ALONSO Norberto: bandiera biancorossa

Tecnicamente perfetto, El Beto ha saputo esprimere il suo grande talento soprattutto con il River Piate. Club con il quale ha conquistato tutto e di cui è stato pure candidato alla presidenza

Nella galleria dei formidabili campioni del River Plate, Norberto Osvaldo Alonso occupa uno dei primi posti per lo stile raffinato e la serietà professionale. Del River “El Beto”, come lo ha sempre chiamato chi lo ha idolatrato, è stato qualcosa in più di una bandiera vincente.

Nato a Vicente Lopez, nella provincia di Buenos Aires il 4 gennaio 1953, Alonso quando aveva solo due anni si trasferì con la famiglia a Los Polvorines, sempre nella provincia della grande Baires, dove iniziò a giocare insieme ai fratelli più grandi in un club chiamato “El Textil”. Al River Plate approdò quattordicenne su indicazione di Carlos Palomino, un dirigente delle giovanili che aveva il compito di organizzare partite fra squadre di quartiere con lo scopo di reclutare talenti. Quel ragazzino timido e magro che in seguito scriverà pagine e pagine di trionfi, iniziò la sua avventura con la “banda roja” giocando da secondo attaccante sul fronte mancino ma ben presto si impossessò della numero “diez” indossata prima di lui da gente del calibro di Angel Labruna, Omar Sivori ed Ermindo Onega per non lasciarla più.

A farlo debuttare in prima squadra fu nientemeno che il brasiliano Didì, regista delle Seleção campione del mondo nel 1958 e nel 1962, il quale lo mandò in campo l’8 agosto del 1971 (1-2 contro l’Atlanta) nel campionato Metropolitano, quando Norberto aveva soltanto 18 anni. Poche settimane dopo, esattamente il primo settembre, Alonso realizzò il primo gol, quello del 2-2 in trasferta contro il Chacarita.

Dopo aver concluso il torneo con 10 presenze ed 1 gol, “El Beto” disputò altre 13 gare, segnando 2 reti nel Nacional. Il suo talento sbocciò definitivamente l’anno seguente quando realizzò 12 reti in 26 gare nel Metropolitano e 9 in 15 nel Nacional. Fu allora che Juan De Biase, firma del “Clarin”, il più importante quotidiano argentino, lo battezzò dalle colonne del suo giornale “Pelé Blanco”.

Con tutta la scontata esagerazione del caso, quella definizione però Alonso se l’era meritava davvero, almeno nell’occasione in cui aveva beffato il portiere Santoro dell’Independiente con una giocata che sembrava l’esatta fotocopia di quella non riuscita per un soffio a Pelé contro l’uruguaiano Mazurkiewicz a Messico 70.

Il 1975 fu l’anno magico sia per Beto Alonso che per il River Plate; trascinato dalle innumerevoli prodezze del proprio fuoriclasse il club della “gallina” conquistò sia il titolo Metropolitano che il Nacional, interrompendo un digiuno durato ben 18 anni. Alonso in quella stagione realizzò ben 20 reti in 28 gare nel Metropolitano e 7 in 12 partite nel Nacional.

Dopo aver disputato altri 14 match, nel 1976 si trasferì all’Olympique Marsiglia, dove giocò appena 17 gare, con la miseria di 3 reti. In Francia non si ambientò: troppa la nostalgia per il River, dove fece prontamente ritorno e dove ricominciò a brillare, al punto che Menotti fu costretto a convocarlo per il vittorioso Mondiale del ’78, dove però “El Beto” giocò solo tre partite, sempre partendo dalla panchina.

Dopo essersi laureato campione del Mondo, Alonso bissò nel 1979 i titoli del Metropolitano (vinto anche nell’80) e del Nacional (conquistato pure nell’81). Per far capire quanto fosse intenso l’amore della gente nei suoi confronti è sufficiente raccontare un episodio che risale al 1981, quando in occasione della finale contro il Ferrocarril il tecnico Alfredo Di Stefano non lo mandò in campo; il River vinse, ma mentre i giocatori trionfanti facevano il giro del campo l’intero Monumentai gridava incessantemente: “Aloooon-so”.

Pochi giorni dopo Alonso diede l’aut aut alla società chiedendo la testa di Di Stefano ma non venne accontentato e nel 1982 passò al Vélez. Con il club di Liniers disputò 73 match realizzando 16 reti per poi fare ritorno al River già nel 1983. Una scelta che gli ha consentito di coronare il sogno di sempre: scavalcare la storia e approdare nella leggenda. Infatti, dopo aver vinto un ennesimo titolo nella stagione 1985-86, sempre nell’86 conquistò da protagonista sia la Libertadores (segnando un gol in finale all’America di Cali) che l’Intercontinentale (1-0 alla Steaua Bucarest con assist decisivo per l’uruguaiano Antonio Alzamendi).

Dopo aver vinto tutto con la squadra allenata dal “Bambino” Veira, Alonso chiuse con il calcio giocato da protagonista assoluto visto che non aveva più nulla da conquistare.

Giocatore dallo stile squisito, “El Beto” racchiudeva nel suo talento tante qualità ed era adorato dai suoi tifosi perché dentro la “cancha” sapeva abbinare perfettamente l’eleganza del fuoriclasse alla grinta del caudillo. Abilità, visione di gioco, fantasia, assist, senso del gol e persino la bravura nel gioco aereo ne hanno fatto uno dei giocatori più completi di sempre. Con la sua “zurda” prodigiosa disegnava magici calci da fermo.

È esploso in un periodo in cui nel calcio, specialmente quello argentino abbondavano i numeri 10 tutto estro e fantasia, basti pensare a Palma, a Bochini ma soprattutto Kempes e poi anche il primo Maradona: con gente simile era davvero difficile emergere.

Alonso, che con il River ha segnato 149 reti in 372 gare, è stato adorato soprattutto per l’amore intenso che ha professato verso il River Plate: «Sono grato a Dio per aver giocato in uno dei club più prestigiosi del mondo; non so come sarebbe stata la mia vita senza il River» dichiarò a fine carriera. Nella storia dei Millonarios è il quinto goleador di sempre e il sesto giocatore per numero di presenze, mentre con l’Argentina tra il 1972 ed il 1983 ha disputato 19 gare con 2 reti.

  • Testo di Andrea Colacione