Ai Mondiali di Messico 70 l’Inghilterra uscì di scena ai quarti, ma il suo portiere compì su Pelè un miracolo rimasto nella storia…
Era già Campione del mondo da quattro anni. Era uno dei calciatori inglesi più famosi, una colonna insostituibile, via via del Chesterfield, del Leicester City, dello Stoke City, della nazionale britannica.
Eppure deve la sua popolarità mondiale a… Pelè, che lo chiamò ad una parata rimasta celebre nella storia del calcio, che anzi, appartiene ormai alla storia del gioco del calcio.
1970, Messico. Si gioca a Guadalajara, poco più di mille metri di altitudine, quindi un caldo feroce. Inghilterra e Brasile debbono battersi a mezzogiorno perché alle cinque della sera a Guadalajara c’è la corrida e i messicani alla corrida non sanno rinunciare. La temperatura oscilla fra i trentacinque e i trentasette gradi all’ombra: ma sul campo, bruciato dal sole dei Tropici, sfiora i cinquanta. Lo Stadio è strapieno, ribolle di tifo, di emozioni forti, di tequila…
Gli inglesi sono campioni del mondo in carica, i brasiliani sono i grandi favoriti per l’edizione in corso. La sfida è attesissima, il Brasile ha già battuto la Cecoslovacchia, l’Inghilterra si è sbarazzata della Romania, l’incontro diretto ha il sapore di una finalissima anticipata. Ci sono tutti i grandi dell’epoca: Jackie e Bobby Charlton, i fratelli d’oro del calcio inglese; Bobby Moore, il libero che sembra un gigante ma è agile come una gazzella; le punte Ball e Peters; la rivelazione Clarke.
Sull’altro fronte, il «divino» Pelè e Jairzinho, Tostao e Carlos Alberto, Rivelino e Brito. Da Città del Messico, sono calati a Guadalajara tutti i tecnici del mondiale, l’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire; c’è anche il nostro indimenticabile Nereo Rocco sudato, eccitato, entusiasta, che prima del match, nella piazza antistante lo Stadio, rovente come un forno, dice: «Gavemo el megio del fotbal mondial. Andemo a veder sti mona come el zoga, vogio veder se fan catenazzo…». No, non fecero catenaccio.
Il Brasile parte come una furia, gli inglesi subiscono, il caldo li stronca quasi subito, vanno sotto e ci restano. E al quarto d’ora l’«evento». Jairzinho, che il terzino Cooper tenta invano di controllare, sgattaiola sulla destra leggero e imprendibile, sfiora la linea di fondo, traversa al centro. Pelè, una pantera, si alza e, a un metro dal gol, colpisce di testa, con incredibile violenza, schiacciando la palla a terra, nell’angolo più lontano da quello dove è piazzato Gordon Banks, che evidentemente si aspettava che Jairzinho stringesse al centro per concludere da solo.
È una questione di centesimi di secondo: si vede Banks inarcarsi nell’aria, volare da palo a palo, colpire la palla col pugno mentre sta rimbalzando, violenta dal terreno verso l’alto, verso il fondo della rete. Ma Banks riesce ad alzarla oltre la traversa, la «parata impossibile» si stampa negli occhi dei settantamila dello Stadio, tutti si alzano in piedi a gridare, pazzi di ammirazione e di entusiasmo. Pelè, impietrito a un passo da Banks, improvvisamente si riscuote, abbraccia il portiere inglese, gli stringe la mano, poi torna verso il centrocampo scuotendo il capo, sembra quasi di sentirlo mormorare «Impossibile, era impossibile e lui lo ha fatto…».
Vinse il Brasile, uno a zero, un gol stupendo di Jairzinho, al quarto d’ora della ripresa. Parte da centrocampo il gran macinatore di gioco Tostao, con Pelè sulla destra. Un rapido scambio, Jairzinho scatta in profondità, Pelè si avvicina all’area degli inglesi, potrebbe battere a rete. Ma no, forse «ha paura» di Gordon Banks, teme il sortilegio del portiere che gli ha parato un tiro imparabile, intravede Jairzinho sulla destra, un’ombra nera che scivola sull’erba come la pantera quando sta per scattare sulla preda, un tocco leggero, in verticale: Jairzinho si avventa, una rasoiata a filo d’erba il grande Gordon Banks che tenta l’uscita è folgorato in contropiede.
L’Inghilterra è out, il Brasile sarà campione del mondo per la terza volta: a Guadalajara, i fortunati che c’erano hanno visto una delle più belle partite di tutta la storia del calcio mondiale. E, soprattutto, hanno visto «quella» parata di Gordon Banks, che non potrà scendere in campo nel quarto di finale contro la Germania di Gerd Muller per infortunio. Fu rimpiazzato da un oriundo italiano, Bonetti che incassa tre gol; Inghilterra addio: senza Gordon Banks è facile andare a rete contro i bianchi, che a Leon, in un pomeriggio dal cielo velato di nubi basse e grigie, lasciano sull’erba giallastra di un campo quasi di provincia (poco più di ventimila gli spettatori…) il titolo di campione del mondo. Lo raccoglierà sette giorni più tardi il grande Brasile nella maestosa cornice dell’Azteca frantumando i sogni di gloria dell’Italia di Ferruccio Valcareggi e della staffetta Mazzola-Rivera.
Gordon Banks resta nella storia del calcio mondiale non soltanto per la prodezza di Guadalajara, si capisce. Fu campione del mondo nel ’66, in Inghilterra, fu un portiere moderno, incredibilmente abile nelle uscite, acrobatico e scattante fra i pali, un atleta completo. Aveva uno strano sorriso cavallino, era un po’ strabico, carattere estroverso ed allegro e fu molto sfortunato dopo tanta fortuna. Prima un grave incidente d’auto, poi una insidiosa malattia agli occhi, gli negarono quella lunga carriera che avrebbe sicuramente percorso, con la sua classe e la sua immensa esperienza. Giocò comunque, ben settantatré partite in nazionale, oltre cinquecento nel campionato inglese, fu campione del mondo, negò a Pelè un gol che sarebbe rimasto memorabile. Può bastare per riempire una vita…