Un tocco all’indietro. La comoda presa del portiere, che tratteneva il pallone. Era una sorta di censura allo spettacolo calcistico e l’insistita “melina” azzurra in Italia-Brasile 82 diede una bella spinta al cambiamento delle regole. Oggi i numeri 1 non possono più sgarrare e spesso il rinvio di piede è l’unico modo per superare situazioni difficili.
Certo, per i portieri era meglio quando potevano afferrare con le mani il pallone passato da un compagno di squadra. Ma poi la regola è mutata. Perché? Il Regolamento del Gioco del Calcio è un esempio di equilibrio, una sorta di shanghai o mikado, dove basta spostare un piccolo parametro per far cadere tutto il “castello” valutativo. O meglio, se una regola muta, a cascata si verificano una serie di adattamenti sotto forma di comportamenti tecnici, tattici e psicologici che coinvolgono allenatori, calciatori, dirigenti.
Un tempo, la squadra che era sottoposta agli attacchi degli avversari, col retropassaggio poteva coinvolgere il proprio numero 1 in un atteggiamento difensivo, come dire, “odioso”. Una via d’uscita, all’assedio degli antagonisti, né onorevole né elegante, ma sicuramente efficace per risolvere positivamente un attacco pericoloso: le modalità però, erano ben diverse da quelle odierne.
Il portiere dopo aver agguantato il pallone doveva privarsene perché non poteva trattenerlo oltre i quattro secondi, ma disponeva della facoltà di riprenderlo anche dopo averlo fatto rotolare a terra, per un tempo indefinito. L’avversario lo andava a pressare non certo per conquistare il pallone, possibilità remota, ma per impedire il non gioco: cioè il dominio del pallone che diventa una negazione non solo del possesso, ma anche della possibile conquista da parte dell’avversario, precludendogli la possibilità, appunto, di creare gioco.
Per questo abbiamo parlato di atteggiamento “odioso”. Una sorta di censura allo spettacolo calcistico imposta dai calciatori interessati a mantenere un risultato. Con un inconveniente: gli astanti volevano vedere il gioco ma, senza pallone, non rimaneva altro che l’immaginazione. Una regola così concepita, favoriva eccessivamente la gestione difensiva sotto l’aspetto temporale, a scapito del minor possesso offensivo che, per ovvie ragioni, richiedeva la massima concretizzazione con un’elevata velocità di gioco, pena la mancanza di efficacia.
Chi non ricorda capitan Dino Zoff nel match Italia-Brasile ai campionati mondiali in Spagna nel 1982? Lanciava il pallone ai suoi compagni che, se non pressati dagli auriverde, tergiversavano per poi restituirlo al portiere azzurro il quale, a sua volta, se ne impossessava e, se non insidiato da vicino dagli avversari, lo faceva rotolare per poi riprenderlo…
O ancora il triste match che vide l’Irlanda impegnata contro l’Egitto ai Mondiali del 1990 con il portiere dei verdi Bonner che riuscì a tenere la palla bloccata per ben sei minuti totali sul tempo effettivo. Un vero e proprio circolo vizioso. Con il concorso di un regolamento permissivo in antitesi allo spirito del gioco.
Così facendo i portieri dell’epoca ottenevano un duplice scopo: 1) far trascorrere il tempo limitando il possesso del pallone degli avversari; 2) interromperne il ritmo incidendo sulla loro convinzione di recuperare il risultato. Un comportamento tecnico che determinava anche un aggravio psicologico, minando la sicurezza e la tranquillità degli avversari e predisponendoli all’errore.
Il calcio, che da esclusivo evento agonistico, grazie all’avvento della televisione, si era ormai trasformato in puro spettacolo dove si fondevano tecnica, tattica e immagine, non poteva sfuggire a una “moralizzazione” di una regola ormai antiquata. L’aumentata qualità delle immagini delle partite trasmesse e la ricerca dei particolari che sfuggono agli spettatori presenti allo stadio (particolari non solo tecnici ma anche comportamentali) hanno determinato una separazione tra la sensibilità tecnica del pubblico televisivo e quella di chi, invece, preferisce vedere calcio dal vivo.
L’attenzione di chi guarda le partite in tv è concentrata in modo tale che gli appare più evidente e “scandaloso” il provocato ristagno del pallone. Insomma, l’atteggiamento messo in atto dalle difese dell’epoca non poteva passare inosservato e la regola fu cambiata, dagli organismi preposti (l’Ifab), interpretando l’accresciuta sensibilità degli spettatori rivolta, anche inconsapevolmente, all’etica del gioco.
Il primo cambiamento portò, se non a eliminare completamente il retropassaggio, alla limitazione della gestione del pallone da parte del portiere, che non poteva più riprenderlo tra le mani dopo che se n’era spossessato. Era necessario un tocco da parte di un altro calciatore, compagno di squadra o avversario, per rinnovarne il controllo, una sorta di input che consentiva il facile superamento della regola. Che evidentemente costituiva un ostacolo irrilevante e non così efficace nel contrastare una modalità difensiva al limite della moralità sportiva. Inoltre, per il portiere era ancora possibile, su rimessa laterale, ricevere il pallone da un proprio compagno di squadra e amministrarlo non per ma contro il gioco, in special modo se la sua squadra era in vantaggio.
Quattro, ricordiamolo, erano i secondi entro i quali il portiere doveva liberarsi del pallone. Trascorrono dieci anni e finalmente si comprende che l’unica via era impedire al portiere di toccare con le mani il pallone passatogli indietro da un compagno, anche dal fallo laterale: era il 25 luglio del 1992. L’opera di “risanamento” regolamentare si completava portando a 6 secondi il tempo del trattenimento del pallone tra le mani del portiere, specificando che il compagno di squadra, poteva passarglielo utilizzando esclusivamente la testa, il petto, il ginocchio e altri parti del corpo escluso il piede, a meno che il tocco non fosse involontario.
Aggiungiamo che “se a giudizio dell’arbitro, un calciatore si avvale deliberatamente di un modo illecito per aggirare la Regola, si rende colpevole di un comportamento antisportivo e che pertanto dovrà essere ammonito”. Per aggiramento della regola, ad esempio, s’intende quel calciatore che con i piedi si porta il pallone sulla testa per passarlo al portiere, (decisione n°4 dell’Ifab).
All’attualizzazione delle norme che debbono seguire il progresso del gioco del calcio, sotto gli aspetti atletico, tattico e tecnico, non concorrono quindi esclusivamente fattori endogeni, ovvero generati all’interno, ma anche esogeni, esterni: la citata necessità di preservare lo spettacolo si riferisce più a chi guarda che ai protagonisti. Per questi ultimi e per i tifosi-tifosi da stadio, il risultato è al primo posto e non importa se per raggiungere la vittoria si è costretti a pagare pedaggi ai propri principi sportivi.
Più in generale, uno sport che diventa anche business spinge, paradossalmente, in due divergenti direzioni: da un lato verso l’ottenimento del risultato in base al principio che l’importante è vincere, dall’altro verso la tutela dello show sportivo.
- Testo di Alberto Dionisi
Le testimonianze
Franco Baresi: «Quel giorno il calcio è cambiato per sempre entrando nel futuro. Cambiò tutto, il modo di pressare, l’attacco al portiere, la difesa. Noi sul pressing sistematico lavoravamo da anni, in qualche modo eravamo già pronti a quella rivoluzione»
Max Allegri: «Tutto diventò più veloce, prima a un quarto d’ora dalla fine le partite morivano, Boniperti lasciava lo stadio, oggi negli ultimi dieci minuti le gare si rovesciano»
Carlo Mazzone: «Era una strategia tipica delle piccole. Cambiai gli allenamenti, occorreva imparare a giocare la palla indietro in un certo modo, sul piede giusto del portiere, per evitare pasticci»
Luca Marchegiani: «Ci trovammo spiazzati. Non capimmo subito la portata del cambiamento e abituarsi non fu semplice. Oggi i ragazzi imparano a usare bene i piedi da piccoli»