla violenza. Puskas, dopo Germania-Russia, commentò: «Mi chiedo perché gli abbiano dato un pallone: avrebbero fatto meglio a dar loro dei fucili». E tutto il mondo del calcio, dopo la partita tra tedeschi e russi, manifestò il proprio allarme. Dove si stava avviando il calcio?

Adesso si può supporre che sia stata proprio la reazione vivissima dell’ambiente a ricondurre dirigenti, giocatori e tecnici ad una valutazione più serena della realtà, imponendo un autocontrollo che era stato pericolosamente abbandonato. Le partite successive — quella tra Inghilterra e Portogallo e poi la finalissima — hanno, invece, rappresentato un’esaltante prova di quello che il calcio può spettacolarmente raggiungere, allorché viene interpretato con un vigore non disgiunto dalla correttezza. Ci si può affrontare duramente senza scendere nella fallosità. E’ stata questa un’altra lezione di Wembley.

La rassegna del calcio, svoltasi sui campi inglesi, ha segnato, quindi, una svolta nell’interpretazione atletica del football. Ha dato anche indicazioni precise sulla tattica di gioco. Il «catenaccio», per quel che significa nell’interpretazione e nella mentalità italiana — già morto nella partita giocata dalla nazionale azzurra a Glasgow —, è stato definitivamente sepolto al campionati del mondo. Nessuna squadra gioca aspettando che siano le altre a costruire le manovre, per limitarsi a contrastarla, nella speranza di poter poi imbastire un fortuito contropiede. La Germania, che ha tentato di farlo contro gli inglesi, è stata amaramente beffata, soverchiata — come spesso è capitato alle nostre squadre — proprio a centro campo, dove ha accusato una inevitabile inferiorità numerica rispetto al movimento collettivo della nazionale britannica.

C’è, dunque, una indicazione nuova nel calcio: non esistono più le specializzazioni nei ruoli. Nessun giocatore deve più fare soltanto la «punta» o la «mezza punta» o il mediano d’appoggio o quello di spinta. Nessuno deve più occupare un solo spazio ma tutti devono collaborare, in pari misura, alla manovra d’insieme della squadra e tutti devono essere pronti ad inserirsi nel gioco di attacco e tutti devono partecipare alla manovra difensiva.

La interpretazione statica del calcio, come anni di deteriore tatticismo hanno imposto, deformando ogni valido principio atletico, è ormai definitivamente condannata. E’ finito il tempo in cui tre quarti dei giocatori di una squadra potevano vivere comodamente di rendita, rovesciando tutto il lavoro sulle spalle di qualche solitario uomo di punta. Il calcio vero è anche meno egoistico: gli sforzi vanno più equamente ripartiti.

E’ stato un «mondiale» di buon livello, non ottimo. E’ mancata la grande squadra tipo Brasile del ’58 o tipo Ungheria del ’54. In compenso, la media dei valori collettivi è stata più elevata rispetto al «mondiale » del ’62 in Cile. Le partite più belle sono state BrasileUngheriaInghilterra-Portogallo e la finalissima. Le squadre spettacolarmente più interessanti sono state l’Ungheria ed il Portogallo, entrambe danneggiate dalla mediocre personalità dei loro portieri. La squadra più interessante è stata la rappresentativa della Corea del Nord: ha dimostrato quanti progressi si possono compiere nel calcio, anche senza allacciare rapporti internazionali, purché la tecnica del gioco, seriamente studiata, venga integrata con una solida preparazione atletica. Per essere vigorosi nel gioco, non è necessario essere dei giganti: molti giocatori inglesi ed anche alcuni tedeschi non lo erano. L’importante è abituarsi al contrasto: sia a sostenerlo che a praticarlo.

Il campionato, peraltro, non ha espresso giocatori di grande spicco: a vincere il titolo è stata, infatti la nazionale inglese, che possiede il minor numero di individualità di rilievo. Il giocatore «nuovo» dei «mondiali» è stato il mediano destro Beckenbauer. Il più proteiforme Bobby Charlton. Il più dinamico l’inglese Ball. Ma non c’è stato un nuovo Pelè. Non lo è stato neanche Eusebio, che pur è stato il migliore fra gli uomini-gol: ai grandi appuntamenti. contro Inghilterra e Russia, il portoghese è mancato.

E’ stato un «mondiale» nel quale il senso collettivo del gioco ha prevalso sulle individualità. Le squadre hanno sopraffatto i campioni. E’ la nuova strada del calcio.