1982 – Gentile: «Maradona & Zico, due belle battaglie»

L’implacabile terzino riuscì ad annullare i leader di Argentina e Brasile, spianando alla Nazionale l’accesso alla semifinale

Era scritto nel libro del profeta che il ragazzo cresciuto nei cortili di Tripoli, «allenato» dai tuareg del calcio, un giorno avrebbe fatto l’angelo custode ai grandi del football. La storia di Claudio Gentile era già fotografata nei suoi occhi profondi, nei capelli neri e ispidi che denotavano l’origine lontana, anche se di innegabile ceppo italico. Maradona e Zico, che l’avrebbero avuto come indomabile avversario sotto il cielo di Spagna, sicuramente si sono chiesti in quei frangenti: «Ma da dove salta fuori costui?».

Torino, la Juventus, Spagna ’82 sono lontanissime. Però lo sguardo torna ad essere luminoso, come la luce di Tripoli, quando si parla di quell’avventura scolpita con grandi caratteri nel libro del calcio.

«Credo che sia difficile vivere una duplice situazione come quella che abbiamo superato in Spagna. Passare cioè dalla paura più tremenda all’esaltazione più… esaltante. Nella prima fase eravamo bloccati più che altro mentalmente. Dovevamo passare ad ogni costo per cui finimmo per trasformare tre partite abbastanza normali in tre autentici ostacoli. Bene o male li superammo, per cui quando poi ci trovammo nel girone con i campioni del mondo in carica e gli aspiranti campioni non potevamo che guadagnarci. Insomma, eravamo talmente tranquilli che abbiamo battuto entrambi».

«Maradona? Il mio primo esame, superato abbastanza bene. Un avversario difficile, un solista, quello che mi ha creato i maggiori problemi. Zico era più uomo-squadra, anche con lui però dovetti impegnarmi al 110 per cento. Due belle battaglie, ma non vinte dal singolo, bensì dal collettivo. Perché la forza di quella nazionale di Bearzot fu proprio nel gruppo. Eravamo in 22 e tutti hanno saputo mantenere il loro ruolo: nessuno ha creato problemi, neanche quelli che andarono in tribuna. Una grande Nazionale, forse irripetibile».

Chi l’avrebbe detto che il ricciolino fotografato a 5 anni assieme alla sorellina, con la maglia della Juventus, sarebbe così cresciuto da approdare proprio a Torino, da diventare campione del mondo? Tripoli era così lontana con quelle mischie, impropriamente chiamate partite di calcio, nelle sue stradine, con la quotidiana sfida tra gli europei ed i libici, col pallone che diventava un pretesto per menare botte e tornare a casa con gli abiti a pezzi ma soddisfatti.

Figlio di siciliani, nipote di un ristoratore emigrato a Tripoli per aprirvi un ristorante, specialità ovviamente gli spaghetti, Claudio rientrò in Italia nel 1961 facendo tappa dapprima a Siracusa e poi a Como. Nel 1973 la Juve, bruciando il Torino che l’aveva scovato per primo, pagò 200 milioni per averlo dal Varese di Sandro Vitali e di Maroso, che lo avevano allevato con cura assieme ad altri ragazzi scoperti da Amadeo, ovvero Marini (anche lui poi campione del mondo), Valmassoi e Massimelli.

Con qualche difficoltà Gentile si inserì nella Juventus, venendo poi valorizzato dallo stesso Bearzot nelle Under 21 e 23. «Troppo rude, poco riflessivo», si diceva di lui nell’ambiente bianconero, ma poi piano piano, in mezzo a tanti campioni, anche il carattere si ammorbidì, e Claudio capì che gli avversari non erano più i ragazzi di Tripoli da menare di santa ragione. Con gli azzurrini conobbe le prime tappe della gloria internazionale, mentre in maglia bianconera faceva esperienza a suon di scudetti. Ben sei ne ha portati a casa, prima di aggiungervi quel titolo mondiale in Spagna.

Pochi, sicuramente, hanno fatto tanta strada come il ragazzino cresciuto a due passi dal deserto.