1990: gli USA alla conquista del calcio

La storia dei 3 anni che cambiarono il calcio USA. L’avvento di Bob Gansler e la qualificazione ai Mondiali dopo 40 anni.

La notizia che fece scalpore nel mondo del calcio arrivò ufficialmente il 4 luglio del 1988: per la prima volta nella storia gli Stati Uniti avrebbero ospitato la fase finale della Coppa del Mondo, e questo sarebbe avvenuto nei mondiali successivi a quelli italiani, vale a dire nel 1994. Le perplessità furono molte, e molti puristi del calcio storsero il naso. Persino Giorgio Chinaglia, ex stella dei Cosmos espresse parere negativo sulla riuscita dell’evento in terra americana, dimenticando, come molti, che gli USA avevano organizzato le Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, con folle al seguito della nazionale statunitense, rispettivamente di 78.265 persone a Pasadena durante la partita contro il Costarica, 63.624 contro l’Italia sempre a Pasadena, e 54.973 a Palo Alto nella partita conclusiva del girone per gli States contro l’Egitto.

Oltre all’ottimo seguito che la Nazionale aveva avuto durante i giochi olimpici, altro fiore all’occhiello era stata l’ineccepibile organizzazione del Comitato Olimpico diretto da Alan Rothenberg, un nome che avrebbe avuto capitale importanza nell’organizzazione di USA ’94 e nella nascita della MLS. Le critiche e gli scetticismi almeno dal punto di vista organizzativo vennero accantonati non appena il comitato di ispezione della F.I.F.A effettuò i dovuti sopralluoghi, rimanendo impressionato dalla qualità e dalla quantità delle infrastrutture presenti e dalla grandezza e adattabilità degli stadi per il calcio, alcuni dei quali erano comunque già stati usati e con successo per le Olimpiadi del 1984 a Los Angeles.

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Bob Gansler, l’allenatore simbolo degli USA a Italia 90

Ma se le perplessità dal punto di vista organizzativo erano state debellate, rimanevano quelle forse più importanti: gli USA avrebbero ben figurato nel torneo, visto che dopo il crollo della NASL non vi era più stata una lega calcio di una certa rilevanza? In assenza di un campionato calcistico professionistico nazionale, il gioco del calcio continuava a venire praticato sia nei college, sia nelle leghe indoor come la MISL , la AISA e la SISL, ma anche nelle leghe outdoor semipro che erano fiorite, non senza difficoltà, nei vari angoli del paese come la ASL che annoverava nei propri ranghi franchigie storiche come Fort Lauderdale Strikers, Washington Diplomats e Tampa Bay Rowdies, la WSA (lega minore rispetto alla ASL) che annoverava però tra le proprie squadre i San Jose Earthquakes, e la texana LSSA con appena 5 squadre ed un calendario di sole 8 partite.

Per quel che riguarda la nazionale USA di allora, dopo l’ennesimo fallimento della qualificazione ai Mondiali del 1986, l’organico era stato svecchiato con l’iniezione di linfa nuova tramite nomi che negli anni a venire avrebbero significato molto per la rinascita del soccer americano. A parte il già noto Chico Borja (ex Cosmos e presente già dai tempi dello sfortunato Team America del 1983), la formazione includeva giovani di belle speranze quali Steve Trittschuh, il portiere David Vanole, che sarebbe stato poi accantonato per l’italo-americano Tony Meola, l’italo-americano Paul Caligiuri, John Harkes (che avrebbe giocato poi nello Sheffield Wednesday), Brian Bliss, Eric Eichmann, Desmond Armstrong, Frank Klopas e Bruce Murray.

Con l’assenza di un campionato professionistico nazionale, questi ragazzi erano pescati tra college, leghe indoor e leghe semiprofessionali outdoor. Si cercava il più possibile di unire i talenti dei vari campionati per far ben figurare la Nazionale stelle e strisce centrando gli obbiettivi delle Olimpiadi di Seul e la tanto agognata qualificazione alla fase finale di Italia ’90, anche perché un ulteriore fallimento avrebbe irrimediabilmente compromesso la riuscita dell’edizione successiva del 1994 assegnata di fresco agli USA. La USSF (la Federcalcio americana) cercò ancora una volta di trattare la Nazionale come un club, stabilendo un programma atto ad evitare ai giocatori pressioni da parte dei club e potendoli avere sempre disponibili per le convocazioni.

Per poter rendere il progetto operativo, la federazione propose ai nazionali americani di ricevere salari regolari direttamente dalla Nazionale, cosicché avrebbero avuto la possibilità di giocare regolarmente con una tabella di marcia meglio organizzata. La maggior parte di loro accettò, dando così credibilità al piano di sviluppo ideato dalla federazione. Per la cronaca, gli USA si qualificarono abbastanza agevolmente per le Olimpiadi di Seul, terminando il ruolino di marcia con una travolgente vittoria sulla nazionale di El Salvador per 4-1 a Indianapolis, dopodiché tra il 1 giugno ed il 12 Giugno del 1988, vennero organizzate ben 6 amichevoli, 3 a testa con Cile ed Ecuador. La triplice sfida col Cile terminò 1-1, 1-3 e 0-3, mentre quella con l’Ecuador finì 0-1, 0-2 e 0-0.

Questi insuccessi erano da attribuirsi al fatto che la quasi totalità della rosa della Nazionale era a digiuno o quasi di esperienze internazionali, e queste partite, indipendentemente dal risultato, erano comunque molto utili sia per completare l’affiatamento tra le varie individualità della Nazionale, alcune delle quali a digiuno addirittura di calcio outdoor (venendo dalle leghe indoor dove le regole sono comunque diverse) sia per prepararsi psicologicamente in vista delle sfide che si prospettavano all’orizzonte.

Questa politica fu premiata, e dopo 1-0 contro il Costarica il 14 giugno 1988 la nazionale USA perse onorevolmente, il 19 Giugno 1988 – stavolta per 3-2 – contro la ancora poco tecnica ma fisicamente temibile Nigeria, in un’amichevole organizzata in Corea del Sud, dove si sarebbero presto tenute le Olimpiadi. I progressi sul campo, sebbene ancora non seguiti dai risultati, erano evidenti di partita in partita, e dopo un’ulteriore amichevole giocata a New Britain e persa 2-0 contro la Polonia, il cammino verso Italia ’90 cominciò (facilitato peraltro dal fatto che il Messico era stato squalificato per aver schierato giocatori fuori-quota in un torneo giovanile) il 24 Luglio del 1988 a Kingston in Giamaica, con il risultato di 0-0. Nel match di ritorno disputatosi il 13 Agosto 1988 la vittoria arrise agli americani con il sonoro risultato di 5-1 a St. Louis, con doppietta di Klopas, Bliss, Krumpe e l’uruguaiano naturalizzato americano Hugo Perez.

La strada per l’Italia cominciava nel migliore dei modi. Ciononostante non c’era tempo per rilassarsi e riposare sugli allori, perché un mese dopo gli USA si ritrovarono già in Corea, a Taegu per disputare la prima partita del girone contro l’Argentina, terminata 1-1. I risultati cominciarono finalmente a vedersi. La partita seguente, questa volta giocata a Pusan, vide gli USA pareggiare ancora una volta contro la squadra ospitante per 0-0. L’epilogo della spedizione sudcoreana si concluse con una sconfitta per 4-2 contro l’URSS, con i goal di Brent Goulet e John Doyle a salvare l’onore contro il nemico di sempre, ma di certo non si poteva sperare di meglio contro quella che al tempo era una delle potenze del calcio mondiale subito dopo le titolate Germania, Italia, Argentina, Brasile ed Inghilterra. Qualsiasi bilancio si voglia tracciare dell’annata 1988, resta comunque il positivo dato di fatto che dopo anni, forse decenni di torpore, la Nazionale USA aveva cominciato un tortuoso ma allo stesso tempo virtuoso cammino che l’avrebbe portata, dopo 40 anni, al ritorno sulle scene mondiali.

Il 1989 invece non cominciò bene per gli USA, sconfitti in Costarica  per 1-0 il 16 aprile, ma fortunatamente la partita di ritorno arrise agli yankees per 1-0 sul campo di St Louis, con goal di Tab Ramos, un altro di quelli che negli anni a venire farà parlare molto di se. Il 13 maggio del 1989 gli USA vennero fermati in casa a Torrance in California sul punteggio di 1-1 dalla nazionale di Trinidad & Tobago, che si confermò da subito uno degli avversari più ostici del girone di qualificazione CONCACAF. L’entusiasmo crebbe ulteriormente quando il 17 giugno 1989 gli USA vinsero  un importante match di qualificazione contro il Guatemala per 2-1, reti di Murray ed Eichmann.

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Tony Meola e Paul Caligiuri festeggiano la vittoria contro Trinidad. Gli USA sono al mondiale dopo 40 anni

Alla ripresa delle partite di qualificazione arrivò la vittoria su El Salvador con rete di Perez il 17 Settembre e lo 0-0 in trasferta contro il Guatemala l’8 Ottobre, ma le cose sembravano essersi fatte difficili, in quanto il Costarica era già qualificato essendosi saldamente aggiudicato la prima posizione, mentre il secondo posto era occupato da Trinidad & Tobago, al quale, mancando una sola partita, sarebbe bastato un pareggio per staccare il biglietto per Roma. Gli yankees non si persero d’animo, e dopo una deludente vittoria dal punto di vista del gioco contro le Bermude per 2-1 (Eichmann e Doyle) il 19 novembre 1989 sconfissero a Port of Spain Trinidad & Tobago con goal (in probabile fuorigioco) di Paul Caligiuri centrando così la fase finale di un Mondiale di calcio esattamente 40 anni dopo l’ultima apparizione a Belo Horizonte nel 1950.

Alcune voci indiscrete sostenevano che il giorno prima della partita arrivò una telefonata all’arbitro internazionale Pier Luigi Pairetto con chiare pressioni per la vittoria degli USA, sta di fatto che il 19 Novembre del 1989 si sentì ancora una volta “the shot to be heard around the world”, che, anche se meno eclatante della vittoria sull’Inghilterra ai Mondiali del 1950, fu comunque una data epica e forse più importante per la rinascita del gioco più bello del mondo nella terra dove tutto è possibile e tutti, soccer compreso, hanno almeno un’opportunità.

Il 1990 non cominciò invece bene per i ragazzi di Bob Gansler, con una sconfitta in amichevole contro la nazionale del Costarica per 2-0 di fronte al pubblico di Miami il 2 Febbraio, seguita da un pareggio contro la Colombia appena due giorni dopo per 1-1 con rete di Wynalda, un altro di quelli ancora ignari di fare la storia del calcio in Usa. Seguì un’altra amichevole inutile sotto tutti i profili contro le Isole Bermuda per 1-0, peraltro giocata malissimo con goal di Sullivan, a dimostrazione della poca esperienza internazionale dello staff della U.S.S.F. di allora.

Il 24 febbraio 1990 gli Usa ospitarono a Palo Alto nientemeno che l’URSS, davanti a 61.000 persone. La sconfitta per 3-1 (goal della bandiera di Harkes) fece emergere tutte le carenze tecniche della formazione a stelle e strisce, che a parte il goal maturato su circostanze fortunose non riuscì quasi mai di superare la metà campo subendo per tutti i 90 minuti il gioco sovietico. Il programma di amichevoli proseguì con una vittoria sulla Finlandia per 2-1 con reti di Murray e Caligiuri, non male per un avversario così modesto, ma le due seguenti trasferte in Europa, in Ungheria e Germania Est, si conclusero entrambi con una sconfitta. Il 20 marzo la nazionale americana perse infatti per 2-0 a Budapest apparendo impacciata e lenta nella manovra, e 3-2 a Berlino in uno stadio praticamente vuoto complice anche una papera del portiere Meola. L’8 aprile venne disputata un’altra amichevole totalmente insignificante contro l’Islanda a Fenton, vinta per 4-1 mentre il 22 aprile gli USA caddero ancora a Miami contro la Colombia.

Il clima di ottimismo che si era creato intorno alla Nazionale USA si andava rapidamente evaporando: comprensibile, visto che gli americani non amano i perdenti. Comunque le amichevoli andavano avanti e il 5 maggio gli Usa giocarono e vinsero contro l’insignificante nazionale maltese per 1-0 a Piscataway in New Jersey, con rete ancora una volta di Eric Wynalda. Sempre nel mese di maggio, il mese prima della preparazione dei mondiali, vennero disputate altre due partite, il 9 maggio contro la Polonia, vinta per 3-1 grazie alle segnature di Murray, Vermes e Sullivan, mentre nelle altre due gli USA batterono nell’ordine il Liechtenstein per 4-1 e la Svizzera a San Gallo per 2-1, il 2 giugno, forse l’unica partita di qualche significato delle ultime quattro.

Con questo bilancio sostanzialmente negativo gli USA arrivarono in Italia  e il 10 giugno a Firenze arrivò l’esordio contro la Cecoslovacchia. La Nazionale ceca, sebbene gli USA avessero fatto intravedere qualche spazio di buona manovra, travolse senza appello gli americani per ben 5 reti a 1, con unica marcatura di Caligiuri. Un passivo che avrebbe potuto essere evitato se Bob Gansler non avesse schierato, contro una Cecoslovacchia che tra gli altri giocatori di valore annoverava Thomas Skuravy, una difesa con tre giocatori in linea. Ingenuità inammissibili in una competizione a livello mondiale.

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Sconfitta onorevole contro gli Azzurri. Nella foto, Vermes e Bergomi

La partita successiva fu contro l’Italia a Roma, dove stavolta una più saggia disposizione degli uomini da parte di Gansler, limitò il passivo ad una sconfitta di misura per 1-0 quando il mondo si aspettava una goleada da parte degli azzurri (e gli Usa ebbero pure una buona occasione per pareggiare). Con la squadra eliminata inesorabilmente dal torneo, nel quartier generale della USSF restava la speranza di una chiusura col botto con eventuale vittoria contro l’Austria, ma il match conclusivo del girone terminò con un’altra sconfitta per 2-1, con gli Usa deludenti ancora una volta dal punto di vista del gioco. Unica nota positiva il goal di Murray.

La campagna d’Italia era durata per la Nazionale statunitense appena 9 giorni, con un magro bilancio di tre sconfitte, 8 goal incassati ed appena 2 segnati, ma fu la prima di 5 partecipazioni future alla coppa del mondo, cosa seconda solo al terzo posto ottenuto nel 1930 e la storica vittoria contro l’Inghilterra del 1950. Finalmente il mondo del calcio si accorse dell’esistenza degli Stati Uniti. Realisticamente non si poteva di certo sperare in un exploit di una nazionale composta, ad esclusione di due giocatori (Peter Vermes nel Volendam in Olanda e Stollmeier nel Raba Eto in Ungheria) da ragazzi senza una vera esperienza né professionistica né tanto meno internazionale, visto che anche questa volta per poter compattare il gruppo si era dovuto ricorrere allo stratagemma di trattare la nazionale come se fosse un club, con giocatori assunti sotto contratto.

Nel frattempo però sul fronte interno le notizie per Bob Gansler non erano buone: le povere prestazioni della nazionale durante le amichevoli pre-mondiali (salvo eccezioni) ed al mondiale stesso avevano spinto la USSF a sostituirlo prima della scadenza naturale del contratto a fine 1991. Furono avviati contatti con il CT campione del mondo con la Germania Franz Beckenbauer e con il nostro Giovanni Trapattoni, ma entrambi declinarono. Dal canto suo Gansler, vedendo il suo posto di lavoro in pericolo, cercò di risalire la china ma purtroppo per lui le successive partite non andarono come egli invece sperava.hands-over-hearts

Il 28 luglio, appena 20 giorni dopo la conclusione dei Mondiali, gli USA persero per 2-1 a Milwakee contro la modesta Germania Est ancora una volta, con goal di Eck a salvare l’onore all’89’. Il 15 settembre invece arrivò una vittoria contro Trinidad & Tobago per 3-0, marcatori Vermes, Murray ed Eichman. Le ultime quattro partite dell’anno si disputarono all’estero. Il 10 ottobre arrivò una vittoria contro la Polonia per 3-2 a Varsavia (Murray e doppietta di Vermes), quest’ultimo con una doppietta mentre novembre portò due squallidi pareggi a reti inviolate contro Trinidad & Tobago e URSS. L’anno si chiuse con una sconfitta di misura in Portogallo il 19 dicembre 1990 ad Oporto. Il bilancio totale del 1990 sarà alla fine di 8 partite vinte, 3 pareggiate ed 11 perse.

L’era Gansler volgeva al termine, ma non era ancora finita. Ormai sfiduciato dalla Federazione e dall’opinione pubblica che lo considerava un perdente nonostante avesse condotto gli USA ad una fase finale dopo 40 anni, la sua esperienza si concluse nel febbraio del 1991 con la cocente sconfitta ad opera di Bermuda per 1-0 il 21 febbraio. La USSF lo rimosse ufficialmente dall’incarico e nominò a tempo record un nuovo selezionatore, uno slavo con esperienze internazionali sulle panchine di Messico, Costarica (presi in mano poco tempo prima dei mondiali di Italia ’90 e portati agli ottavi ) ed una sfortunata presenza nella serie A italiana con l’Udinese. Il suo nome? Bora Milutinovic. Ma questa è un’altra storia…