ALESSANDRO ALTOBELLI – Luglio 1977

Alto e bello (?), scoperto da Fulvio Bernardini e ieri uno dei «big» del Brescia, oggi è approdato alla corte di Fraizzoli e Mazzola con una valutazione da capogiro: un miliardo e mezzo. Ma Altobelli è pronto a giurare che con lui la squadra ritroverà certamente a fisionomia dei tempi migliori e verrà la riscossa. In altri termini, il ventiduenne di Sonnino è sicuro che i nerazzurri cambieranno faccia…

Il beauty-case dell’Inter

MILANO – Di Alessandro Altobelli, ventiduenne di Sonnino, un pic­colo borgo in provincia di La­tina, il primo estimatore rima­ne Fulvio Bernardini (l’attuale Direttore Generale della Sampdoria) che avallò il suo acquisto quando ricopriva carica analoga nel Brescia. Su segnalazione di Lamberti, l’ex Commissario Tec­nico della Nazionale si recò a Latina a visionare la giovane «promessa»: era il 73 ed il ra­gazzo, diciassette anni appena compiuti, aveva debuttato da po­co in serie C con la squadra la­ziale. A «Fuffo» quel giovane alto e filiforme piacque molto, a tal punto – anzi – che lo volle subito con sé in riva al Garda. Una volta di più Bernardini non sbagliò diagnosi: a dispetto, fra l’altro, dei dirigenti interisti i quali non ritennero, allora, il giovane attaccante degno di far parte del clan nerazzurro.

Eppu­re, qualche tempo più avanti Al­tobelli avrebbe compiuto proprio con l’Inter quel salto di qualità capace di caratterizzare e quali­ficare tutta quanta la sua car­riera, ancora in pectore. Dell’im­portanza del suo acquisto è testi­mone lo stesso programma di lavoro che l’Inter e i suoi nuovi dirigenti (Mazzola e Beltrami in primis) intendono portare avanti e che ha avuto inizio proprio con l’ingaggio di Altobelli. Il quale è stato valutato mica poco se è vero (come lo è certamente) che al Brescia sono andati, oltre a Martina, Guida, Mutti e Magnocavallo, ben seicento milioni.

In altre parole l’attaccante di Son­nino è stato valutato oltre un miliardo e mezzo: il che, se re­sponsabilizza oltre misura non reca certo dispiacere ad un gio­vane di ventidue anni. Al di là, comunque, dei segni che compaiono sulla sua schedi­na personale, chi è questo Ales­sandro Altobelli, di professione calciatore di punta? E’ un ra­gazzo introverso e pacato, estre­mamente equilibrato, a cui la paternità ha recato precoce ma­turità e che i fasti della cronaca non hanno affatto intaccato. «La popolarità – dice – non mi infastidisce, tutt’altro. Penso, infatti, che sia un fatto positivo per chi ha intenzione di fare carriera. Soprattutto, poi, nel mon­do del calcio.

Dispiace, invece, che qualche suo collega, magari per fare sensazione, riporti il pensiero in maniera sbagliata. Oppure faccia dei titoli che nul­la hanno a che vedere con l’ar­ticolo cui si rivolgono». Altobelli si riferisce, in partico­lare, (anche se non lo dice aper­tamente) alla «Gazzetta dello Sport» che, un paio di settima­ne fa, ha così titolato in prima pagina: «L’Inter nasconde un asso. La risposta di Altobelli: ri­sparmiate, basto io».

Con la lo­gica conseguenza che alcuni com­pagni di squadra lo hanno già criticato prima di conoscerlo da vicino.
«All’Inter – aggiunge l’ex bre­sciano – penso di poter fornire un buon contributo. Non credo, però, di poter essere considerato il “Salvatore della Patria” neroazzurra; tanto più che Mazzola ha lasciato l’attività agonistica.
Devo conquistarmi – anzi – il posto in squadra e far fronte alla concorrenza di Muraro, Anastasi e Pavone».

– Cosa ne pensi della tua nuova squadra…
«Non posso rispondere con pre­cisione alla domanda perché l’Inter l’ho potuta vedere solo in televisione. Non la reputo, co­munque, in grado di minacciare, fin da quest’anno, le due torine­si. Ha buone prospettive, questo sì».

– E di Bersellini cosa ne dici?
«E’ un ottimo tecnico, e l’ha di­mostrato dovunque è stato chia­mato a guidare una squadra. Predica un calcio totale, a tutto campo, con ampia utilizzazione delle fasce laterali. Dovrei tro­varmi bene perché non sono una punta che aspetta il pallone in area di rigore».

– Tecnicamente, come ti defini­sci?
«Un attaccante di movimento a cui piace giocare la palla: parto da lontano, infatti, per rendermi più utile alla squadra e per creare difficoltà di marcamento al mio avversario. Sono tutto l’opposto, insomma, del centra­vanti-boa. Eppoi il calcio statico non mi soddisfa proprio…».

– Con chi ti piacerebbe fare coppia?
«Non so, al momento almeno, perché non ho avuto modo di conoscere sul campo i miei nuo­vi compagni di squadra. In ogni caso non potrei rispondere sen­za veli. Per diplomazia, se non altro».

– Con Muraro, però, potresti co­stituire una formidabile macchi­na da goal. In grado di far con­correnza ai «gemelli» di Toro e Juve, soprattutto nel gioco aereo…
«Esiste questa possibilità, tanto più se giungeranno molte palle in area di rigore dalle fasce la­terali».

– Vuoi forse dire che preferire­sti giocare con due ali di ruolo ai fianchi?…
«No, di certo, anche perché sì perde in incisività: un uomo solo, in mezzo alla difesa avversaria, viene facilmente soverchiato. Lo schema migliore è il solito: un’ ala tornante e due punte centrali in continuo movimento. Con gli altri pronti ad occupare gli spa­zi che si rendono liberi vicino alla linea dell’out. E noi, di que­sta gente, dovremmo averne mol­ta a disposizione: Fedele, Oriali, Marini, Canuti».

– Di te potrebbe dirsi, con frase breriana, che somigli molto ad un «abatino»: lo dice pure il peso forma, appena 68 kg. per un metro e ottanta di altezza. Nei tackles, a proposito, come te la cavi?
«Paura non ne ho di certo, e poi sono molto meno fragile di quan­to possa apparire. Nelle tre sta­gioni che ho trascorso ai Brescia mi sono irrobustito notevolmen­te tanto che, in area di rigore, so farmi rispettare a sufficien­za».

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L’Inter 1977/78

Come afferma, d’altra parte, lo stesso Bernardini a cui è ri­masto impresso, dell’Altobelli «prima maniera», la determina­zione, pari all’eleganza, con cui il giovane sa districarsi in ogni parte del campo, incluse le «zo­ne calde».
– A Brescia sei diventato qual­cuno: ti senti di dover qualcosa a questa città e alla tua ex-so­cietà?
«Davvero molto, perché se fos­si rimasto a Latina non sarei arrivato all’Inter ed alla serie A. Voglio dire, con precisa cogni­zione di causa, che al nord esi­stono maggiori possibilità di por­si in evidenza. Il calcio che con­ta è intorno a Torino e a Mila­no. E’ qui l’occhio del ciclone».

– Due anni fa hai realizzato undici reti in ventisei partite, ed il Brescia ha fallito di poco la promozione in «A»; la stagione scorsa sei andato a rete tredici volte in trentatré incontri aiu­tando la tua squadra ad evitare la retrocessione. Ti ritieni sod­disfatto del tuo operato?
«Senz’altro anche se, fra le due annate, preferisco la seconda: ho giocato di più ed ho segnato di più: eppure la squadra s’è com­portata peggio dell’anno prece­dente. Posso dire dì essere ma­turato e di aver mostrato una maggiore costanza dì rendimen­to».

– Perché?…
«Perché ho avuto completa fi­ducia in me stesso e nei miei mezzi; e di questo, devo ringra­ziare colei che sposerò fra bre­ve e che già mi ha regalato una splendida bimba. Pensare a loro, alla mia ragazza e a mia figlia voglio dire, mi ha notevolmente responsabilizzato sotto ogni aspetto».

– A quali interessi ti dedichi quando non pensi al calcio?
«II fatto è che il calcio è in cima ad ogni mia riflessione: de­vo molto a questa mia profes­sione ed è giusto che la rispetti c’è poi il fatto che mi piace im­mensamente starmene a casa do­ve trascorro molto tempo a leg­gere. Altri hobbies? Gioco a ten­nis e vado a caccia».

– Ti sei posto il problema di cosa farai dopo aver abbando­nato l’attività agonistica?
«Ancora no: mi sembra troppo presto. Potrei coadiuvare il fra­tello del presidente del Brescia, Francesco Saleri, in qualcuna delle sue imprese commerciali. Con lui vado molto d’accordo: siamo stati assieme pure in Mes­sico di recente».

– C’è un momento della tua vita di calciatore che ricordi con maggiore piacere?
«Può sembrare strano, ma mi riferisco ad una partita che il Brescia ha perso, contro il Genoa, per cinque a due: fu in quell’occasione – credo – che mi rivelai un attaccante comple­to e che giocai davvero ad alto livello. Segnai pure un gol: l’al­tro lo mise a segno Beccalossi».

– Con quali dei tuoi ex com­pagni di squadra ti sei trovato meglio sotto il profilo agonisti­co?
«Con Tedoldi ho formato un buon tandem; ci integravamo a vicenda. Lui mi apriva i varchi, e, non essendo molto egoista, mi forniva preziosi palloni. Poi è stato ceduto perché il pubblico non lo poteva soffrire: forse non è stato apprezzato a dovere per la sua mancanza di stile. In squa­dra, però, il suo apporto si fa­ceva sentire. Eccome…».

– E fuori dal campo…
«Sono andato d’accordo un po’ con tutti: in particolare con Ca­gni, Berlando, Beccalossi, Biancardi. Solo che, dopo gli allena­menti o le partite, non si è mai stati molto tempo assieme perché preferivo tornarmene a casa».

– Sei ambidestro, sei forte di testa, tratti con sussiego la pal­la, vedi il gioco: ti reputi un campione?
«Neanche per idea: voglio sfon­dare, questo sì, ma, in partico­lare, desidero appagare le aspet­tative dei tifosi e di tutti coloro che mi hanno voluto all’Inter».